Tum demum Liscus oratione Caesaris adductus, quod antea tacuerat, proponit: esse nonnullos quorum auctoritas apud plebem plurimum valeat, qui privatim plus possint quam ipsi magistratus. Hos seditiosa atque improba oratione multitudinem deterrere, ne frumentum conferant, quod debeant: praestare, si iam principatum Galliae obtinere non possent, Gallorum quam Romanorum imperia perferre; neque dubitare debeant, quin si Helvetios superaverint, Romani una cum reliqua Gallia Haeduis libertatem sint erepturi. Ab isdem nostra consilia quaeque in castris gerantur, hostibus enuntiari; hos a se coerceri non posse. Quin etiam, quod necessariam rem coactus Caesari enuntiarit, intellegere sese, quanto id cum periculo fecerit, et ob eam causam quamdiu potuerit tacuisse.
Versione tradotta
Allora finalmente Lisco, spinto dal discorso di Cesare, presenta quello che prima aveva taciuto:
che ci sono alcuni il cui prestigio presso il popolo vale moltissimo, che privatamente possono più che gli stessi magistrati. Costoro con discorso fazioso e malvagio terrorizzano la folla, che non portino il frumento, che devono: che è meglio, se ormai non possono ottenere il primato della Gallia, tollerare il comando dei Galli che dei Romani; che non devono dubitare che se vincessero gli Elvezi, i Romani avrebbero tolto la libertà agli Edui insieme con la restante Gallia.
Dagli stessi erano denunciati ai nemici tutti quei nostri piani che si decidono nell’accampamento; costoro non possono essere bloccati da loro. Anzi perché costretto a dichiarare una cosa importante a Cesare, lui capiva con quanto rischio lo aveva fatto e per tale motivo aveva taciuto fin che aveva potuto.
- Letteratura Latina
- Libro 1
- Cesare
- De Bello Gallico