De Bello Civili Libro 1 Par. 2: versione tradotta - StudentVille

De Bello Civili, Libro 1 - Par. 2

Haec Scipionis oratio, quod senatus in urbe habebatur Pompeiusque aberat, ex ipsius ore

Pompei mitti videbatur. Dixerat aliquis leniorem sententiam, ut primo M. Marcellus, ingressus in eam orationem, non oportere

ante de ea re ad senatum referri, quam dilectus tota Italia habiti et exercitus conscripti essent, quo praesidio tuto et libere

senatus, quae vellet, decernere auderet; ut M. Calidius, qui censebat, ut Pompeius in suas provincias proficieceretur, ne qua

esset armorum causa: timere Caesarem ereptis ab eo duabus legionibus, ne ad eius periculum reservare et retinere eas ad urbem

Pompeius videretur; ut M. Rufus, qui sententiam Calidii paucis fere mutatis rebus sequebatur. Hi omnes convicio L. Lentuli

consulis correpti exagitabantur. Lentulus sententiam Calidii pronuntiaturum se omnina negavit. Marcellus perterritus conviciis

a sua sententia discessit. Sic vocibus consulis, terrore praesentis exercitus, minis amicorum Pompei plerique compulsi inviti

et coacti Scipionis sententiam sequuntur: uti ante certam diem Caesar exercitum dimittat; si non faciat, eum adversus rem

publicam facturum videri. Intercedit M. Antonius, Q. Cassius, tribuni plebis. Refertur confestim de intersessione tribunorum.

Dicuntur sententiae graves; ut quisque acerbissime crudelissimeque dixit, ita quam maxime ab inimicis Caesaris

collaudatur.

Versione tradotta

Sembrava che questo discorso

di Scipione uscisse dalla bocca dello stesso Pompeo, poiché la seduta si teneva in Roma e Pompeo era alle porte della città.

Qualcuno aveva espresso un parere più accomodante, come, prima di tutti, M. Marcello, che parlò in questi termini: non si

doveva portare la discussione di questa faccenda in senato prima che si fossero fatte le leve in tutta Italia e si fossero

arruolati gli eserciti, affinché il senato, forte del loro appoggio, potesse osare di prendere con sicurezza e con libertà le

deliberazioni che avesse ritenute necessarie; come Marco Calidio, il quale pensava che Pompeo dovesse tornare alle sue

province, affinché fosse eliminata ogni ragione di guerra; Cesare temeva – secondo il suo avviso – che Pompeo riservasse ai

suoi danni le due legioni che gli erano state sottratte, e che per questo le tenesse vicine a Roma; come Marco Rufo, che quasi

con le identiche parole manifestò lo stesso parere di Calidio. Tutti questi erano bersaglio delle aspre invettive del console

Lucio Lentulo. Egli disse in modo reciso che non avrebbe messo ai voti la proposta di Calidio; e allora Marcello, atterrito da

queste invettive, ritirò la sua. Così i più, trascinati dalle grida del console, dalla minaccia dell’esercito vicino e dalle

minacce degli amici di Pompeo, contro la propria volontà: “Cesare smobiliti l’esercito entro un determinato giorno; se non

lo farà, mostrerà di agire contro lo Stato”. I tribuni della plebe Marco Antonio e Quinto Cassio pongono il loro veto. Si

discute subito questione del veto. Si esprimono giudizi pesanti; quanto più uno parla con arroganza e durezza, tanto più è

applaudito dai nemici di Cesare.

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