Postquam Bruto et Cassio
caesis nulla iam publica arma, Pompeius apud Siciliam oppressus exutoque Lepido, interfecto Antonio ne Iulianis quidem partibus
nisi Caesar dux reliquus, posito triumviri nomine consulem se ferens et ad tuendam plebem tribunicio iure contentum, ubi
militem donis, populum annona, cunctos dulcedine otii pellexit, insurgere paulatim, munia senatus magistratuum legum in se
trahere, nullo adversante, cum ferocissimi per acies aut proscriptione cecidissent, ceteri nobilium, quanto quis servitio
promptior, opibus et honoribus extollerentur ac novis ex rebus aucti tuta et praesentia quam vetera et periculosa mallent.
neque provinciae illum rerum statum abnuebant, suspecto senatus populique imperio ob certamina potentium et avaritiam
magistratuum, invalido legum auxilio quae vi ambitu postremo pecunia turbabantur
Versione tradotta
Dopo che, uccisi Bruto e
Cassio, lo stato restò disarmato e, con la
disfatta di Pompeo in Sicilia, l'emarginazione di Lepido e
l'uccisione di
Antonio, non rimase a capo delle forze cesariane se non Cesare Ottaviano,
costui, deposto
il nome di triumviro, si presentò come console, pago della
tribunicia potestà a difesa della plebe. Quando ebbe
adescato i soldati
con donativi, con distribuzione di grano il popolo, e tutti con la
dolcezza della pace,
cominciò passo dopo passo la sua ascesa, cominciò a
concentrare su di sé le competenze del senato, dei magistrati,
delle
leggi, senza opposizione alcuna: gli avversari più decisi erano scomparsi
o sui campi di battaglia o
nelle proscrizioni, mentre gli altri nobili,
quanto più pronti a servire, tanto più salivano di ricchezza o in
cariche
pubbliche, e, divenuti più potenti col nuovo regime, preferivano la
sicurezza del presente ai
rischi del passato. Né si opponevano a quello
stato di cose le province: era a loro sospetto il governo del senato e
del
popolo, per la rivalità dei potenti, l'avidità dei magistrati e le
insufficienti garanzie fornite
dalle leggi, stravolte dalla violenza,
dagli intrighi e, infine, dalla corruzione.
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