Quam ob rem magnopere te hortor, mi Cicero, ut non solum orationes meas, sed hos etiam
de philosophia libros, qui iam illis fere se aequarunt, studiose legas,–vis enim maior in illis dicendi,–sed hoc quoque
colendum est aequabile et temperatum orationis genus. Et id quidem nemini video Graecorum adhuc contigisse, ut idem utroque in
genere elaboraret sequereturque et illud forense dicendi et hoc quietum disputandi genus, nisi forte Demetrius Phalereus in hoc
numero haberi potest, disputator subtilis, orator parum vehemens, dulcis tamen, ut Theophrasti discipulum possis agnoscere. Nos
autem quantum in utroque profecerimus, aliorum sit iudicium, utrumque certe secuti sumus.
Versione tradotta
Perciò ti esorto
vivamente, o mio Cicerone, a leggere con amore non solo le mie orazioni, ma anche questi miei libri filosofici, che ormai le
uguagliano per mole e per numero: certo in quelle vi è un maggior vigore di stile, ma è ben degno d'esser coltivato questo
mio stile di scrittura piana e pacata. Francamente, a quanto mi è dato di vedere, nessuno dei Greci ha avuto finora la fortuna
di riuscire allo stesso modo nell'uno e nell'altro genere, coltivando a un tempo quel genere che è proprio del foro, e
questo, più tranquillo, che è proprio del ragionare, anche se non si può includere nel numero di costoro Demetrio di Falereo,
ragionatore sottile, oratore poco vigoroso, ma tuttavia piacevole, per cui si può riconoscere in lui un discepolo di Teofrasto.
Quanto a me, quale sia stato il mio contributo nell'uno e nell'altro genere, non sta a me giudicare; in realtà io ho
praticato entrambi i generi.
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