His rebus cognitis Caesar Gallorum animos verbis confirmavit pollicitusque est sibi eam rem curae futuram; magnam se habere spem et beneficio suo et auctoritate adductum Ariovistum finem iniuriis facturum. Hac oratione habita concilium dimisit. Et secundum ea multae res eum hortabantur, quare sibi eam rem cogitandam et suscipiendam putaret, inprimis, quod Haeduos fratres consanguineosque saepe numero a senatu appellatos in servitute atque in dicione videbat Germanorum teneri eorumque obsides esse apud Ariovistum ac Sequanos intellegebat; quod in tanto imperio populi Romani turpissimum sibi et rei publicae esse arbitrabatur. Paulatim autem Germanos consuescere Rhenum transire et in Galliam magnam eorum multitudinem venire populo Romano periculosum videbat, neque sibi homines feros ac barbaros temperaturos existimabat, quin cum omnem Galliam occupavissent, ut ante Cimbri Teutonique fecissent, in provinciam exirent atque inde in Italiam contenderent, praesertim cum Sequanos a provincia nostra Rhodanus divideret; quibus rebus quam maturrime occurrendum putabat. Ipse autem Ariovistus tantos sibi spiritus, tantam arrogantiam sumpserat, ut ferendus non videretur.
Versione tradotta
Conosciute queste situazioni, Cesare rinfrancò con parole gli animi dei Galli e promise loro che quella situazione gli sarebbe stata a cuore; (che) egli aveva una grande speranza e che Ariovisto spinto dal suo intervento e prestigio avrebbe posto fine agli oltraggi.
E dopo queste molte cose lo convincevano, per cui credeva che quel fatto doveva considerarlo e risolverlo,
anzitutto perché vedeva che gli Edui, chiamati molto spesso dal senato fratelli e parenti, erano tenuti in schiavitù ed in sudditanza dei Germani e capiva che i loro ostaggi erano presso Ariovisto ed i Sequani;
e questo in un dominio così grande del popolo romano credeva che fosse per lui e per lo stato molto vergognoso.
Vedeva come pericoloso per il popolo romano che a poco a poco i Germani si abituavano a passare il Reno e giungeva in Gallia una loro gande moltitudine, e riteneva che uomini feroci e barbari non si sarebbero trattenuti, dopo aver occupata tutta la Gallia, come prima avevano fatto i Cimbri ed i Teutoni, dallo
sconfinare nella provincia e di lì dirigersi verso l’Italia, dal momento che il Rodano divideva i Sequani dalla nostra provincia; per tali motivi dunque pensava si dovesse intervenire al più presto possibile.
Lo stesso Ariovisto poi aveva assunto così gravi animosità, e cì grave arroganza, che no sembrava sopportabile.
- Letteratura Latina
- Libro 1
- Cesare
- De Bello Gallico