Ariovistus ad postulata Caesaris pauca respondit, de suis virtutibus multa praedicavit: transisse Rhenum sese non sua sponte, sed rogatum et accersitum a Gallis; non sine magna spe magnisque praemiis domum propinquosque reliquisse; sedes habere in Gallia ab ipsis concessas, obsides ipsorum voluntate datos; stipendium capere iure belli, quod victores victis imponere consuerint. Non sese Gallis, sed Gallos sibi bellum intulisse; omnes Galliae civitates ad se oppugnandum venisse ac contra se castra habuisse; eas omnes copias uno a se proelio pulsas ac superatas esse. Si iterum experiri velint, se iterum paratum esse decertare; si pace uti velint, iniquum esse de stipendio recusare, quod sua voluntate ad id tempus pependerint. Amicitiam populi Romani sibi ornamento et praesidio, non detrimento esse oportere, idque se hac spe petisse. Si per populum Romanum stipendium remittatur et dediticii subtrahantur, non minus se libenter recusaturum populi Romani amicitiam quam adpetierit. Quod multitudinem Germanorum in Galliam traducat, id se sui muniendi, non Galliae inpugnandae causa facere. Eius rei testimonium esse quod nisi rogatus non venerit et quod bellum non intulerit, sed defenderit. Se prius in Galliam venisse quam populum Romanum; numquam ante hoc tempus exercitum populi Romani Galliae provinciae finibus egressum. Quid sibi vellet? Cur in suas possessiones veniret? Provinciam suam hanc esse Galliam, sicut illam nostram. Ut ipsi concedi non oporteret, si in nostros fines impetum faceret, sic item nos esse iniquos, quod in suo iure se interpellaremus. Quod a se Haeduos amicos appellatos diceret, non se tam barbarum neque tam imperitum esse rerum ut non sciret neque bello Allobrogum proximo Haeduos Romanis auxilium tulisse, neque ipsos in his contentionibus, quas Haedui secum et cum Sequanis habuissent, auxilio populi Romani usos esse. Debere se suspicari simulata Caesarem amicitia, quod exercitum in Gallia habeat, sui opprimendi causa habere. Qui nisi decedat atque exercitum deducat ex his regionibus, sese illum non pro amico, sed pro hoste habiturum. Quodsi eum interfecerit, multis se nobilibus principibusque populi Romani gratum esse facturum – id se ab ipsis per eorum nuntios compertum habere -, quorum omnium gratiam atque amicitiam eius morte redimere posset. Quodsi decessisset et liberam possessionem Galliae sibi tradidisset, magno se illum praemio remuneraturum et quaecumque bella geri vellet sine ullo eius labore et periculo confecturum.
Versione tradotta
Ariovisto alle richieste di Cesare rispose poco, molto proclamò sui suoi meriti: (che ) lui aveva passato il Reno non spontaneamente, ma pregato e chiamato dai Galli; non senza grande speranza e grandi premi aveva lasciato
patria e parenti;
aveva sedi in Gallia concesse da loro stessi, ostaggi dati dalla loro volontà; riceveva tributi per diritto di guerra,
che i vincitori sono soliti imporre ai vinti.
Non lui ai Galli, mai Galli gli avevano dichiarato guerra;
tutte le nazioni della Gallia erano venute per assediarlo ed avevano mosso gli accampamenti contro di lui; tutte quelle in un solo scontro eran state da lui sconfitte e vinte.
Se volessero tentare di nuovo, lui era di nuovo pronto a scontrarsi; se volessero valersi della pace, era ingiusto rifiutare sul tributo, che a quel tempo avevano pagato di propria volontà. Era necessario che l’amicizia del popolo romano fosse per lui di onore e di difesa, non di danno, lui stesso l’aveva richiesta con questa speranza. Se per mezzo del popolo romano veniva interrotto il tributo e venivano sottratti i tributari, non meno volentieri avrebbe rifiutato l’amicizia del popolo romano di quanto l’aveva richiesta. Che facesse passare una folla di Germani in Gallia, lo faceva per premunirsi, non per combattere la Gallia. Di quel fatto era prova che non era venuto se non pregato e che non aveva dichiarato guerra, ma si era difeso.
Lui era venuto in Gallia prima del popolo romano;
mai prima di quel tempo l’esercito del popolo romano era uscito dai territori della provincia della Gallia. Cosa voleva (Cesare) per sé? Perché era venuto nei suoi possedimenti?
Questa Gallia era sua provincia, come l’altra la nostra.
Come non bisognava si concedesse a lui, se avesse fatto un assalto nei nostri territori, così noi eravamo ingiusti, perché ci intromettevamo nel suo diritto.
Per quanto (Cesare) diceva che gli Edui eran stati chiamati da lui amici, non era tanto barbaro ed inesperto della realtà da non sapere che nella recente guerra degli Allobrogi né gli Edui avevan dato aiuto ai Romani, né che essi in quelle contese che gli Edui hanno avuto con lui e con i Sequani, si eran serviti dell’aiuto del popolo romano.
Lui doveva sospettare che Cesare, simulata l’amicizia, il fatto che avesse un esercito in Gallia, l’aveva per abbattere lui (Ariovisto). Che se (Cesare) non partisse e ritirasse l’esercito da quelle regioni, egli non lo considererà per amico, ma per nemico. Che se uccidesse lui (Cesare), avrebbe fatto cosa gradita a molti nobili e capi del popolo romano – questo lo aveva scoperto dagli stessi grazie ai loro messi -, e con la morte di lui (di Cesare) poteva riscattare il favore e l’amicizia di tutti.
Che se fosse partito e gli avesse concesso libero possesso della Gallia, l’avrebbe ripagato con un grande premio e qualunque guerra volesse che si facesse, l’avrebbe compiuta senza nessun suo sforzo e rischio.
- De Bello Gallico
- Libro 1
- Cesare
- De Bello Gallico