Ab urbe condita, Libro 1, Par. 48 - Studentville

Ab urbe condita, Libro 1, Par. 48

[1] Huic orationi Seruius cum intervenisset trepido nuntio excitatus,

extemplo a vestibulo curiae magna voce “Quid hoc” inquit, “Tarquini, rei est? qua tu audacia me uiuo vocare ausus es patres aut

in sede considere mea? [2] ” Cum ille ferociter ad haec – se patris sui tenere sedem; multo quam seruum potiorem filium regis

regni heredem; satis illum diu per licentiam eludentem insultasse dominis-, clamor ab utriusque fautoribus oritur et concursus

populi fiebat in curiam, apparebatque regnaturum qui vicisset. [3] Tum Tarquinius necessitate iam et ipsa cogente ultima

audere, multo et aetate et viribus ualidior, medium arripit Seruium elatumque e curia in inferiorem partem per gradus deiecit;

inde ad cogendum senatum in curiam rediit. [4] Fit fuga regis apparitorum atque comitum; ipse prope exsanguis cum sine regio

comitatu domum se reciperet ab iis qui missi ab Tarquinio fugientem consecuti erant interficitur. [5] Creditur, quia non

abhorret a cetero scelere, admonitu Tulliae id factum. Carpento certe, id quod satis constat, in forum inuecta nec reuerita

coetum virorum euocavit virum e curia regemque prima appellavit. [6] A quo facessere iussa ex tanto tumultu cum se domum

reciperet pervenissetque ad summum Cyprium vicum, ubi Dianium nuper fuit, flectenti carpentum dextra in Urbium cliuum ut in

collem Esquiliarum eueheretur, restitit pavidus atque inhibuit frenos is qui iumenta agebat iacentemque dominae Seruium

trucidatum ostendit. [7] Foedum inhumanumque inde traditur scelus monumentoque locus est – Sceleratum vicum vocant – quo amens,

agitantibus furiis sororis ac viri, Tullia per patris corpus carpentum egisse fertur, partemque sanguinis ac caedis paternae

cruento vehiculo, contaminata ipsa respersaque, tulisse ad penates suos virique sui, quibus iratis malo regni principio similes

propediem exitus sequerentur. [8] Servius Tullius regnavit annos quattuor et quadraginta ita ut bono etiam moderatoque

succedenti regi difficilis aemulatio esset; ceterum id quoque ad gloriam accessit quod cum illo simul iusta ac legitima regna

occiderunt. [9] Id ipsum tam mite ac tam moderatum imperium tamen quia unius esset deponere eum in animo habuisse quidam

auctores sunt, ni scelus intestinum liberandae patriae consilia agitanti intervenisset.

Versione tradotta

[1] Durante questo discorse essendo

sopravvenuto Servio sollecito da un nunzio trepidante subito dal vestilo della curia a gran voce disse: “Che è questo,

Tarquinio? Con quale audacia mentre io sono vivo hai osato convocare i senatori o sederti sul mio trono?” [2] Avendo quello

risposto a queste parole insolentemente che egli occupava il trono di suo padre e che il figlio di un re è un erede al trono

molto migliore di uno schiavo e che lui già abbastanza a lungo avendo calpestato i veri padroni facendosi impudentemente gioco

di loro, il clamore si levò dei fautori di entrambi e c’era l’accorrere del popolo nella curia e appariva chiaro che avrebbe

regnato chi avesse vinto. [3] Allora Tarquinio costretto ormai dalla necessità ad osare l’estrema violenza, molto più robusto

per età e per forze, prende (afferra) Servio alla vita e portatolo fuori lo scaraventa nella parte inferiore giù dalla

scalinata; Quindi ritornò in Senato per trattenere i Senatori. [4] Si verifica allora la fuga degli appartori (guardie del re)

e di quelli che lo accompagnavano: egli stesso, quasi esangue, mentre si trascinava verso casa quasi dissanguato insieme al

seguito reale, da coloro che erano stati inviati da Tarquinio. Raggiunto lui (raggiuntolo) viene ucciso. [5] Si crede, poiché

anche questo non è dissimile dagli altri delitti, che sia stato concesso per istigazione di Tullia. Di certo, per quello che è

abbastanza noto, trasportata su un carro nel foro, e senza vergogna di quel consesso di uomini, chiamò il marito fuori dalla

curia e fu la prima a chiamarlo re. [6] E da lui ordinata da tanto tumulto mentre si recava a casa e essendo giunta in cima al

vico Cipro, fino a poco tempo prima c’era un tempietto di Diana, mentre lei faceva voltare a destra il cocchio verso la costa

Urbia per essere portata al colle Espulino, si fermò pavido e trattenne le redini con cui guidava i giumenti (cavalli) e mostrò

alla padrona il corpo di Servio trucidato a Terra. [7] Si tramanda a questo punto un delitto orrendo e inumano, ed il ricordo è

conservato dal luogo: Lo chiamano vico Scellerato dove fuori di sé, sconvolta dalle furie della sorella e del marito, si dice

che tutta trasportasse per mezzo di un carro il corpo del padre ucciso insanguinò il veicolo e che ella stessa contaminata e

macchiata lo portò fino ai suoi penati e del marito, la causa della cui ira a questo cattivo inizio del regno seguì ben presto

una fine consimile. [8] Servio Tullio regnò quarantaquattro anni in modo tale che sarebbe stato difficile emularlo anche per un

successore virtuoso e moderato. Ma in realtà egli aggiunse alla sua gloria anche questo che con lui contemporaneamente finirono

i regni giusti e legittimi. [9] Questo stesso impero così mite e moderato tuttavia per il fatto che era nelle mani di un solo,

alcuni riferiscono che egli aveva avuto in animo di deporre se una discordia intestina non fosse intervenuta contro di lui che

meditava di concedere la libertà alla patria.

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