Libro 1 Paragrafo
101
Duplex est enim vis animorum atque natura; una pars in appetitu posita est quae est orme Graece quae hominem huc
et illuc rapit altera in ratione quae docet et explanat quid faciendum fugiendumque sit. Ita fit ut ratio praesit appetitus
obtemperet. Omnis autem actio vacare debet temeritate et neglegentia nec vero agere quicquam cuius non possit causam probabilem
reddere; haec est enim fere discriptio officii.
Libro 1 Paragrafo 102
Efficiendum
autem est ut appetitus rationi oboediant eamque neque praecurrant nec propter pigritiam aut ignaviam deserant sintque
tranquilli atque omni animi perturbatione careant; ex quo elucebit omnis constantia omnisque moderatio. nam qui appetitus
longius evagantur et tamquam exultantes sive cupiendo sive fugiendo non satis a ratione retinentur ii sine dubio finem et modum
transeunt. relinquunt enim et abiciunt oboedientiam nec rationi parent cui sunt subiecti lege naturae; a quibus non modo animi
perturbantur sed etiam corpora. licet ora ipsa cernere iratorum aut eorum qui aut libidine aliqua aut metu commoti sunt aut
voluptate nimia gestiunt; quorum omnium vultus voces motus statusque mutantur.
Libro 1
Paragrafo 103
Ex quibus illud intellegitur ut ad officii formam revertamur appetitus omnes contrahendos sedandosque
esse excitandamque animadversionem et diligentiam ut ne quid temere ac fortuito inconsiderate neglegenterque agamus. neque enim
ita generati a natura sumus ut ad ludum et iocum facti esse videamur ad severitatem potius et ad quaedam studia graviora atque
maiora. ludo autem et ioco uti illo quidem licet sed sicut somno et quietibus ceteris tum cum gravibus seriisque rebus satis
fecerimus. ipsumque genus iocandi non profusum nec immodestum sed ingenuum et facetum esse debet. ut enim pueris non omnem
ludendi licentiam damus sed eam quae ab honestatis actionibus non sit aliena sic in ipso ioco aliquod probi ingenii lumen
eluceat.
Libro 1 Paragrafo 104
Duplex omnino est iocandi genus unum illiberale
petulans flagitiosum obscenum alterum elegans urbanum ingeniosum facetum quo genere non modo Plautus noster et Atticorum
antiqua comoedia sed etiam philosophorum Socraticorum libri referti sunt multaque multorum facete dicta ut ea quae a sene
Catone collecta sunt quae vocantur apophthegmata. Facilis igitur est distinctio ingenui et illiberalis ioci. alter est si
tempore fit ut si remisso animo [severissimo] homine dignus alter ne libero quidem si rerum turpitudo adhibetur et verborum
obscenitas. Ludendi etiam est quidam modus retinendus ut ne nimis omnia profundamus elatique voluptate in aliquam turpitudinem
delabamur. Suppeditant autem et campus noster et studia venandi honesta exempla ludendi.
Libro
1 Paragrafo 105
Sed pertinet ad omnem officii quaestionem semper in promptu habere quantum natura hominis pecudibus
reliquisque beluis antecedat; illae nihil sentiunt nisi voluptatem ad eamque feruntur omni impetu hominis autem mens discendo
alitur et cogitando semper aliquid aut anquirit aut agit videndique et audiendi delectatione ducitur. quin etiam si quis est
paulo ad voluptates propensior modo ne sit ex pecudum genere (sunt enim quidam homines non re sed nomine) sed si quis est paulo
erectior quamvis voluptate capiatur occultat et dissimulat appetitum voluptatis propter verecundiam.
Versione tradotta
Due sono, invero, le potenze
naturali dell'animo: l'una è riposta nell'istinto (i Greci la chiamano o)rmh/ = impulso), e trascina ciecamente l'uomo qua
e là; l'altra risiede nella ragione, che insegna e dimostra quello che si debba fare e quello che è da evitare. [Onde avviene
che la ragione comanda e l'istinto obbedisce.Ogni nostra azione deve essere assolutamente priva di temerità e di negligenza;
noi non dobbiamo far nulla di cui non possiamo fornire una plausibile ragione. Questa, invero, è quasi la definizione del
dovere].
Anzitutto bisogna fare in modo che gl'istinti
obbediscano alla ragione: senza precederla né lasciarla da parte per pigrizia o per viltà, ma se ne stiano tranquilli, liberi e
franchi da ogni turbamento. Per tal modo risplenderanno in tutta la loro luce la fermezza e la temperanza. Difatti, quegli
istinti che vanno fuor di strada e, come cavalli imbizzarriti per eccesso di bramosia o di paura, non son tenuti abbastanza a
freno dalla ragione, oltrepassano senza dubbio il limite e la misura: abbandonano e rifiutano l'obbedienza, ribellandosi alla
ragione, a cui son pure sottoposti per legge di natura; sì che questi sfrenati istinti turbano non solo l'animo, ma anche il
corpo. Basta osservare l'aspetto degli uomini adirati, o di quelli che sono sconvolti da qualche passione o da qualche timore,
o di quelli che si esaltano per l'eccessiva gioia: tutto in loro si muta, il volto, la voce, l'andare, il modo di stare
fermi.
Da ciò si conclude (per tornare al nostro concetto
del dovere), che bisogna frenare e calmare tutti gl'istinti, spronando la nostra vigile attenzione sì che non si faccia nulla
alla cieca e a caso, nulla senza riflessione e con negligenza. In verità, noi non siamo stati generati dalla natura in modo da
sembrar fatti per il gioco e per lo scherzo, ma piuttosto per un dignitoso contegno e per occupazioni più serie e più
importanti. E' lecito senza dubbio lasciarsi andare talvolta al gioco e allo scherzo, ma come è il caso del sonno e degli
altri riposi, cioè quando avremo adempiuti i nostri gravi e importanti doveri. E il genere stesso dello scherzo dev'essere,
non eccessivo o smodato, ma onesto e gentile. Come non concediamo ai fanciulli ogni libertà nei giochi, ma solo quella che non
è contraria alle azioni che l'onestà richiede, così anche nello scherzo risplenda un barlume d'animo
gentile.
Ci sono, insomma, due specie di scherzi: l'uno
volgare, aggressivo, scandaloso, turpe; l'altro elegante, garbato, ingegnoso, fine. Di questa seconda specie son pieni non
solo il nostro Plauto e l'antica commedia degli Attici ma anche i libri dei filosofi socratici; e di questa specie sono molte
facezie di molti, come, per esempio, quelle che furono raccolte dal vecchio Catone e che vanno sotto il titolo di a)pofqe/gma.
E' facile, dunque, distinguere lo scherzo nobile dal volgare. L'uno è degno anche dell'uomo più austero, se è fatto a tempo
debito, come, per esempio, quando lo spirito si allenta; l'altro non è neppure degno di un uomo libero, se all'indecenza dei
pensieri si aggiunge l'oscenità delle parole.
Anche nei
divertimenti dobbiamo osservare una certa misura, per non prorompere in eccessi e, inebriati dal piacere, scivolare in qualche
sconcezza. Offrono esempi di onesti divertimenti il nostro Campo di Marte e gli esercizi della caccia.Sempre, in ogni questione
morale, conviene tener presente la grande eccellenza della natura umana rispetto a tutti gli animali, domestici e selvatici.
Questi non sentono altro che il piacere dei sensi, e ad esso son trascinati da cieco impeto; invece la mente dell'uomo trova
il suo alimento nell'imparare e nel meditare: essa o cerca o fa sempre qualche cosa, ed è guidata dalla gioia del vedere e
dell'udire. Anzi, se un uomo è per temperamento alquanto incline ai piaceri, purché non sia della razza dei bruti (alcuni sono
uomini non di fatto, ma di nome); solo che egli sia d'animo un po' elevato, per quanto dominato dal piacere, nasconde e
dissimula, per un senso di pudore, codesta sua bramosia.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone