De Officiis, Libro 1, Par. da 126 a 130 - Studentville

De Officiis, Libro 1, Par. da 126 a 130

Paragrafo 126
Sed quoniam decorum

illud in omnibus factis dictis in corporis denique motu et statu cernitur idque positum est in tribus rebus formositate ordine

ornatu ad actionem apto difficilibus ad eloquendum sed satis erit intellegi in his autem tribus continetur cura etiam illa ut

probemur iis quibuscum apud quosque vivamus his quoque de rebus pauca dicantur. Principio corporis nostri magnam natura ipsa

videatur habuisse rationem quae formam nostram reliquamque figuram in qua esset species honesta eam posuit in promptu quae

partes autem corporis ad naturae necessitatem datae aspectum essent deformem habiturae atque foedum eas contexit atque

abdidit.

Paragrafo 127
Hanc naturae tam diligentem fabricam imitata est hominum

verecundia. Quae enim natura occultavit eadem omnes qui sana mente sunt removent ab oculis ipsique necessitati dant operam ut

quam occultissime pareant; quarumque partium corporis usus sunt necessarii eas neque partes neque earum usus suis nominibus

appellant quodque facere turpe non est modo occulte id dicere obscenum est. Itaque nec actio rerum illarum aperta petulantia

vacat nec orationis obscenitas.

Paragrafo 128
Nec vero audiendi sunt Cynici aut se qui

fuerunt Stoici paene cynici qui reprehendunt et irrident quod ea quae turpia non sint verbis flagitiosa ducamus illa autem quae

turpia sunt nominibus appellemus suis. Latrocinari fraudare adulterare re turpe est sed dicitur non obscene; liberis dare

operam re honestum est nomine obscenum; pluraque in eam sententiam ab eisdem contra verecundiam disputantur. Nos autem naturam

sequamur et ab omni quod abhorret ab oculorum auriumque approbatione fugiamus; status incessus sessio accubitio vultus oculi

manuum motus teneat illud decorum.

Paragrafo 129
Quibus in rebus duo maxime sunt

fugienda ne quid effeminatum aut molle et ne quid durum aut rusticum sit. Nec vero histrionibus oratoribusque concedendum est

ut is haec apta sint nobis dissoluta. Scaenicorum quidem mos tantam habet vetere disciplina verecundiam ut in scaenam sine

subligaculo prodeat nemo; verentur enim ne si quo casu evenerit ut corporis partes quaedam aperiantur aspiciantur non decore.

Nostro quidem more cum parentibus puberes filii cum soceris generi non lavantur. Retinenda igitur est huius generis verecundia

praesertim natura ipsa magistra et duce.

Paragrafo 130
Cum autem pulchritudinis duo

genera sint quorum in altero venustas sit in altero dignitas venustatem muliebrem ducere debemus dignitatem virilem. Ergo et a

forma removeatur omnis viro non dignus ornatus et huic simile vitium in gestu motuque caveatur. Nam et palaestrici motus sunt

saepe odiosiores et histrionum nonnulli gestus ineptiis non vacant et in utroque genere quae sunt recta et simplicia laudantur.

Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa

neque exquisita nimis tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus in quo sicut in

plerisque rebus mediocritas optima est.

Versione tradotta

Paragrafo 126
Ora, questo decoro di cui parliamo e che si manifesta in ogni azione e in ogni parola, e

perfino nel muoversi e nell'atteggiamento della persona, è riposto in tre cose, difficili a spiegare bene, ma tali che basta

darne un'idea: nella bellezza, nell'ordine e nell'eleganza adatta all'azione. E in queste tre cose è compreso anche il

segreto di piacere a coloro coi quali o presso i quali viviamo. Ebbene, anche di queste cose converrà discorrere brevemente.

Prima di tutto è evidente che la natura pose grande cura nella conformazione del nostro corpo: mise in mostra il volto e tutte

quelle parti che sono decorose a vedersi, mentre celò e nascose quelle che, destinate alle necessità naturali, avrebbero avuto

un aspetto brutto e vergognoso.

Paragrafo 127
Il pudore dell'uomo imitò questa così

diligente costruzione della natura. Quelle parti che la natura nascose, tutti gli uomini sani di mente le sottraggono alla

vista, cercando di soddisfare le necessità naturali nel modo più occulto possibile; e quanto a quelle parti del corpo che

servono a certe necessarie funzioni, noi non chiamiamo col loro nome né quelle parti né le funzioni loro: in generale, ciò che

non è brutto a farsi, purché si faccia in segreto, è osceno a dirsi. Pertanto, se il fare quelle cose apertamente è indizio di

spudoratezza, non è certo indizio di pudore il parlarne senza ritegno.

Paragrafo 128
E

in verità non bisogna dar retta ai Cinici, o a quegli Stoici che furono quasi Cinici, i quali ci riprendono e ci deridono

perché giudichiamo vergognose solo a nominarle certe cose che in realtà non sono vergognose, mentre chiamiamo coi loro nomi

altre cose che in realtà sono veramente spregevoli. Per esempio, il rubare, il frodare, il falsificare, sono cose realmente

spregevoli, ma si possono nominare senza dar nell'osceno; invece il dare alla luce figlioli, cosa in sé onesta, è osceno

chiamarla col suo nome; e parecchi altri argomenti adducono gli stessi filosofi in appoggio a tale opinione contro il così

detto pregiudizio del pudore. No, noi dobbiamo prendere per guida la natura ed evitare tutto ciò che può offendere gli orecchi:

lo stare in piedi e il camminare, il modo di star a tavola, il volto, lo sguardo, il gesto conservino il più dignitoso

decoro.

Paragrafo 129
In queste cose dobbiamo soprattutto guardarci da due difetti: da

una effeminata mollezza e da una scontrosa villania. E invero non si deve ammettere che queste norme, obbligatorie per

gl'istrioni e per gli oratori, siano indifferenti per noi. Certo, il costume degli attori comporta, per antica rigidezza

morale, un così delicato pudore che nessuno osa presentarsi su la scena senza mutandine per timore che, se per qualche

accidente certe parti del corpo si scoprono, la loro vista non offenda il decoro. E così, secondo il nostro costume, i figlioli

grandi non fanno il bagno insieme col padre, né il genero col suocero. Bisogna, dunque, osservare la pudicizia anche in queste

cose, tanto più che la natura stessa ne è maestra e guida.

Paragrafo 130
Vi sono due

specie di bellezza: l'una ha in sé la grazia, l'altra la dignità. Dobbiamo perciò apprezzare la grazia propria della donna e

la dignità propria dell'uomo. Si tenga dunque lontano dalla nostra persona ogni ornamento non degno dell'uomo; si rifugga da

un simile difetto anche nel gesto e nel moto. Invero, come certe movenze da ginnasti sono spesso alquanto affettate, così

alcuni gesti di attori peccano di leziosaggine; nell'uno e nell'altro caso si lodano invece la semplicità e la naturalezza.

La nobiltà dell'aspetto si manterrà con la freschezza del colorito, e questo con gli esercizi del corpo. Si ami inoltre la

pulizia, non affettata né ricercata, ma quanto basta per schivare la rustica e incivile trascuratezza. La stessa cura dobbiamo

avere anche nel vestire; in questo come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la migliore. 131. Anche nel camminare

ci vuole misura: quando si è in cammino, non si tenga un passo troppo lento e molle, come chi va in processione, e quando si ha

fretta, non si prenda la corsa, perché il respiro diventa affannoso, il volto si altera e la bocca si storce: segni evidenti

che non c'è in noi fermezza di carattere. Ma assai più ancora dobbiamo studiarci che non discordino dalla natura i moti

dell'animo; il che ci verrà fatto, se ci guarderemo dal cadere in turbamenti e smarrimenti, e se terremo l'animo sempre

vigile e attento a conservare il decoro.

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