De Officiis, Libro 1, Par. da 131 a 135 - Studentville

De Officiis, Libro 1, Par. da 131 a 135

Paragrafo 131
Cavendum autem est ne aut tarditatibus utamur [in] ingressu mollioribus ut pomparum

ferculis similes esse videamur aut in festinationibus suscipiamus nimias celeritates quae cum fiunt anhelitus moventur vultus

mutantur ora torquentur; ex quibus magna significatio fit non adesse constantiam. Sed multo etiam magis elaborandum est ne

animi motus a natura recedant quod assequemur si cavebimus ne in perturbationes atque exanimationes incidamus et si attentos

animos ad decoris conservationem tenebimus.

Paragrafo 132
Motus autem animorum

duplices sunt; alteri cogitationis alteri appetitus. Cogitatio in vero exquirendo maxime versatur appetitus impellit ad

agendum. Curandum est igitur ut cogitatione ad res quam optimas utamur appetitum rationi oboedientem praebeamus. Et quoniam

magna vis orationis est eaque duplex altera contentionis altera sermonis contentio disceptationibus tribuatur iudiciorum

contionum senatus sermo in circulis disputationibus congressionibus familiarium versetur sequatur etiam convivia. Contentionis

praecepta rhetorum sunt nulla sermonis quamquam haud scio an possint haec quoque esse. Sed discentium studiis inveniuntur

magistri huic autem qui studeant sunt nulli rhetorum turba referta omnia; quamquam quae verborum sententiarumque praecepta sunt

eadem ad sermonem pertinebunt.

Paragrafo 133
Sed cum orationis indicem vocem habeamus

in voce autem duo sequamur ut clara sit ut suavis utrumque omnino a natura petundum est verum alterum exercitatio augebit

alterum imitatio presse loquentium et leniter. Nihil fuit in Catulis ut eos exquisito iudicio putares uti litterarum quamquam

erant litterati; sed et alii; hi autem optime uti lingua Latina putabantur. Sonus erat dulcis litterae neque expressae neque

oppressae ne aut obscurum esset aut putidum sine contentione vox nec languens nec canora. Uberior oratio L. Crassi nec minus

faceta sed bene loquendi de Catulis opinio non minor. Sale vero et facetiis Caesar Catuli patris frater vicit omnes ut in illo

ipso forensi genere dicendi contentiones aliorum sermone vinceret. In omnibus igitur his elaborandum est si in omni re quid

deceat exquirimus.

Paragrafo 134
Sit ergo hic sermo in quo Socratici maxime excellunt

lenis minimeque pertinax insit in eo lepos. Nec vero tamquam in possessionem suam venerit excludat alios sed cum reliquis in

rebus tum in sermone communi vicissitudinem non iniquam putet. Ac videat in primis quibus de rebus loquatur si seriis

severitatem adhibeat si iocosis leporem. In primisque provideat ne sermo vitium aliquod indicet inesse in moribus; quod maxime

tum solet evenire cum studiose de absentibus detrahendi causa aut per ridiculum aut severe maledice contumelioseque

dicitur.

Paragrafo 135
Habentur autem plerumque sermones aut de domesticis negotiis

aut de re publica aut de artium studiis atque doctrina. Danda igitur opera est ut etiamsi aberrare ad alia coeperit ad haec

revocetur oratio sed utcumque aderunt; neque enim isdem de rebus nec omni tempore nec similiter delectamur. Animadvertendum est

etiam quatenus sermo delectationem habeat et ut incipiendi ratio fuerit ita sit desinendi modus.

Versione tradotta

Paragrafo 131
Anche nel camminare ci vuole misura: quando si è in

cammino, non si tenga un passo troppo lento e molle, come chi va in processione, e quando si ha fretta, non si prenda la corsa,

perché il respiro diventa affannoso, il volto si altera e la bocca si storce: segni evidenti che non c'è in noi fermezza di

carattere. Ma assai più ancora dobbiamo studiarci che non discordino dalla natura i moti dell'animo; il che ci verrà fatto, se

ci guarderemo dal cadere in turbamenti e smarrimenti, e se terremo l'animo sempre vigile e attento a conservare il

decoro.

Paragrafo 132
I moti dell'animo, poi, sono di due specie: del pensiero e del

sentimento; il pensiero ha per fine supremo la ricerca della verità; il sentimento ci spinge all'azione. Dobbiamo dunque

cercare di rivolgere il pensiero al conseguimento dei più alti e nobili ideali, e di rendere docile il sentimento al controllo

della ragione. Grande importanza ha il discorso, il quale è di due tipi: quello della trattazione oratoria e quello della

conversazione familiare. L'oratorio sia riservato alle discussioni che si fanno nei tribunali e nelle assemblee del popolo o

del senato; il familiare si adoperi nei circoli, nelle dispute, nei convegni d'amici ed entri anche nei conviti. Per

l'oratorio, ci sono i precetti dei retori, per il familiare non c'è nessun precetto; credo, peraltro, che se ne possano dare

anche per questo. In realtà è la passione degli scolari che crea e moltiplica i maestri; a questo parlar familiare nessuno

presta attenzione, tutto il mondo si affolla intorno ai retori. Del resto, non esistono forse precetti intorno alle parole e ai

pensieri? Ebbene, questi precetti si estendano anche al parlar familiare.

Paragrafo

133
Come strumento del discorso abbiamo la voce e nella voce dobbiamo cercare due qualità: la chiarezza e la dolcezza.

L'uno e l'altra dote la si deve richiedere dalla natura; ma l'una si accrescerà con l'esercizio e l'altra con

l'imitazione di coloro che parlano con pronunzia precisa e pacata. Non c'era nulla nei Catuli che li facesse giudicare dotati

di uno squisito gusto letterario; erano colti, sì,ma come tanti altri; eppure essi avevano fama di parlar magnificamente il

latino: il tono della loro voce era dolce; le sillabe non erano né strascicate né smozzicate, sì che non c'era neppure

un'ombra né di affettazione, né di oscurità; la voce usciva dalla loro bocca senza sforzo, né languida né canora. Più ricco, e

non meno piacevole, era il discorrere di Lucio Crasso ma non minor fama di buoni parlatori ebbero i Catuli. Nelle arguzie e

nelle facezie, poi, Cesare, fratello di Catulo padre, superò tutti, così che perfino nella eloquenza forense egli, col suo

parlar familiare, vinceva il solenne parlare degli altri. In tutte queste cose noi dobbiamo porre attenzione, se vogliamo

conseguire in tutto e per tutto il decoro.

Paragrafo 134
Dunque, questo parlar

familiare, in cui si segnalano soprattutto i Socratici, sia placido e mite e non petulante; abbia in sé la grazia, e non

escluda gli altri tipi di discorso, come se questo fosse il padrone assoluto del campo; anzi, come in ogni altra cosa, così

specialmente nel conversar comune è giusto l'avvicendarsi degli interlocutori. E' bene che (chi parla) rifletta dapprima sui

temi di cui deve discorrere: se seri, si adoperi un linguaggio austero; se scherzosi, la gaiezza. E prima di tutto procuri che

il suo discorrere non tradisca mai qualche suo intimo difetto morale, come di solito accade quando, a bella posta, a scopo di

denigrazione, si fa dell'offensiva maldicenza a carico di persone assenti, o con aria scherzosa, o con severo

cipiglio.

Paragrafo 135
Offrono per lo più materia al conversar familiare gli affari

privati, la politica, l'arte, la scienza. Se il discorso comincia a scivolare verso altri argomenti, si cerchi di ricondurlo

al tema, ma sempre in armonia col gusto dei presenti: poiché noi non ci compiacciamo né in ogni momento né in egual modo delle

stesse cose. Bisogna porre attenzione fino a che punto il discorso riesca dilettevole e interessante; e, come c'è stata una

buona ragione per cominciarlo, così si trovi una bella maniera per terminarlo.

  • Letteratura Latina
  • De Officiis di Cicerone
  • Cicerone

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti