Paragrafo 146
Itaque ut in fidibus musicorum aures vel minima
sentiunt sic nos si acres ac diligentes iudices esse volumus animadversores[que] vitiorum magna saepe intellegemus ex parvis.
Ex oculorum optutu superciliorum aut remissione aut contractione ex maestitia ex hilaritate ex risu ex locutione ex reticentia
ex contentione vocis ex summissione ex ceteris similibus facile iudicabimus quid eorum apte fiat quid ab officio naturaque
discrepet. Quo in genere non est incommodum quale quidque eorum sit ex aliis iudicare ut si quid dedeceat in illis vitemus
ipsi; fit enim nescio quomodo ut magis in aliis cernamus quam in nobismet ipsis si quid delinquitur. Itaque facillume
corriguntur in discendo quorum vitia imitantur emendandi causa magistri.
Paragrafo
147
Nec vero alienum est ad ea deligenda quae dubitationem afferunt adhibere doctos homines vel etiam usu peritos et
quid iis de quoque officii genere placeat exquirere. Maior enim pars eo fere deferri solet quo a natura ipsa deducitur. In
quibus videndum est non modo quid quisque loquatur sed etiam quid quisque sentiat atque etiam de qua causa quisque sentiat. Ut
enim pictores et ii qui signa fabricantur et vero etiam poetae suum quisque opus a vulgo considerari vult ut si quid
reprehensum sit a pluribus id corrigatur iique et secum et ab aliis quid in eo peccatum sit exquirunt sic aliorum iudicio
permulta nobis et facienda et non facienda et mutanda et corrigenda sunt.
Paragrafo
148
Quae vero more agentur institutisque civilibus de his nihil est praecipiendum; illa enim ipsa praecepta sunt nec
quemquam hoc errore duci oportet ut siquid Socrates aut Aristippus contra morem consuetudinemque civilem fecerint locutive sint
idem sibi arbitretur licere; magnis illi et divinis bonis hanc licentiam assequebantur. Cynicorum vero ratio tota est eicienda;
est enim inimica verecundiae sine qua nihil rectum esse potest nihil honestum.
Paragrafo
149
Eos autem quorum vita perspecta in rebus honestis atque magnis est bene de re publica sentientes ac bene meritos
aut merentes sic ut aliquo honore aut imperio affectos observare et colere debemus tribuere etiam multum senectuti cedere iis
qui magistratum habebunt habere dilectum civis et peregrini in ipsoque peregrino privatimne an publice venerit. Ad summam ne
agam de singulis totius generis hominum conciliationem et consociationem colere tueri servare
debemus.
Paragrafo 150
Iam de artificiis et quaestibus qui liberales habendi qui
sordidi sint haec fere accepimus. Primum improbantur ii quaestus qui in odia hominum incurrunt ut portitorum ut feneratorum.
Illiberales autem et sordidi quaestus mercennariorum omnium quorum operae non quorum artes emuntur; est enim in illis ipsa
merces auctoramentum servitutis. Sordidi etiam putandi qui mercantur a mercatoribus quod statim vendant; nihil enim proficiant
nisi admodum mentiantur; nec vero est quicquam turpius vanitate. Opificesque omnes in sordida arte versantur; nec enim quicquam
ingenuum habere potest officina. Minimeque artes eae probandae quae ministrae sunt voluptatum:
Cetarii lanii coqui fartores
piscatores
ut ait Terentius; adde huc si placet unguentarios saltatores totumque ludum talarium.
Versione tradotta
Ora, come nel suono della cetra, gli orecchi dei musici avvertono anche le più
lievi stonature, così noi, se vogliamo essere acuti e diligenti osservatori dei vizi umani, potremo da piccoli indizi rilevare
grandi difetti. Da un volger d'occhi, da uno spianare o aggrottar di ciglia, dalla tristezza, dall'allegria, dal sorriso, dal
parlare, dal tacere, da un alzare o abbassar di voce, da questi e da altri simili atteggiamenti, ci sarà facile giudicare quale
di essi si accordi e quale invece discordi dal dovere e dalla natura. Per questo rispetto, è molto utile osservare negli altri
il particolar valore di ciascuno di quegli atti, sì che noi possiamo evitare ciò che è sconveniente: è vero, purtroppo, che ,
se c'è qualche mancanza o difetto, noi lo scorgiamo più acutamente negli altri che in noi stessi. Ecco perché si correggono
tanto più facilmente quegli scolari, i cui maestri ne imitano i difetti, allo scopo di
correggerli.
E non è inopportuno, per fare una buona scelta tra casi
dubbi, ricorrere al consiglio di persone dotte, o anche solo esperte della vita, cercando di conoscere il loro giudizio su ogni
particolare dovere. [La maggior parte degli uomini, infatti, hanno per guida il loro naturale istinto]. In tutti costoro,
dunque, giova osservare non solo le parole, ma anche i sentimenti di ciascuno, e, di questi sentimenti, le specifiche ragioni.
Come i pittori e gli scultori, e in realtà anche i poeti, sottopongono ciascuno l'opera sua al giudizio della gente,
nell'intento di correggere quei tratti in cui concordano le critiche di molti, riservandosi d'esaminare poi tra sé e con
altri in che consista il notato errore, così ci sono moltisime cose che noi dobbiamo fare o non fare, e anche mutare o
correggere secondo il giudizio degli altri.
Quanto a quella condotta che
si adeguano ai costumi e alle usanze cìvili, non occorre dare su di essa alcun precetto, perché quei costumi e quelle usanze
valgono di per sé come precetti; e nessuno deve cadere nell'errore di credere che, se Socrate o Aristippo, con l'azione o con
la parola, si misero talvolta contro i costumi e le usanze cittadine, la stessa facoltà sia concessa a lui: essi ottenevano
questa libertà per rispetto delle loro grandi ed eccelse virtù. Il sistema di vita dei Cinici, però, è da rigettarsi
totalmente: esso è nemico del ritegno, senza del quale non c'è rettitudine e non c'è
onestà.
Quelli, poi, la cui vita si è distinta per oneste e grandi
azioni; quelli che sono animati da un vero amor di patria, e hanno acquisito e acquisiscono tuttora benemerenze, tutti questi
noi li dobbiamo rispettare e riverire non meno che se fossero investiti di qualche carica militare o civile. Dobbiamo anche
rendere omaggio alla vecchiezza, mostrare deferenza verso i magistrati, far distinzione tra cittadino e forestiero e, nel
forestiero stesso, guardare se sia venuto come privato o in veste ufficiale. In una parola, per non entrare in troppi
particolari, noi dobbiamo rispettare, difendere e sostenere tutto ciò che promuove e aiuta la fratellanza e l'armonia di tutto
il genere umano.
Parliamo, infine, delle professioni e dei guadagni.
Quali di essi sono da reputarsi nobili e quali ignobili? Ecco, all'incirca, quanto la tradizione ci insegna. Anzitutto, si
disapprovano quei guadagni che suscitano l'odio della gente, come quelli degli esattori e degli usurai. Ignobili e abietti,
poi, sono i guadagni di tutti quei mercenari che vendono, non l'opera della mente, ma il lavoro del braccio: in essi la
mercede è per se stessa il prezzo della loro servitù. Abietti sono da reputarsi anche coloro che acquistano dai grossi mercanti
cose da rivender subito al minuto: costoro non farebbero alcun guadagno se non dicessero tante bugie; e il mentire è la più
grande vergogna del mondo. Tutti gli artigiani, inoltre, esercitano un mestiere volgare: non c'è ombra di nobiltà in una
bottega. Ancora più in basso sono quei mestieri che servono al piacere:
" Pescivendoli, macellai, cuochi, salsicciai,
pescatori". per dirla con Terenzio;aggiungi pure, se non ti dispiace, i profumieri, i ballerini e tutta la masnada dei mimi e
delle mime.
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