Paragrafo 151
Quibus autem artibus aut prudentia maior inest aut non
mediocris utilitas quaeritur ut medicina ut architectura ut doctrina rerum honestarum eae sunt iis quorum ordini conveniunt
honestae. Mercatura autem si tenuis est sordida putanda est; sin magna et copiosa multa undique apportans multisque sine
vanitate inpertiens non est admodum vituperanda; atque etiam si satiata quaestu vel contenta potius ut saepe ex alto in portum
ex ipso se portu in agros possessionesque contulit videtur iure optimo posse laudari. Omnium autem rerum ex quibus aliquid
adquiritur nihil est agri cultura melius nihil uberius nihil dulcius nihil homine libero dignius. De qua quoniam in Catone
Maiore satis multa diximus illim assumes quae ad hunc locum pertinebunt.
Paragrafo
152
Sed ab iis partibus quae sunt honestatis quem ad modum officia ducerentur satis eitum videtur. Eorum autem ipsorum
quae honesta sunt potest incidere saepe contentio et comparatio de duobus honestis utrum honestius qui locus a Panaetio est
praetermissus. Nam cum omnis honestas manet a partibus quattuor quarum una sit cognitionis altera communitatis tertia
magnanimitatis quarta moderationis haec in deligendo officio saepe inter se comparentur necesse
est.
Paragrafo 153
Placet igitur aptiora esse naturae ea officia quae ex communitate
quam ea quae ex cognitione ducantur idque hoc argumento confirmari potest quod si contigerit ea vita sapienti ut omnium rerum
affluentibus copiis [quamvis] omnia quae cognitione digna sint summo otio secum ipse consideret et contempletur tamen si
solitudo tanta sit ut hominem videre non possit excedat e vita. Princepsque omnium virtutum illa sapientia quam sophian Graeci
vocant–prudentiam enim quam Graeci phronesin dicunt aliam quandam intellegimus quae est rerum expetendarum fugiendarumque
scientia; illa autem sapientia quam principem dixi rerum est divinarum et humanarum scientia in qua continetur deorum et
hominum communitas et societas inter ipsos; ea si maxima est ut est certe necesse est quod a communitate ducatur officium id
esse maximum. Etenim cognitio contemplatioque [naturae] manca quodam modo atque inchoata sit si nulla actio rerum consequatur.
Ea autem actio in hominum commodis tuendis maxime cernitur; pertinet igitur ad societatem generis humani; ergo haec cognitioni
anteponenda est.
Paragrafo 154
Atque id optimus quisque re ipsa ostendit et iudicat.
Quis enim est tam cupidus in perspicienda cognoscendaque rerum natura ut si ei tractanti contemplantique res cognitione
dignissimas subito sit allatum periculum discrimenque patriae cui subvenire opitularique possit non illa omnia relinquat atque
abiciat etiamsi dinumerare se stellas aut metiri mundi magnitudinem posse arbitretur? atque hoc idem in parentis in amici re
aut periculo fecerit.
Paragrafo 155
Quibus rebus intellegitur studiis officiisque
scientiae praeponenda esse officia iustitiae quae pertinent ad hominum utilitatem qua nihil homini esse debet antiquius. Atque
illi ipsi quorum studia vitaque omnis in rerum cognitione versata est tamen ab augendis hominum utilitatibus et commodis non
recesserunt. Nam et erudierunt multos quo meliores cives utilioresque rebus suis publicis essent ut Thebanum Epaminondam Lysis
Pythagoreus Syracosium Dionem Plato multique multos nosque ipsi quicquid ad rem publicam attulimus si modo aliquid attulimus a
doctoribus atque doctrina instructi ad eam et ornati accessimus.
Versione tradotta
151
Tutte quelle professioni, invece, che richiedono maggiore intelligenza e che procurano inestimabile profitto, come
la medicina, l'architettura e l'insegnamento delle arti liberali, sono professioni onorevoli per coloro al cui ceto si
addicono. Quanto al commercio, se è in piccolo, è da considerarsi degradante; ma se è in grande, poiché con esso si importano
da ogni parte molte merci e sono distribuite a molti senza frode, non è poi tanto da biasimarsi. Anzi, se il mercante, sazio o,
per dir meglio, contento dei suoi guadagni, come spesso dall'alto mare si trasferisce nel porto, così ora dal porto si ritira
nei suoì possedimenti in campagna, merita evidentemente ogni lode. Ma fra tutte le occupazioni, da cui si può trarre qualche
profitto, la più nobile, la più feconda, la più dilettevole, la più degna di un vero uomo e di un libero cittadino è
l'agricoltura. Di essa ho parlato abbastanza nel mio " Catone Maggiore"; e tu potrai apprendere da quel libro ciò che riguarda
quest'argomento.
Mi pare d'aver spiegato a sufficienza in che modo i
doveri derivino da quelle virtù che compongono l'onesto. Ma può spesso accadere che, anche quelle azioni che sono oneste
vengano in conflitto o a confronto tra di loro: di due azioni oneste, qual è la più onesta? Questione che Panezio tralasciò
completamente. Invero, poiché l'onestà scaturisce tutta da quattro fonti, delle quali la prima consiste nell'amore del
sapere, la seconda nel sentimento dell'umana fratellanza, la terza nella fortezza, la quarta nella temperanza, ne viene di
necessità che queste virtù, nella scelta del dovere, vengano spesso a confronto tra di
loro.
Ora appunto io credo che siano più conformi alla natura quei
doveri che derivano dal sentimento della socialità che non quelli che derivano dalla sapienza; e lo si può comprovare con
quest'argomento, che, se il sapiente avesse in sorte una vita tale che, affluendogli in grande abbondanza ogni bene, potesse
meditare e contemplare tra sé in santa pace le più alte e nobili verità, tuttavia, se la solitudine fosse così grande da non
veder mai faccia d'uomo, finirebbe col rinunziare alla vita. Poi, quella sapienza, signora di tutte le virtù, che i Greci
chiamano sofi/a da non confondersi con la prudenza, che i Greci chiamano fro'nhsij e che io definirei la conoscenza di ciò che
si deve cercare o fuggire); quella sapienza, dunque, che ho chiamato signora, altro non è che la scienza delle cose divine e
umane e in sé comprende gli scambievoli rapporti tra gli dèi e gli uomini e le relazioni degli uomini tra di loro. Ora, se
questa virtù è, com'è senza dubbio, la maggiore fra tutte, ne viene di necessità che il dovere, che dall'umana convivenza
deriva, è fra tutti il maggiore. E invero la conoscenza e la contemplazione dell'universo è, in certo qual modo, manchevole e
imperfetta se nessun'azione pratica la segue. Ma l'azione pratica si esplica soprattutto nella difesa dei beni comuni a tutti
gli uomini; riguarda, dunque, la convivenza del genere umano. L'azione, pertanto, è da anteporre alla
scienza.
E appunto gli uomini migliori lo dimostrano col giudizio e coi
fatti. Chi è così appassionato per lo studio e per la conoscenza dell'universo, che se, mentre è tutto intento a contemplare
altissime verità, gli giunge tutt'a un tratto notizia che è in estremo pericolo la sua patria, alla quale egli può recar
pronto e valido soccorso, non abbandoni all'istante ogni cosa, anche se si riprometta di poter contare le stelle ad una ad una
o misurar la grandezza del mondo? E altrettanto farebbe se si trovasse nel bisogno o nel pericolo il padre o
l'amico.
Da tutto ciò si comprende che agli studi e ai doveri della
scienza si devono anteporre i doveri della giustizia, i quali hanno per fine la fratellanza umana, che deve essere il supremo
ideale dell'uomo. Dirò di più: perfino coloro che dedicarono tutti i loro studi e tutta la loro vita al sapere, non
rinunziarono però a promuovere la prosperità e la felicità degli uomini. In verità, essi educarono molti a essere migliori
cittadini e più utili alla loro patria, come appunto fece il pitagorico Liside col tebano Epaminonda; come fece Platone col
siracusano Dioneo così molti altri con molti altri; e anch'io, quel po' di bene che ho fatto alla mia patria, se pure ne ho
fatto, lo si deve all'essere io entrato nella vita pubblica ammaestrato dai filosofi e ben dotato di dottrina.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone