Paragrafo
156
Neque solum vivi atque praesentes studiosos discendi erudiunt atque docent sed hoc idem etiam post mortem
monumentis litterarum assequuntur. Nec enim locus ullus est praetermissus ab iis qui ad leges qui ad mores qui ad disciplinam
rei publicae pertineret ut otium suum ad nostrum negotium contulisse videantur. Ita illi ipsi doctrinae studiis et sapientiae
dediti ad hominum utilitatem suam intelligentiam prudentiamque potissimum conferunt; ob eamque etiam causam eloqui copiose modo
prudenter melius est quam vel acutissime sine eloquentia cogitare quod cogitatio in se ipsa vertitur eloquentia complectitur
eos quibuscum communitate iuncti sumus.
Paragrafo 157
Atque ut apium examina non
fingendorum favorum causa congregantur sed cum congregabilia natura sint fingunt favos sic homines ac multo etiam magis natura
congregati adhibent agendi cogitandique sollertiam. Itaque nisi ea virtus quae constat ex hominibus tuendis id est ex societate
generis humani attingat cognitionem rerum solivaga cognitio et ieiuna videatur itemque magnitudo animi remota communitate
coniunctioneque humana feritas sit quaedam et immanitas. Ita fit ut vincat cognitionis studium consociatio hominum atque
communitas.
Paragrafo 158
Nec verum est quod dicitur a quibusdam propter necessitatem
vitae quod ea quae natura desideraret consequi sine aliis atque efficere non possemus idcirco initam esse cum hominibus
communitatem et societatem; quodsi omnia nobis quae ad victum cultumque pertinent quasi virgula divina ut aiunt suppeditarentur
tum optimo quisque ingenio negotiis omnibus omissis totum se in cognitione et scientia collocaret. Non est ita. Nam et
solitudinem fugeret et socium studii quaereret tum docere tum discere vellet tum audire tum dicere. Ergo omne officium quod ad
coniunctionem hominum et ad societatem tuendam valet anteponendum est illi officio quod cognitione et scientia
continetur.
Paragrafo 159
Illud forsitan quaerendum sit num haec communitas quae
maxime est apta naturae ea sit etiam moderationi modestiaeque semper anteponenda. non placet; sunt enim quaedam partim ita
foeda partim ita flagitiosa ut ea ne conservandae quidem patriae causa sapiens facturus sit. Ea Posidonius collegit permulta
sed ita taetra quaedam ita obscena ut dictu quoque videantur turpia. Haec igitur non suscipiet rei publicae causa ne res
publica quidem pro se suscipi volet. Sed hoc commodius se res habet quod non potest accidere tempus ut intersit rei publicae
quicquam illorum facere sapientem.
Paragrafo 160
Quare hoc quidem effectum sit in
officiis deligendis id genus officiorum excellere quod teneatur hominum societate. [Etenim cognitionem prudentiamque sequetur
considerata actio; ita fit ut agere considerate pluris sit quam cogitare prudenter]. Atque haec quidem hactenus. Patefactus
enim locus est ipse ut non difficile sit in exquirendo officio quid cuique sit praeponendum videre. In ipsa autem communitate
sunt gradus officiorum ex quibus quid cuique praestet intellegi possit ut prima diis immortalibus secunda patriae tertia
parentibus deinceps gradatim reliquis debeantur.
Paragrafo 161
Quibus ex rebus
breviter disputatis intellegi potest non solum id homines solere dubitare honestumne an turpe sit sed etiam duobus propositis
honestis utrum honestius sit. Hic locus a Panaetio est ut supra dixi praetermissus. Sed iam ad reliqua
pergamus.
Versione tradotta
E questi uomini, non solo finché
sono vivi e presenti, istruiscono e ammaestrano gli spiriti avidi di sapere, ma anche dopo morti ottengono il medesimo effetto
con le loro immortali scritture. Essi non tralasciarono alcun argomento che riguardasse le leggi, la morale, il buon governo
dello Stato, così che può dirsi che consacrarono i loro studi privati al bene della nostra vita pubblica. Così anche quei
sapienti, dediti agli studi scientifici e filosofici, recano principalmente al bene comune il contributo del loro ingegno e
della loro saggezza. E per la stessa ragione, anche l'eloquenza, purché illuminata dal pensiero, vale più di una speculazione
quanto mai acuta, ma incapace di esprimersi; perché la speculazione si chiude in se stessa, mentre l'eloquenza abbraccia tutti
coloro che un comune vincolo unisce e affratella.
Anzi, come le api non
si raccolgono in sciami per costruir favi, ma costruiscono favi perché sono naturalmente socievoli, così, e tanto più, gli
uomini, appunto perché uniti in società per naturale istinto, mettono in comune la loro capacità di operare e di pensare.
Perciò, se quella virtù che consiste nella tutela degli uomini, cioè nell'alleanza del genere umano, non informasse la
conoscenza, la conoscenza parrebbe una solitaria e povera cosa; [e così la fortezza, disgiunta dalla fratellanza umana, non
sarebbe altro che crudeltà e ferocia].
Onde avviene che il sentimento
della fratellanza umana sia superiore all'amore del sapere. E non è vero quel che dicono certi filosofi: "La società umana ha
avuto origine dalle necessità della vita, perché noi, senza l'aiuto degli altri, non potremmo né ottenere né provvedere quel
che la natura richiede. E se, come suol dirsi, una bacchetta magica ci procurasse tutte quelle cose che servono ai bisogni e
agli agi della vita, ogni uomo di più felice ingegno lascerebbe da parte ogni altro affare per dedicarsi tutto alla
speculazione e alla scienza". Ma no, non è così: costui fuggirebbe la solitudine e si cercherebbe un compagno di studi;
vorrebbe insegnare e imparare, vorrebbe ascoltare e parlare. Ogni dovere, dunque, che valga a preservare la società e la
fratellanza degli uomini si deve anteporre a quel dovere che è inerente all'attività del
pensiero.
Ora, ci si potrebbe domandare: questo sentimento di
fratellanza, che più d'ogni altro è conforme alla natura umana, è anche da anteporsi sempre alla moderazione e alla
temperanza? Io rispondo di no. Ci sono certe azioni così infami, così criminose che un uomo saggio non si sognerebbe mai di
commettere neppure per salvare la propria patria. Posidonio ne raccolse moltissimi esempi, ma alcuni così sconci, così osceni
che paion turpi anche solo a dirsi. Di questi, dunque, l'uomo saggio non si aggraverà la coscienza neppure per amor di patria;
e del resto nemmeno la patria vorrà che uno si disonori per amor suo. Ma, per fortuna, la cosa è tanto più agevole in quanto è
del tutto improbabile che l'interesse dello Stato esiga un tale sacrificio dal
sapiente.
Resti perciò ben fermo questo principio: nella scelta dei
doveri, prevalga quella specie di doveri che è connaturato con la società umana. [E razionale sarà quell'azione che seguirà
conoscenza e saggezza; solo così avverrà che l'agire con riflessione valga più dell'accorto pensiero]. Ma di ciò basta. Il
punto essenziale è chiarito, sì che non è difficile, indagando la legge morale, vedere la gerarchia dei doveri. Ma anche
nell'ambito della convivenza umana c'è una gradazione di doveri, dalla quale si può comprendere la loro rispettiva
preminenza. Così, i primi doveri sono verso gli dèi immortali, i secondi verso la patria, i terzi verso i genitori, e gli
altri, gradatamente verso gli altri.
Da questa breve discussione,
si deduce come gli uomini ordinariamente si pongano non soltanto il problema se un'azione sia onesta o disonesta, ma anche,
quale delle due sia più onesta, una volta messi di fronte a due azioni oneste. Questione che, come ho detto in precedenza, fu
trascurata da Panezio Ma ormai è tempo di passare ad altri argomenti.
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