Libro 1 Paragrafo 16
Ut enim
quisque maxime perspicit quid in re quaque verissimum sit quique acutissime et celerrime potest et videre et explicare rationem
is prudentissimus et sapientissimus rite haberi solet. Quocirca huic quasi materia quam tractet et in qua versetur subiecta est
veritas.
Libro 1 Paragrafo 17
Reliquis autem tribus virtutibus necessitates
propositae sunt ad eas res parandas tuendasque quibus actio vitae continetur ut et societas hominum coniunctioque servetur et
animi excellentia magnitudoque cum in augendis opibus utilitatibusque et sibi et suis comparandis tum multo magis in his ipsis
despiciendis eluceat. Ordo autem et constantia et moderatio et ea quae sunt his similia versantur in eo genere ad quod est
adhibenda actio quaedam non solum mentis agitatio. Is enim rebus quae tractantur in vita modum quendam et ordinem adhibentes
honestatem et decus conservabimus.
Libro 1 Paragrafo 18
Ex quattuor autem locis in
quos honesti naturam vimque divisimus primus ille qui in veri cognitione consistit maxime naturam attingit humanam. Omnes enim
trahimur et ducimur ad cognitionis et scientiae cupiditatem in qua excellere pulchrum putamus labi autem errare nescire decipi
et malum et turpe ducimus. In hoc genere et naturali et honesto duo vitia vitanda sunt unum ne incognita pro cognitis habeamus
hisque temere assentiamur quod vitium effugere qui volet–omnes autem velle debent–adhibebit ad considerandas res et tempus et
diligentiam.
Libro 1 Paragrafo 19
Alterum est vitium quod quidam nimis magnum studium
multamque operam in res obscuras atque difficiles conferunt easdemque non necessarias. Quibus vitiis declinatis quod in rebus
honestis et cognitione dignis operae curaeque ponetur id iure laudabitur ut in astrologia C. Sulpicium audimus in geometria
Sex. Pompeium ipsi cognovimus multos in dialecticis plures in iure civili quae omnes artes in veri investigatione versantur
cuius studio a rebus gerendis abduci contra officium est. Virtutis enim laus omnis in actione consistit a qua tamen fit
intermissio saepe multique dantur ad studia reditus; tum agitatio mentis quae numquam adquiescit potest nos in studiis
cognitionis etiam sine opera nostra continere. Omnis autem cogitatio motusque animi aut in consiliis capiendis de rebus
honestis et pertinentibus ad bene beateque vivendum aut in studiis scientiae cognitionisque versabitur. Ac de primo quidem
officii fonte diximus
Libro 1 Paragrafo 20
De tribus autem reliquis latissime patet
ea ratio qua societas hominum inter ipsos et vitae quasi communitas continetur; cuius partes duae: iustitia in qua virtutis
splendor est maximus ex qua viri boni nominantur et huic coniuncta beneficentia quam eandem vel benignitatem vel liberalitatem
appellari licet. Sed iustitiae primum munus est ut ne cui quis noceat nisi lacessitus iniuria deinde ut communibus pro
communibus utatur privatis ut suis.
Versione tradotta
16
Difatti, chi più si addentra con gli occhi della mente nella segreta verità delle cose; chi con più acume e con più
prontezza può non solo penetrarne, ma anche spiegarne le intime ragioni, questi di solito è giustamente considerato il più
prudente e il più saggio. Costui perciò ha in suo potere la verità, quasi come materia ch'egli debba trattare e di cui
occuparsi.
Le altre tre virtù hanno il compito di procurare e
salvaguardare quelle cose da cui dipende la vita pratica, perché da un lato il legame sociale tra gli uomini si mantenga saldo,
dall'altro l'eccellenza e la grandezza dell'animo risplenda in tutta la sua luce, non solo nell'accrescere potenza e
vantaggi a sé e ai propri cari, ma anche, e molto più, nel disprezzar tali cose. Allo stesso modo, l'ordine, la coerenza, la
moderazione e le altre simili virtù sono di natura tale che esigono non solo un'attività intellettuale, ma anche un'attività
pratica. Se dunque alle operazioni della vita comune conferiamo una certa misura e un certo ordine, ecco, noi preserviamo ad un
tempo l'onestà e la dignità.
Delle quattro parti (o tipi), in
cui abbiamo diviso l'intima essenza dell'onesto, quella prima, che si fonda sulla conoscenza del vero, tocca più da vicino
l'essenza della natura umana. In verità, tutti siamo irresistibilmente trascinati dal desiderio di conoscere e di sapere;
tutti stimiamo nobile e bello eccellere in questo campo, mentre giudichiamo triste e brutta cosa il cadere in fallo e lo
smarrire la strada, il peccare d'ignoranza e il lasciarsi ingannare. In questa naturale e onesta inclinazione, dobbiamo
peraltro evitare due difetti: il primo è che non si tenga per noto l'ignoto, dandogli ciecamente il nostro assenso; e chi
vorrà fuggire questo difetto (e tutti dobbiamo volerlo), applicherà tempo e diligenza a ben considerare le
cose.
Il secondo difetto è che taluni pongono troppa attenzione
e troppa fatica in cose oscure e astruse, e, per giunta, non necessarie. Eliminati questi due difetti, tutto lo sforzo e tutta
la cura che si porrà in questioni oneste e proficue, avrà giusta e meritata lode: così fece, per esempio, nell'astronomia -
come ho sentito raccontare - Gaio Sulpicio; nella matematica - come so per esperienza personale - Sesto Pompeo; e così fecero
molti nella dialettica, molti altri ancora nel diritto civile: tutte discipline che hanno per oggetto la ricerca del vero. Ma
se l'ardore di questa ricerca ci distoglie dai pubblici affari, noi manchiamo al nostro dovere: tutto il pregio della virtù
consiste nell'azione. L'azione tuttavia ci consente spesso qualche svago, e molte occasioni ci si offrono per tornare ai
nostri studi; inoltre, l'attività della mente, che non conosce riposo, vale di per sé a impegnarci nelle indagini speculative,
anche senza nostro deliberato proposito. Ma ogni atto della mente, ogni moto dell'animo deve avere per oggetto, o le sagge e
oneste decisioni che riguardano la moralità e felicità della vita, o gli studi scientifici e speculativi. E così ho parlato
della prima fonte del dovere.
Fra le altre tre specie
dell'onesto, la più ampia ed estesa è quella su cui si fonda la società degli uomini e, per così dire, la comunanza della
vita. Due sono le sue parti: la giustizia, che ha in sé il più fulgido splendore della virtù e che conferisce agli uomini il
nome di buoni; e, congiunta ad essa , la beneficenza, che può anche chiamarsi generosità o liberalità. Il primo compito,
dunque, della giustizia è che nessuno rechi danno ad alcuno, se non provocato a torto; il secondo è che ciascuno adoperi le
cose comuni come comuni, le private come private.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone