Libro 1 Paragrafo 31
Sed incidunt saepe tempora cum ea quae maxime videntur digna esse iusto homine
eoque quem virum bonum dicimus commutantur fiuntque contraria ut reddere depositum [etiamne furioso?] facere promissum quaeque
pertinent ad veritatem et ad fidem; ea migrare interdum et non servare fit iustum. Referri enim decet ad ea quae posui
principio fundamenta iustitiae primum ut ne cui noceatur deinde ut communi utilitati serviatur. Ea cum tempore commutantur
commutatur officium et non semper est idem.
Libro 1 Paragrafo 32
Potest enim accidere
promissum aliquod et conven tum ut id effici sit inutile vel ei cui promissum sit vel ei qui promiserit. Nam si ut in fabulis
est Neptunus quod Theseo promiserat non fecisset Theseus Hippolyto filio non esset orbatus. Ex tribus enim optatis ut scribitur
hoc erat tertium quod de Hippolyti interitu iratus optavit; quo impetrato in maximos luctus incidit. Nec promissa igitur
servanda sunt ea quae sint is quibus promiseris inutilia nec si plus tibi ea noceant quam illi prosint cui promiseris contra
officium est maius anteponi minori ut si constitueris cuipiam te advocatum in rem praesentem esse venturum atque interim
graviter aegrotare filius coeperit non sit contra officium non facere quod dixeris magisque ille cui promissum sit ab officio
discedat si se destitutum queratur. Iam illis promissis standum non esse quis non videt quae coactus quis metu quae deceptus
dolo promiserit? quae quidem pleraque iure praetorio liberantur nonnulla legibus.
Libro 1
Paragrafo 33
Existunt etiam saepe iniuriae calumnia quadam et nimis callida sed malitiosa iuris interpretatione. Ex
quo illud “summum ius summa iniuria” factum est iam tritum sermone proverbium. Quo in genere etiam in re publica multa
peccantur ut ille qui cum triginta dierum essent cum hoste indutiae factae noctu populabatur agros quod dierum essent pactae
non noctium indutiae. Ne noster quidem probandus si verum est Q. Fabium Labeonem seu quem alium–nihil enim habeo praeter
auditum –arbitrum Nolanis et Neapolitanis de finibus a senatu datum cum ad locum venisset cum utrisque separatim locutum ne
cupide quid agerent ne appetenter atque ut regredi quam progredi mallent. Id cum utrique fecissent aliquantum agri in medio
relictum est. Itaque illorum finis sic ut ipsi dixerant terminavit; in medio relictum quod erat populo Romano adiudicavit.
Decipere hoc quidem est non iudicare. Quocirca in omni est re fugienda talis sollertia.
Libro 1 Paragrafo 34
Sunt autem quaedam officia etiam adversus eos servanda a quibus iniuriam acceperis. Est enim
ulciscendi et puniendi modus; atque haud scio an satis sit eum qui lacessierit iniuriae suae paenitere ut et ipse ne quid tale
posthac et ceteri sint ad iniuriam tardiores. Atque in re publica maxime conservanda sunt iura belli. Nam cum sint duo genera
decertandi unum per disceptationem alterum per vim cumque illud proprium sit hominis hoc beluarum confugiendum est ad posterius
si uti non licet superiore.
Libro 1 Paragrafo 35
Sunt autem quaedam officia etiam
adversus eos servanda a quibus iniuriam acceperis. Est enim ulciscendi et puniendi modus; atque haud scio an satis sit eum qui
lacessierit iniuriae suae paenitere ut et ipse ne quid tale posthac et ceteri sint ad iniuriam tardiores. Atque in re publica
maxime conservanda sunt iura belli. Nam cum sint duo genera decertandi unum per disceptationem alterum per vim cumque illud
proprium sit hominis hoc beluarum confugiendum est ad posterius si uti non licet superiore.
Versione tradotta
Ma si danno spesso circostanze in cui,
quelle azioni che sembrano più degne di un uomo giusto, di quello, cioè, che chiamiamo galantuomo, si mutano nel loro
contrario, come, per esempio, il restituire un deposito (anche a un pazzo furioso?), o il mantenere una promessa; e così, il
trasgredire e il non osservare le leggi della sincerità e della lealtà, diventa talvolta cosa giusta. Conviene, infatti,
riportarsi sempre a quelle norme fondamentali della giustizia che ho posto im principio: primo, non far male a nessuno; poi,
servire alla utilità comune. Mutano col tempo le circostanze? Muta di pari passo il dovere e non è sempre lo
stesso.
Ma si danno spesso circostanze in cui, quelle azioni
che sembrano più degne di un uomo giusto, di quello, cioè, che chiamiamo galantuomo, si mutano nel loro contrario, come, per
esempio, il restituire un deposito (anche a un pazzo furioso?), o il mantenere una promessa; e così, il trasgredire e il non
osservare le leggi della sincerità e della lealtà, diventa talvolta cosa giusta. Conviene, infatti, riportarsi sempre a quelle
norme fondamentali della giustizia che ho posto im principio: primo, non far male a nessuno; poi, servire alla utilità comune.
Mutano col tempo le circostanze? Muta di pari passo il dovere e non è sempre lo stesso.
1, Paragrafo 33
Si commettono spesso ingiustizie anche per una certa tendenza al cavillo, cioè per una troppo
sottile, ma in realtà maliziosa, interpretazione del diritto. Di qui il comune e ormai trito proverbio:
' somma giustizia,
somma ingiustizia'
A questo riguardo, si commettono molti errori anche nella vita pubblica; come, per esempio, quel tale
che, conclusa col nemico una tregua di trenta giorni, andava di notte a saccheggiar le campagne, col pretesto che il patto
parlava di giorni e non di notti. Non merita lode neppure, -se il fatto è vero -, quel nostro concittadino, sia egli Quinto
Fabio Labeone o qualcun altro (io non ne so più che per sentito dire). Il senato l'aveva mandato ai Nolani e ai Napoletani,
come arbitro per una questione di confini. Venuto egli sul luogo, parlò separatamente agli uni e agli altri, raccomandando che
non trascendessero in atti di avidità e di prepotenza, anzi volessero piuttosto retrocedere che avanzare. Così fecero gli uni e
gli altri, e un bel tratto di terreno rimase libero nel mezzo. Allora egli fissò i confini dei due popoli come essi avevano
detto; e il terreno rimasto nel mezzo, l'assegnò al popolo romano. Questo si chiama ingannare, non giudicare. Perciò, in ogni
circostanza, conviene evitare simili furberie.
Vi sono poi
certi doveri che bisogna osservare anche nei confronti di coloro che ci hanno offeso. C'è una misura anche nella vendetta e
nel castigo; anzi, io non so se non basti che il provocatore si penta della sua offesa, perché egli non ricada mai più in
simile colpa, e gli altri siano meno pronti all'offesa. Ma soprattutto nei rapporti fra Stato e Stato si debbono osservare le
leggi di guerra. In verità, ci sono due maniere di contendere: con la ragione e con la forza; e poiché la ragione è propria
dell'uomo e la forza è propria delle bestie, bisogna ricorrere alla seconda solo quando non ci si può avvalere della
prima.
Si devono perciò intraprendere le guerre al solo scopo
di vivere in sicura e tranquilla pace; ma, conseguita la vittoria, si devono risparmiare coloro che, durante la guerra, non
furono né crudeli né spietati. Così, i nostri padri concessero perfino la cittadinanza ai Tusculani, agli Equi, ai Volsci, ai
Sabini, agli Ernici; ma distrussero dalle fondamenta Cartagine e Numanzia; non avrei voluto la distruzione di Corinto; ma forse
essi ebbero le loro buone ragioni, soprattutto la felice posizione del luogo, temendo che appunto il luogo fosse, o prima o
poi, occasione e stimolo a nuove guerre. A mio parere, bisogna procurar sempre una pace che non nasconda insidie. E se in ciò
mi si fosse dato ascolto, noi avremmo, se non un'ottimo Stato, almeno uno Stato, mentre ora non ne abbiamo nessuno. E se
bisogna provvedere a quei popoli che sono stati pienamente sconfitti, tanto più si devono accogliere e proteggere quelli che,
deposte le armi, ricorreranno alla lealtà dei capitani, anche se l'ariete abbia già percosso le loro mura. E a questo riguardo
i Romani furono così rigidi osservanti della giustizia che quegli stessi capitani che avevano accolto sotto la loro protezione
città o nazioni da loro sconfitte, ne divenivan poi patroni, secondo il costume dei nostri antenati.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone