Libro 1 Paragrafo 41
Ac de bellicis quidem officiis
satis dictum est. Meminerimus autem etiam adversus infimos iustitiam esse servandam. Est autem infima condicio et fortuna
servorum quibus non male praecipiunt qui ita iubent uti ut mercennariis operam exigendam iusta praebenda. Cum autem duobus
modis id est aut vi aut fraude fiat iniuria fraus quasi vulpeculae vis leonis videtur; utrumque homine alienissimum sed fraus
odio digna maiore. Totius autem iniustitiae nulla capitalior quam eorum qui tum cum maxime fallunt id agunt ut viri boni esse
videantur. De iustitia satis dictum.
Libro 1 Paragrafo 42
Deinceps ut erat propositum
de beneficentia ac de liberalitate dicatur qua quidem nihil est naturae hominis accommodatius sed habet multas cautiones.
Videndum est enim primum ne obsit benignitas et iis ipsis quibus benigne videbitur fieri et ceteris deinde ne maior benignitas
sit quam facultates tum ut pro dignitate cuique tribuatur; id enim est iustitiae fundamentum ad quam haec referenda sunt omnia.
Nam et qui gratificantur cuipiam quod obsit illi cui prodesse velle videantur non benefici neque liberales sed perniciosi
assentatores iudicandi sunt et qui aliis nocent ut in alios liberales sint in eadem sunt iniustitia ut si in suam rem aliena
convertant.
Libro 1 Paragrafo 43
Sunt autem multi et quidem cupidi splendoris et
gloriae qui eripiunt aliis quod aliis largiantur ique arbitrantur se beneficos in suos amicos visum iri si locupletent eos
quacumque ratione. Id autem tantum abest ab officio ut nihil magis officio possit esse contrarium. Videndum est igitur ut ea
liberalitate utamur. quae prosit amicis noceat nemini. Quare L. Sullae C. Caesaris pecuniarum translatio a iustis dominis ad
alienos non debet liberalis videri; nihil est enim liberale quod non idem iustum.
Libro 1
Paragrafo 44
Alter locus erat cautionis ne benignitas maior esset quam facultates quod qui benigniores volunt esse
quam res patitur primum in eo peccant quod iniuriosi sunt in proximos; quas enim copias his et suppeditari aequius est et
relinqui eas transferunt ad alienos. Inest autem in tali liberalitate cupiditas plerumque rapiendi et auferendi per iniuriam ut
ad largiendum suppetant copiae. Videre etiam licet plerosque non tam natura liberales quam quadam gloria ductos ut benefici
videantur facere multa quae proficisci ab ostentatione magis quam a voluntate videantur. Talis autem simulatio vanitati est
coniunctior quam aut liberalitati aut honestati.
Libro 1 Paragrafo Tertium est propositum ut
in beneficentia dilectus esset dignitatis; in quo et mores eius erunt spectandi in quem beneficium conferetur et animus erga
nos et communitas ac societas vitae et ad nostras utilitates officia ante collata; quae ut concurrant omnia optabile est; si
minus plures causae maioresque ponderis plus habebunt.45
Versione tradotta
41
Dobbiamo poi ricordare che anche verso le persone più umili si deve osservar la giustizia. E più umile d'ogni
altra è la condizione e la sorte degli schiavi. Ottimo è il consiglio di coloro che raccomandano di valersi di essi come di
lavoratori a mercede: si esiga buon lavoro, ma si dia la dovuta ricompensa.In due modi poi si può recare offesa: cioè con la
violenza o con la frode; con la frode che è propria dell'astuta volpe e con la violenza che è propria del leone; indegnissime
l'una e l'altra dell'uomo, ma la frode è assai più odiosa. Fra tutte le specie d'ingiustizia, però, la più detestabile è
quella di coloro che, quando più ingannano, più cercano di apparir galantuomini. Ma basti per la prima parte della
giustizia.
Parlerò, ora, come mi ero proposto, della
beneficenza e della generosità, che è senza dubbio la virtù più consona alla natura umana, ma richiede non poche cautele.
Bisogna, anzitutto, badare che la generosità non danneggi o la persona che si vuol beneficare, o gli altri; inoltre, che la
generosità non sia superiore alle nostre forze; infine, che si doni a ciascuno secondo il suo merito: questo è il vero
fondamento della giustizia, che deve caratterizzare sempre ogni precetto. In verità, quelli che fanno un favore che si risolve
in danno per colui al quale essi, in apparenza, vogliono giovare, non meritano il nome di benefattori o di generosi bensì di
malefici adulatori; e quelli che tolgono agli uni per esser generosi con gli altri, commettono la stessa ingiustizia di chi, si
appropria dei beni altrui.
Ci sono poi molti, e proprio fra
quelli più avidi di onore e di gloria, i quali tolgono agli uni per elargire ad altri; e credono di passare per benefici verso
i loro amici, se li arricchiscono in qualunque maniera. Ma ciò è tanto lontano dal dovere che anzi nulla è più contrario al
dovere. Si cerchi dunque di usare quella generosità che giova agli amici e non nuoce ad alcuno. Perciò l'atto con cui Lucio
Silla e Gaio Cesare tolsero ai legittimi proprietari i loro beni per trasferirli ad altri, non deve sembrar generoso: non c'è
lgenerosità dove non è giustizia.
La seconda cautela da
usarsi è, come s'è detto, che la generosità non superi le nostre forze. Coloro che vogliono essere più generosi di quel che le
loro sostanze consentono, peccano, in primo luogo, d'ingiustizia verso i loro più stretti congiunti, trasferendo ad estranei
quelle ricchezze che sarebbe più giusto donare o lasciare ad essi; in secondo luogo, peccano di cupidigia, in quanto tale
generosità implica per lo più la bramosia di rapire e di sottrarre illegalmente per aver modo e agio di fare elargizioni; in
terzo luogo, peccano d'ambizione: infatti, la maggior parte di costoro, non tanto per naturale generosità, quanto per
prepotente vanagloria, pur di apparire benefici, fanno molte cose che sembrano scaturire più da ostentazione che da sincera
benevolenza. 'I'ale simulazione è più vicina all'impostura che alla generosità o
all'onestà.
Terza cautela da osservare è che, nella
beneficenza, si faccia un'avveduta scelta dei meriti; bisogna, cioè, considerare bene il carattere della persona che si vuol
beneficare, la disposizione dell'animo suo verso di noi, i rapporti sociali che tra noi intercedono e, infine, i servigi che
essa ci ha resi: è desiderabile che tutte queste ragioni concorrano insieme; altrimenti le più numerose le più importanti
avranno un peso maggiore
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone