De Officiis, Libro 1, Par. da 46 a 50 - Studentville

De Officiis, Libro 1, Par. da 46 a 50

Libro 1 Paragrafo 46
Quoniam autem vivitur non cum

perfectis hominibus planeque sapientibus sed cum iis in quibus praeclare agitur si sunt simulacra virtutis etiam hoc

intellegendum puto neminem omnino esse neglegendum in quo aliqua significatio virtutis appareat colendum autem esse ita quemque

maxime ut quisque maxime virtutibus his lenioribus erit ornatus modestia temperantia hac ipsa de qua multa iam dicta sunt

iustitia. Nam fortis animus et magnus in homine non perfecto nec sapiente ferventior plerumque est illae virtutes bonum virum

videntur potius attingere. Atque haec in moribus.

Libro 1 Paragrafo 47
De

benivolentia autem quam quisque habeat erga nos primum illud est in officio ut ei plurimum tribuamus a quo plurimum diligamur

sed benivolentiam non adulescentulorum more ardore quodam amoris sed stabilitate potius et constantia iudicemus. Sin erunt

merita ut non ineunda sed referenda sit gratia maior quaedam cura adhibenda est; nullum enim officium referenda gratia magis

necessarium est.

Libro 1 Paragrafo 48
Quodsi ea quae utenda acceperis maiore mensura

si modo possis iubet reddere Hesiodus quidnam beneficio provocati facere debemus? An imitari agros fertiles qui multo plus

efferunt quam acceperunt? Etenim si in eos quos speramus nobis profuturos non dubitamus officia conferre quales in eos esse

debemus qui iam profuerunt? Nam cum duo genera liberalitatis sint unum dandi beneficii alterum reddendi demus necne in nostra

potestate est non reddere viro bono non licet modo id facere possit sine iniuria.

Libro 1

Paragrafo 49
Acceptorum autem beneficiorum sunt dilectus habendi nec dubium quin maximo cuique plurimum debeatur. In

quo tamen inprimis quo quisque animo studio benivolentia fecerit ponderandum est. Multi enim faciunt multa temeritate quadam

sine iudicio vel morbo in omnes vel repentino quodam quasi vento impetu animi incitati; quae beneficia aeque magna non sunt

habenda atque ea quae iudicio considerate constanterque delata sunt. Sed in collocando beneficio et in referenda gratia si

cetera paria sunt hoc maxime officii est ut quisque opis indigeat ita ei potissimum opitulari; quod contra fit a plerisque; a

quo enim plurimum sperant etiamsi ille iis non eget tamen ei potissimum inserviunt.

Libro 1

Paragrafo 50
Optime autem societas hominum coniunctioque servabitur si ut quisque erit coniunctissimus ita in eum

benignitatis plurimum conferetur. Sed quae naturae principia sint communitatis et societatis humanae repetendum videtur altius.

Est enim primum quod cernitur in universi generis humani societate. Eius autem vinculum est ratio et oratio quae docendo

discendo communicando disceptando iudicando conciliat inter se homines coniungitque naturali quadam societate neque ulla re

longius absumus a natura ferarum in quibus inesse fortitudinem saepe dicimus ut in equis in leonibus iustitiam aequitatem

bonitatem non dicimus; sunt enim rationis et orationis expertes.

Versione tradotta

Libro 1, Paragrafo 46
E

poiché si vive non assieme ad uomini perfetti e del tutto saggi, ma con gente in cui è già molto se c'è un'ombra di virtù,

bisogna anche persuadersi (io credo) che non si debbba assolutamente trascurare nessuno, da cui trasparisca un qualche indizio

di virtù; anzi, con tanta maggior cura si deve coltivare una persona, quanto più essa è adorna di certe virtù più miti, come la

moderazione, la temperanza e quella stessa giustizia di cui si è già tanto parlato. Invero, un animo forte e grande, in un uomo

non perfetto e non saggio, è per lo più troppo fervido; quelle virtù, invece, sembrano convenir piuttosto al comune uomo

dabbene. E questo valga per ciò che riguarda il carattere.

Libro 1, Paragrafo

47
Quanto alla benevolenza che altri mostrano verso di noi, il primo nostro dovere è che più si dia a chi più ci ama;

ma questa benevolenza, non dobbiamo giudicarla, come fanno i giovinetti, da uno slancio d'affetto, ma piuttosto dalla sua

stabilità e saldezza. Se poi qualcuno ha meriti tali verso di noi, che noi dobbiamo, non già acquistarci la sua gratitudine, ma

testimoniargli la nostra, allora bisogna adoperare maggior zelo: nessun dovere è più imperioso che il ricambiare un beneficio

ricevuto.

Libro 1, Paragrafo 48
E se Esiodo consiglia di rendere in maggior misura,

solo che tu possa, quello che hai avuto in prestito, che cosa dobbiamo fare se qualcun altro ci previene nel benefizio? Non

dobbìamo forse imitare i campi fertili, che rendono assai più di quel che ricevono? E se non esitiamo a prestare i nostri

servigi a coloro dai quali ci ripromettiamo vantaggi futuri, quale riconoscenza non dobbiamo avere verso coloro che già ci

hanno recato vantaggi? Ci sono due maniere di generosità: quella che consiste nel fare il beneficio e quella che consiste nel

renderlo. Ora, se il farlo o il non farlo è in nostra facoltà, il non renderlo non è lecito a un uomo dabbene, purché possa

fare ciò senza commettere un'ingiustizia.

Libro 1, Paragrafo 49
Quanto, poi, ai

benefici ricevuti, bisogna far distinzione tra essi, e non c'è dubbio che, maggiore è il beneficio, maggiore è il debito di

riconoscenza. A questo riguardo, tuttavia, bisogna soprattutto considerare con quale animo, con quale zelo, con quale

benevolenza ciascuno l'ha fatto. In realtà, molte persone, per una certa leggerezza, fanno molti benefici, così, senza

discernimento, perché spronate, o da una morbosa benevolenza verso tutti, o da un improvviso impeto dell'animo, quasi come da

una raffica di vento: questi benefici però non vanno tenuti nella stessa considerazione di quelli che furono prestati con

giusto criterio, con meditata e consapevole fermezza. In ogni modo, tanto nel fare, quanto nel ricambiare il beneficio, è

nostro categorico dovere, (se tutte le altre condizioni sono pari), porgere più specialmente aiuto a colui che ha più bisogno

d'aiuto. I più, invece, fanno tutto il contrario: prestano più specialmente i loro servigi a colui dal quale più sperano,

anche se egli non ne abbia bisogno.

Libro 1, Paragrafo 50
Il miglior modo per

mantener salda la società e la fratellanza umana è di usare maggior lgenerosità verso chi ci è più strettamente congiunto. Ma

conviene, io penso, risalire più indietro e mostrare quali siano i principi naturali che reggono l'umano consorzio. Il primo è

quello che si scorge nella società dell'intero genere umano. La sua forza unificatrice è la ragione e la parola, che,

insegnando e imparando, comunicando, discutendo, giudicando, affratella gli uomini tra loro e li congiunge in una specie di

associazione naturale. Ed è questo il carattere che più ci allontana dalla natura delle bestie: noi diciamo spesso che nelle

bestie c'è la forza - come nei cavalli e nei leoni -, ma non la giustizia, né l'equità, né la bontà; perché quelle son prive

di ragione e di parola.

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