De Divinatione, Libro 1, Par. da 56 a 58 - Studentville

De Divinatione, Libro 1, Par. da 56 a 58

Paragrafo 56
127 Praeterea cum fato omnia fiant id quod alio loco ostendetur si quis mortalis possit

esse qui conligationem causarum omnium perspiciat animo nihil eum profecto fallat. Qui enim teneat causas rerum futurarum idem

necesse est omnia teneat quae futura sint. Quod cum nemo facere nisi deus possit relinquendum est homini ut signis quibusdam

consequentia declarantibus futura praesentiat. Non enim illa quae futura sunt subito exsistunt sed est quasi rudentis

explicatio sic traductio temporis nihil novi efficientis et primum quidque replicantis. Quod et ii vident quibus naturalis

divinatio data est et ii quibus cursus rerum observando notatus est. Qui etsi causas ipsas non cernunt signa tamen causarum et

notas cernunt; ad quas adhibita memoria et diligentia et monumentis superiorum efficitur ea divinatio quae artificiosa dicitur

extorum fulgorum ostentorum signorumque caelestium. 128 Non est igitur ut mirandum sit ea praesentiri a divinantibus quac

nusquam sint; sunt enim omnia sed tempore absunt. Atque ut in seminibus vis inest earum rerum quae ex iis progignuntur sic in

causis conditae sunt res futurae quas esse futuras aut concitata mens aut soluta somno cernit aut ratio aut coniectura

praesentit. Atque ut ii qui solis et lunae reliquorumque siderum ortus obitus motusque cognorunt quo quidque tempore eorum

futurum sit multo ante praedicunt sic qui cursum rerum eventorumque consequentiam diuturnitate pertractata notaverunt aut

semper aut si id difficile est plerumque quodsi ne id quidem conceditur non numquam certe quid futurum sit intellegunt. Atque

haec quidem et quaedam eiusdem modi argumenta cur sit divinatio ducuntur a

fato.

Paragrafo 57

129 A natura autem alia quaedam ratio est quae docet

quanta sit animi vis seiuncta a corporis sensibus quod maxime contingit aut dormientibus aut mente permotis. Ut enim deorum

animi sine oculis sine auribus sine lingua sentiunt inter se quid quisque sentiat (ex quo fit ut homines etiam cum taciti

optent quid aut voveant non dubitent quin di illud exaudiant) sic animi hominum cum aut somno soluti vacant corpore aut mente

permoti per se ipsi liberi incitati moventur cernunt ea quae permixti cum corpore [animi] videre non possunt. 130 Atque hanc

quidem rationem naturae difficile est fortasse traducere ad id genus divinationis quod ex arte profectum dicimus; sed tamen id

quoque rimatur quantum potest Posidonius. Esse censet in natura signa quaedam rerum futurarum. Etenim Ceos accepirnus ortum

Caniculae diligenter quotannis solere servare coniecturamque capere ut scribit Ponticus Heraclides salubrisne an pestilens

annus futurus sit: nam si obscurior quasi caligit nosa stella exstiterit pingue et concretum esse caelum ut eius adspiratio

gravis et pestilens futura sit; sin inlustris et perlucida stella apparuerit significari caelum esse tenue purumque et

propterea salubre. 131 Democritus autem censet sapienter instituisse veteres ut hostiarum immolatarum inspicerentur exta;

quorum ex habitu atque ex colore tum salubritatis tum pestilentiae signa percipi non numquam etiam quae sit vel sterilitas

agrorum vel fertilitas futura. Quae si a natura profecta observatio atque usus agnovit multa adferre potuit dies quae

animadvertendo notarentur ut ille Pacuvianus qui in Chryse physicus inducitur minime naturam rerum cognosse videatur:
“nam

isti qui linguam avium intellegunt
plusque ex alieno iecore sapiunt quam ex suo
magis audiendum quam auscultandum

censeo.
Cur quaeso cum ipse paucis interpositis versibus dicas satis luculente:
“Quidquid est hoc omnia animat format

alit auget creat
sepelit recipitque in sese omnia omniumque idemst pater
indidemque eadem aeque oriuntur de integro atque

eodem occidunt.”
Quid est igitur cur cum domus sit omnium una eaque communis cumque animi hominum semper fuerint futurique

sint cur ii quid ex quoque eveniat et quid quamque rem significet perspicere non possint? Haec babui” inquit “de divinatione

quae dicerem.

Paragrafo 58

132 Nunc illa testabor non me sortilegos neque

eos qui quaestus causa hariolentur ne psychomantia quidem quibus Appius amicus tuus uti solebat agnoscere; non habeo denique

nauci Marsum augurem non vicanos haruspices non de circo astrologos non Isiacos coniectores non interpretes somniorum; non enim

sunt ii aut scientia aut arte divini sed
“superstitiosi vates impudentesque harioli
aut inertes aut insani aut quibus

egestas imperat
qui sibi semitam non sapiunt alteri monstrant viam;
quibus divitias pollicentur ab iis dracumam ipsi

petunt.
De his divitiis sibi deducant dracumam reddant cetera.”
Atque haec quidem Ennius qui paucis ante versibus esse

deos censet sed eos non curare opinatur quid agat humanum genus. Ego autem qui et curare arbitror et monere etiam ac multa

praedicere levitate vanitate malitia exclusa divinationem probo”. Quae cum dixisset Quintus “Praeclare tu quidem” inquam”

paratus

Versione tradotta

Paragrafo 56
127. Inoltre, siccome tutto avviene per determinazione del fato, come dimostreremo

altrove, se potesse esservi un uomo capace di abbracciare col proprio intelletto l'intera concatenazione delle cause, costui

saprebbe certamente tutto. Chi, infatti, conoscesse le cause degli avvenimenti futuri, necessariamente conoscerebbe tutto il

futuro. Ma poiché nessuno può far questo tranne la divinità, bisogna che l'uomo si accontenti di prevedere il futuro in base

ad alcuni segni che gli indicano ciò che da essi conseguirà. Il futuro non sorge all'improvviso: come lo sdipanarsi di una

gomena, tale è lo scorrere del tempo che non produce nulla di nuovo e ritorna sempre al punto da cui mosse. Questo lo vedono

sia coloro che hanno avuto in dote la divinazione naturale, sia coloro che con l'osservazione hanno compreso il corso degli

eventi. Costoro, anche se non scorgono le cause vere e proprie, scorgono però i segni e gli indizi delle cause; per di più, con

l'aiuto della memoria, dell'attenzione e di ciò che ci è stato tramandato dagli scritti dei nostri antenati, ecco che si

forma quella divinazione che è chiamata artificiale, basata sull'esame delle viscere, dei fulmini, dei prodigi e dei segni

provenienti dal cielo. 128. Non c'è dunque motivo di meravigliarsi del fatto che gli indovini prevedano ciò che non vi è

ancora in nessun luogo; tutte queste cose vi sono, ma sono ancora lontane nel tempo. E come nei semi è ìnsita la potenza

generativa delle future piante, così nelle cause sono racchiusi gli eventi futuri; il loro avvento, lo prevede la mente

invasata o immersa nel sonno, o anche il ragionamento e l'interpretazione. E come quelli che conoscono il sorgere, il

tramontare, i moti del sole, della luna e degli altri astri sono in grado di predire con molto anticipo in quale tempo ciascuno

di quei fenomeni avverrà, così quelli che con lunghe osservazioni hanno notato lo svolgersi dei fatti e il rapporto tra segni

ed eventi comprendono il futuro, o sempre, o, se ciò può sembrare arrischiato, nella maggior parte dei casi, o, se neppur

questo mi si vuol concedere, almeno parecchie volte. Questi argomenti, dunque, e altri dello stesso genere a favore della

divinazione, sono tratti dall'esistenza del fato.

Paragrafo 57
129. Un altro argomento,

poi, si desume dalla natura che ci insegna quanto sia grande il potere dell'anima separato dalle sensazioni corporee; e ciò

avviene soprattutto a chi dorme o a chi è invasato. Difatti, come le anime degli dèi, senza bisogno di avere occhi, né orecchi,

né lingua, intendono reciprocamente ciò che ciascuno intende (cosicché gli uomini, anche quando esprimono tacitamente un

desiderio o un voto, possono essere sicuri che gli dèi li odono), così le anime umane, quando, immerse nel sonno, sono sciolte

dal corpo oppure, essendo invasate, si muovono da sé, libere, con tutto il loro vigore, vedono ciò che non possono vedere

quando sono commiste al corpo. 130. Questo argomento tratto dalla natura , forse, non è facile riferirlo a quel genere di

divinazione che, come si è detto, deriva dall'arte; e tuttavia Posidonio, per quanto può, scruta anche questo campo. Egli

ritiene che vi siano in natura dei segni premonitori del futuro. Sappiamo, ad esempio, che gli abitanti di Ceo sono soliti,

ogni anno, osservare attentamente il sorgere della Canicola e da ciò prevedere se l'annata sarà salubre o malsana, come

riferisce Eraclìde Pontico: se l'astro sorgerà alquanto velato e quasi caliginoso, l'aria sarà densa e piena di vapori,

sicché la respirazione risulterà penosa e nociva; se invece la costellazione apparirà chiara e lucente, vorrà dire che l'aria

sarà sottile e pura, e quindi salubre. 131. Democrito, a sua volta, ritiene che gli antichi saggiamente prescrissero di

osservare le viscere delle vittime immolate; dalla loro forma e dal loro colore, egli dice, si possono trarre indizi sia di

salubrità dell'aria sia di pestilenza, qualche volta anche di sterilità o di fertilità dei campi. E se l'osservazione e la

pratica dei fenomeni naturali è in grado di prevedere queste cose, molte altre si possono, col lungo trascorrere del tempo,

scrutare e annotare. Sicché sembra che nonconosca affatto la natura quello scienziato che nel "Crise" di Pacuvio viene

introdotto dicendo: "Costoro che intendono il linguaggio degli uccelli e traggono la loro sapienza più dal fegato degli animali

che dal proprio, io ritengo che sia meglio starli a sentire che dar loro retta." Perché, dimmi un poco, parli così, dal momento

che tu stesso, pochi versi dopo, dici in modo eccellente: "Qualunque sia questo essere, esso anima, forma, nutre, accresce,

crea; seppellisce e accoglie in sé tutto, e di tutto, al tempo stesso, è padre; e le medesime cose sorgono da esso di nuovo e

in esso si dissolvono." Perché, dunque, se la sede di tutti gli esseri è unica e a tutti comune, e se le anime umane sono

sempre esistite e sempre esisteranno, perché, dico, non dovrebbero essere in grado di intendere quale effetto risulti da ogni

singola causa e quale segno preannunci ciascun evento? Questo", concluse Quinto, "è ciò che avevo da dire sulla divinazione.

Paragrafo 58
132. Ora, però, dichiarerò solennemente che io non do credito ai volgari

estrattori di sorti, né a quelli che fanno gli indovini per trarne guadagno, né alle evocazioni delle anime dei morti, alle

quali ricorreva il tuo amico Appio. Non stimo un bel nulla gli àuguri marsi, né gli arùspici di strada, né gli astrologi che

fanno quattrini presso il Circo, né i profeti d'Iside, né i ciarlatani interpreti di sogni. Essi non sono indovini per scienza

ed esperienza, ma sono vati superstiziosi e impudenti spacciatori di frottole, incapaci o pazzi o schiavi del bisogno: gente

che non sa andare per il proprio sentieruccio e pretenderebbe d'indicare la strada al prossimo. Da quelli a cui promettono

ricchezze, chiedono un soldo. Da quelle ricchezze prendano per sé un soldo di ricompensa, e ci dìano, come è dovuto, tutto il

resto! E questo lo dice Ennio, che pochi versi prima afferma che gli dèi esistono, ma ritiene che non si curino delle cose

umane. Io invece, che ritengo che gli dèi non solo se ne curino ma anche ci ammoniscano e ci predicano molte cose, credo nella

divinazione, purché ne siano escluse le forme ridicole, mendaci, fraudolente. Quando Quinto ebbe finito di parlare in questo

modo, io dissi: "Tu hai davvero sostenuto con bellissimi argomenti la tua tesi"

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