De Officiis, Libro 1, Par. da 6 a 10 - Studentville

De Officiis, Libro 1, Par. da 6 a 10

Libro 1 Paragrafo 6
Quae quamquam ita sint in promptu ut

res disputatione non egeat tamen sunt a nobis alio loco disputata. Hae disciplinae igitur si sibi consentaneae velint esse de

officio nihil queant dicere neque ulla officii praecepta firma stabilia coniuncta naturae tradi possunt nisi aut ab iis qui

solam aut ab iis qui maxime honestatem propter se dicant expetendam. Ita propria est ea praeceptio Stoicorum Academicorum

Peripateticorum quoniam Aristonis Pyrrhonis Erilli iam pridem explosa sententia est qui tamen haberent ius suum disputandi de

officio si rerum aliquem dilectum reliquissent ut ad officii inventionem aditus esset. Sequemur igitur hoc quidem tempore et

hac in quaestione potissimum Stoicos non ut interpretes sed ut solemus e fontibus eorum iudicio arbitrioque nostro quantum

quoque modo videbitur hauriemus.

Libro 1 Paragrafo 7
Placet igitur quoniam omnis

disputatio de officio futura est ante definire quid sit officium quod a Panaetio praetermissum esse miror. Omnis enim quae a

ratione suscipitur de aliqua re institutio debet a definitione proficisci ut intellegatur quid sit id de quo disputetur. . . .

Omnis de officio duplex est quaestio. Unum genus est quod pertinet ad finem bonorum alterum quod positum est in praeceptis

quibus in omnes partes usus vitae conformari possit. Superioris generis huiusmodi sunt exempla omniane officia perfecta sint

num quod officium aliud alio maius sit et quae sunt generis eiusdem. Quorum autem officiorum praecepta traduntur ea quamquam

pertinent ad finem bonorum tamen minus id apparet quia magis ad institutionem vitae communis spectare videntur; de quibus est

nobis his libris explicandum.

Libro 1 Paragrafo 8
Atque etiam alia divisio est

officii. Nam et medium quoddam officium dicitur et perfectum. Perfectum officium rectum opinor vocemus quoniam Graeci

katorthoma hoc autem commune officium kathekon vocant. Atque ea sic definiunt ut rectum quod sit id officium perfectum esse

definiant; medium autem officium id esse dicunt quod cur factum sit ratio probabilis reddi

possit.

Libro 1 Paragrafo 9
Triplex igitur est ut Panaetio videtur consilii capiendi

deliberatio. Nam aut honestumne factu sit an turpe dubitant id quod in deliberationem cadit; in quo considerando saepe animi in

contrarias sententias distrahuntur. Tum autem aut anquirunt aut consultant ad vitae commoditatem iucunditatemque ad facultates

rerum atque copias ad opes ad potentiam quibus et se possint iuvare et suos conducat id necne de quo deliberant; quae

deliberatio omnis in rationem utilitatis cadit. Tertium dubitandi genus est cum pugnare videtur cum honesto id quod videtur

esse utile. Cum enim utilitas ad se rapere honestas contra revocare ad se videtur fit ut distrahatur in deliberando animus

afferatque ancipitem curam cogitandi.

Libro 1 Paragrafo 10

Hac divisione

cum praeterire aliquid maximum vitium in dividendo sit duo praetermissa sunt. Nec enim solum utrum honestum an turpe sit

deliberari solet sed etiam duobus propositis honestis utrum honestius itemque duobus propositis utilibus utrum utilius. Ita

quam ille triplicem putavit esse rationem in quinque partes distribui debere reperitur. Primum igitur est de honesto sed

dupliciter tum pari ratione de utili post de comparatione eorum disserendum.

Versione tradotta

Libro 1, Paragrafo

6
Queste dottrine, dunque, se volessero essere coerenti con se stesse, non potrebbero dire nulla intorno al dovere:

nessun precetto morale, saldo, stabile, conforme a natura, può esser impartito se non da chi afferma che o soltanto l'onestà o

soprattutto l'onestà deve essere perseguita per se stessa. Ora, un tale insegnamento è proprio degli Stoici, degli Accademici

e dei Peripatetici, dal momento che la dottrina di Aristone, di Pirrone e di Erillo è ormai rifiutata da tempo. E tuttavia

anche costoro avrebbero il loro buon diritto di discutere del dovere, se avessero lasciato una qualche scelta tra le cose

umane, sì che fosse aperta la via alla scoperta del concetto di dovere. In questa occasione e in questa questione, dunque, io

seguo principalmente gli Stoici, non già come semplice traduttore, ma, secondo il mio costume, attingendo da essi, come fonte,

con piena e intera libertà di giudizio, quanto e come mi parrà opportuno.

Libro 1, Paragrafo

7
Ora, poiché tutto il mio ragionamento si svolgerà intorno al dovere, mi piace definire innanzi tutto l'essenza del

dovere; e mi meraviglio che Panezio abbia trascurato questo punto. Ogni trattazione, infatti, che la ragione intraprende

metodicamente su qualche argomento, dovrebbe partire dalla definizione, perché ben si comprenda qual è l'oggetto di cui si

discute.
Tutta la questione riguardante il dovere consta di due parti: l'una, (teorica), che riguarda il concetto del sommo

bene; l'altra, (pratica), che consiste nei precetti che devono regolare la condotta della vita in tutti i suoi aspetti. Alla

prima appartengono questioni di tal genere: i doveri sono tutti assoluti? Ci sono doveri più importanti di altri doveri?; e

così via, con l'aiuto di esempi. Quanto poi a quei doveri, per i quali si possono dare norme pratiche, riguardano bensì

anch'essi il sommo bene, ma tuttavia questo loro carattere è meno evidente, perché, a quanto pare, essi mirano piuttosto a

regolare la vita comune di tutti i giorni; ebbene, sono appunto questi i doveri che io spiegherò in questi

libri.

Libro 1, Paragrafo 8
Ma c'è anche un'altra suddivisione del dovere. C'è

infatti il così detto dovere intermedio o relativo e c'è quello che si chiama assoluto. Il dovere assoluto possiamo anche

chiamarlo, se non erro, perfetto, poiché i Greci lo chiamano kato/rqwma, mentre chiamano kaqh/kon il dovere relativo. E dei due

doveri essi danno questa definizione: definiscono dovere assoluto l'assoluta rettitudine, mentre chiamano dovere relativo

quello del cui adempimento si può fornire una ragione plausibile .

Libro 1, Paragrafo

9
Tre punti si devono quindi considerare, secondo Panezio, nel prendere una decisione. Prima di tutto ci si pone il

quesito se sia onesto o disonesto da mettere in pratica, quello che è oggetto della nostra decisione; e appunto in questa

indagine spesso gli animi si dividono in opposti pareri. Poi si studia o si riflette attentamente, se ciò che si decide giovi,

o no, alla comodità e alla piacevolezza della vita, agli averi, agli agi, al prestigio, al potere, tutte cose utili a noi e ai

nostri familiari; e questa valutazione rientra tutta nell'ambito dell'utilità. La terza specie di dubbio si ha quando ciò che

sembra utile entra in conflitto con l'onesto: quando pare, infatti, che per un verso l'utilità ci trascini a sé e l'onestà

per contro ci richiami a sé, allora l'animo nel prendere una decisione si divide e produce una profonda incertezza nel

pensiero.

Libro 1, Paragrafo 10
Ora, questa divisione, benché sia gravissimo difetto

trascurare qualcosa nel valutare un argomento, trascura ben due elementi: giacché non si è soliti, difatti, decidere soltanto

se un obiettivo sia onesto o disonesto, ma, posti dinanzi a due obiettivi onesti, decidere anche quale dei due sia più onesto;

e allo stesso modo, postici innanzi due obiettivi utili, decidere quale dei due sia più utile. Si trova così che quella

materia, che Panezio ritenne di natura triplice, deve invece distribuirsi in cinque parti. Prima di tutto, dunque, si dovrà

ragionare dell'onestà, ma sotto due aspetti; poi, con lo stesso metodo, dell'utile; infine si dovranno confrontare tra loro

questi due principi.

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