Paragrafo 6
10
“Arcem tu quidem Stoicorum” inquam “Quinte defendis siquidem ista sic reciprocantur ut et si divinatio sit di sint et si di
sint sit divinatio. Quorum neutrum tam facile quam tu arbitraria conceditur. Nam et natura significari futura sine deo possunt
et ut sint di potest fieri ut nulla ab iis divinatio generi humano tributa sit.” Atque ille: “Mihi vero” inquit “satis est
argomenti et esse deos et eos consulere rebus humanis quod esse clara et perspicua divinationis genera iudico. De quibus quid
ipse sentiam si placet exponam ita tamen si vacas animo neque habes aliquid quod huic sermoni praevertendum putes.” 11 “Ego
vero” inquam “philosophiae Quinte semper vaco; hoc autem tempore cum sit nihil aliud quod lubenter agere possim multo magis
aveo audire de divinatione quid sentias.” “Nihil” inquit “equidem novi nec quod praeter ceteros ipse sentiam; nam cum
antiquissimam sententiam tum omnium populorum et gentium consensu comprobatam sequor. Duo sunt enim divinandi genera quorum
alterum artis est alterum naturae. 12 Quae est autem gens aut quae civitas quae non aut extispicum aut monstra aut fulgora
interpretantium aut augurum aut astrologorum aut sortium (ea enim fere artis sunt) aut somniorum aut vatìcinationum (haec enim
duo naturale putantur) praedictione moveatur? Quarum quidem rerum eventa magis arbitror quam causas quaeri oportere. Est enim
vis et natura quaedam quae tum observatis longo tempore significationibus tum aliquo instinctu inflatuque divino futura
praenuntiat.
Paragrafo 7
Quare omittat urguere Carneades quod faciebat etiam Panaetius
requirens Iuppiterne cornicem a laeva corvum ab dextera canere iussisset. Observata sunt haec tempore immenso et [in
significatione eventus] animadversa et notata. Nihil est autem quod non longinquitas temporum excipiente memoria prodendisque
monumentis efficere atque adsequi possit. 13 Mirari licet quae sint animadversa a medicis herbarum genera quae radicum ad
morsus bestiarum ad oculorum morbos ad vulnera quorum vini atque naturam ratio numquam explicavit utilitate et ars est et
inventor probatus. Age ea quae quamquam ex alio genere sunt tamen divinationi sunt similiora videamus:
“Atque etiam ventos
praemonstrat saepe futuros inflatum mare cum subito penitusque tumescit
saxaque cana salis niveo spumata liquore tristificas
certant Neptuno reddere voces aut densus
stridor cum celso e vertice montis ortus adaugescit scopulorum saepe
repulsus.”
Paragrafo 8
Atque his rerum praesensionibus Prognostica tua referta
sunt. Quis igitur elicere causas praesensionum potest? Etsi video Boëthum Stoicum esse conatum qui hactenus aliquid egit ut
earum rationem rerum explicaret quae in mari caelove fierent. 14 Illa vero cur eveniant quis probabiliter dixerit?
“Cana
fulix itidem fugiens e gurgite ponti
nuntiat horribilis clamans instare procellas
haud modicos tremulo fundens e guttere
cantus.
Saepe etiam pertriste canit de pectore carmen
et matutinis acredula vocibus instat
vocibus instat et adsiduas
iacit ore querellas
cum primum gelidos rores aurora remittit;
fuscaque non numquam cursans per litora cornix
demersit
caput et fluctum cervice recepit.”
Paragrafo 9
15 Videmus haec signa numquam fere
ementientia nec tamen cur ita fiat videmus.
“Vos quoque signa videtis aquai dulcis alumnae
cum clamore paratis inanis
fundere voces
absurdoque sono fontis et stagna cietis.”
Quis est qui ranunculos hoc videre suspicari possit? Sed inest in
ranunculis vis et natura quaedam significans aliquid per se ipsa satis certa cognitioni autem hominum obscurior.
“Mollipedesque boves spectantes lumina caeli
naribus umiferum duxere ex aëre sucum.”
Non quaero cur quoniam quid
eveniat intellego.
“lam vero semper viridis semperque gravata
lentiscus triplici solita grandescere fetu
ter fruges
fundens tria tempora monstrat arandi.”
16 Ne hoc quidem quaero cur haec arbor una ter fioreat aut cur arandi maturitatem ad
signum floris accommodet; hoc sum contentus quod etiamsi cur quidque fiat ignorem quid fiat intellego. Pro omni igitur
divinatione idem quod pro rebus iis quas commemoravi respondebo.
Paragrafo
10
Quid scammoneae radix ad purgandum quid aristolochia ad morsus serpentium possit quae nomen ex inventore repperit
rem ipsam inventor ex somnio – posse video quod satis est; cur possit nescio. Sic ventorum et imbrium signa quae dixi rationem
quam habeant non satis perspicio; vim et eventum agnosco scio adprobo. Similiter quid fissum in extis quid fibra valeat
accipio; quae causa sit nescio. Atque horum quidem plena vita est; extis enim omnes fere utuntur. Quid? de fulgurum vi dubitare
num possumus? Nonne cum multa alia mirabilia tum illud in primis: cum Summanus in fastigio Iovis optumi maxumi qui tum erat
fictilis e caelo ictus esset nec usquam eius simulacri caput inveniretur haruspices in Tiberim id depulsum esse dixerunt idque
inventum est eo loco qui est ab haruspicibus demonstratus.
Versione tradotta
10. «Tu difendi la roccaforte degli Stoici, Quinto,» io risposi, «se davvero
c'è reciproca dipendenza tra questi due enunciati; se c'è la divinazione, ci sono gli dèi, e se gli dèi ci sono, c'è la
divinazione. Ma né l'uno né l'altro enunciato vien dato per vero con tanta facilità quanto tu credi. Da un lato, il futuro
può essere indicato da eventi naturali, senza l'intervento della divinità; dall'altro, anche ammesso che gli dèi esistano,
può darsi che essi non abbiano concesso al genere umano alcuna capacità di divinazione. » E Quinto: «Ma il fatto stesso che vi
siano generi di divinazione chiari ed evidenti, a mio giudizio costituisce una prova sufficiente dell'esistenza degli dèi e
della loro provvidenza nei riguardi delle cose umane. Ti esporrò volentieri il mio parere su tutto ciò, a patto che tu sia
libero da altre occupazioni e non abbia qualcosa da preferire a questa nostra conversazione.» 11. «Per la filosofia,» risposi,
«io ho sempre l'animo ben disposto, caro Quinto; e poiché adesso non ho nient'altro a cui possa dedicarmi volentieri, tanto
più sono desideroso di sentire il tuo parere sulla divinazione.» «Non dirò nulla di nuovo,» incominciò Quinto, «né opinioni mie
divergenti da quelle altrui: io seguo una dottrina antichissima e, per di più, confermata dal consenso di tutti i popoli e di
tutte le genti. Due sono i generi di divinazione, l'uno che riguarda l'arte, l'altro la natura. 12. Quale popolo c'è,
d'altronde, o quale città, che non rimanga impressionata dalla predizione degli indagatori delle viscere di animali o degli
interpreti dei prodìgi e dei lampi o degli àuguri o degli astrologi o di coloro che estraggono le sorti (questi che ho elencato
si riferiscono all'arte), ovvero dai presagi dei sogni e delle grida profetiche (questi due si considerano naturali)? Io credo
che di tutto ciò vadano indagati i risultati piuttosto che le cause. C'è, difatti, una dote naturale che, o dopo lunga
osservazione degl'indizi profetici, o per qualche istinto e ispirazione di origine divina, preannuncia il
futuro.
La smetta perciò Carneade di provocarci (come faceva anche
Panezio) chiedendosi se è stato Giove a ordinare alla cornacchia di gracidare da sinistra, al corvo da destra. Questi fenomeni
sono stati osservati da tempo infinito, si è tenuto conto di ciò che accadeva dopo che si erano manifestati certi segni. Del
resto, non c'è nulla che, nel lungo scorrere del tempo, non possa essere chiarito e messo in evidenza mediante il ricordo dei
fatti e la consultazione dei documenti scritti. 13. È lecito constatare con lieta meraviglia quali specie di erbe e di radici
atte a curare le morsicature delle bestie, le malattie degli occhi, le ferite, siano state scoperte dai medici, senza che la
ragione abbia mai spiegato il motivo della loro efficacia: eppure la loro utilità ha dato credito all'arte medica e allo
scopritore. Osserviamo un po' quei fenomeni che, pur appartenendo a un genere diverso, sono tuttavia alquanto affini alla
divinazione: «E anche il mare gonfio indica spesso l'appressarsi dei venti, quando all'improvviso e fin dal profondo si
solleva, e gli scogli biancheggianti, battuti dalla spuma nivea dell'acqua salata, gareggiano con Nettuno nel mandar lugubri
voci, o quando un fitto stridore, proveniente dall'alta vetta d'un monte, si accresce, respinto indietro dalla barriera degli
scogli.»
Di questi presagi sono pieni i tuoi "Prognostica". Ebbene, chi
potrebbe scoprire le cause dei presagi? Vero è che lo ha tentato, a quel che vedo, lo stoico Boeto, il quale riuscì in parte a
spiegare i fenomeni marini e celesti. 14. Ma chi saprebbe dire con qualche probabilità di certezza il perché avvengano questi
altri fatti? "Del pari la grigia fòlaga, fuggendo dal gorgo profondo del mare, col suo grido annunzia che incombono orribili
tempeste, ed effonde dalla tremula gola alte voci. Spesso anche l'acrèdula fa sgorgare dal petto una nenia tristissima e
persiste nel suo canto mattutino: persiste nel suo canto e lancia dalla bocca continui lamenti, appena l'aurora fa cadere la
fredda rugiada. E non di rado la nera cornacchia, scorazzando per la spiaggia, immerge la testa e fa spruzzare i flutti sul
collo."
15. Vediamo che questi indizi non si smentiscono quasi mai, eppure
non sappiamo perché ciò accada."Anche voi, nutrite di acqua dolce, vedete i segni della tempesta, quando vi apprestate a
lanciare vani richiami a gran voce, e con stridule grida turbate le fonti e gli stagni." Chi potrebbe immaginare che le
ranocchie prevedano la tempesta? Ma è insito nelle ranocchie un potere di presagire qualcosa: un potere difficilmente negabile
in quanto tale, anche se non ben comprensibile alla ragione umana. "E i buoi che incedono lenti, con lo sguardo rivolto al
cielo luminoso, aspirano dalle narici l'umido vapore dell'aria." Non domando il perché, dal momento che constato che il
presagio si avvera. "Inoltre, sempre verde e sempre carico di bacche, il lentisco, che è solito arricchirsi di un triplice
frutto, tre volte spandendo intorno la sua messe preannuncia i tre tempi dell'aratura." 16. Nemmeno questo chiedo, perché quel
solo albero fiorisca tre volte o perché con la fioritura indichi che è tempo di arare; mi accontento di sapere che cosa accada,
pur ignorando perché accada. In difesa di ogni genere di divinazione, dunque, darò la stessa risposta che ho dato per quei
presagi che ho menzionato.
Quale utilità ha la radice del Convolvolo come
purgante, quale efficacia ha l'Aristolochia contro il morso dei serpenti? (questa pianta si chiama così dal nome del suo
scopritore, il quale la trovò in seguito a un sogno); io vedo che ciò è possibile, e mi basta; perché sia possibile, non so.
Allo stesso modo non sono in grado di capir bene a quale legge razionale obbediscano i segni annunciatori dei venti e delle
piogge, di cui ho parlato prima; ma riconosco, io ammetto, constato il loro potere e il risultato che ne consegue. Parimenti,
so che significato abbia la fenditura nelle viscere degli animali sacrificati, o la fibra; la causa di questi presagi, non la
conosco. E in tutta la nostra vita ci troviamo in questa condizione: poiché quasi tutti credono agli indizi delle viscere. E
possiamo forse dubitare del valore profetico dei fulmini? Fra i tanti esempi di tali miracoli, questo è soprattutto degno di
ricordo: l'immagine di Summano, che allora era di argilla, posta in cima al tempio di Giove Ottimo Massimo, fu colpita da un
fulmine, né si riusciva a ritrovare in alcun luogo la testa della statua. Gli arùspici dissero che era caduta nel Tevere, e fu
trovata esattamente nel punto che da essi era stato indicato.
- Letteratura Latina
- De Divinatione di Cicerone
- Cicerone