Libro 1 Paragrafo 61
Intellegendum autem est cum proposita sint genera quattuor e quibus honestas
officiumque manaret splendidissimum videri quod animo magno elatoque humanasque res despiciente factum sit. Itaque in probris
maxime in promptu est si quid tale dici potest:
“Vos enim iuvenes animum geritis muliebrem
illa” virgo “viri”
et si quid eiusmodi:
Salmacida spolia sine sudore et sanguine.
Contraque in laudibus quae magno animo et fortiter
excellenterque gesta sunt ea nescio quomodo quasi pleniore ore laudamus. Hinc rhetorum campus de Marathone Salamine Plataeis
Thermopylis Leuctris hinc noster Cocles hinc Decii hinc Cn. et P. Scipiones hinc M. Marcellus innumerabiles alii maximeque ipse
populus Romanus animi magnitudine excellit. Declaratur autem studium bellicae gloriae quod statuas quoque videmus ornatu fere
militari.
Libro 1 Paragrafo 62
Sed ea animi elatio quae cernitur in periculis et
laboribus si iustitia vacat pugnatque non pro salute communi sed pro suis commodis in vitio est; non modo enim id virtutis non
est sed est potius immanitatis omnem humanitatem repellentis. Itaque probe definitur a Stoicis fortitudo cum eam virtutem esse
dicunt propugnantem pro aequitate. Quocirca nemo qui fortitudinis gloriam consecutus est insidiis et malitia laudem est
adeptus: nihil enim honestum esse potest quod iustitia vacat.
Libro 1 Paragrafo
64
Sed illud odiosum est quod in hac elatione et magnitudine animi facillime pertinacia et nimia cupiditas principatus
innascitur. Ut enim apud Platonem est omnem morem Lacedaemoniorum inflammatum esse cupiditate vincendi sic ut quisque animi
magnitudine maxime excellet ita maxime vult princeps omnium vel potius solus esse. Difficile autem est cum praestare omnibus
concupieris servare aequitatem quae est iustitiae maxime propria. Ex quo fit ut neque disceptatione vinci se nec ullo publico
ac legitimo iure patiantur existuntque in re publica plerumque largitores et factiosi ut opes quam maximas consequantur et sint
vi potius superiores quam iustitia pares. Sed quo difficilius hoc praeclarius; nullum enim est tempus quod iustitia vacare
debeat.
Libro 1 Paragrafo 65
Fortes igitur et magnanimi sunt habendi non qui faciunt
sed qui propulsant iniuriam. Vera autem et sapiens animi magnitudo honestum illud quod maxime natura sequitur in factis positum
non in gloria iudicat principemque se esse mavult quam videri. Etenim qui ex errore imperitae multitudinis pendet hic in magnis
viris non est habendus. Facillime autem ad res iniustas impellitur ut quisque altissimo animo est gloriae cupiditate; qui locus
est sane lubricus quod vix invenitur qui laboribus susceptis periculisque aditis non quasi mercedem rerum gestarum desideret
gloriam.
Versione tradotta
Ma bisogna pur riconoscere che, delle quattro virtù che io ho esposto innanzi e
da cui procedono l'onestà e il dovere, la più splendida è certamente quella che risiede in un animo grande ed elevato, il
quale disprezza i beni esteriori. Ecco perchè, quando si tratta di fare un rimprovero a qualcuno, ci corrono subito alle labbra
parole come queste :
" Voi, o giovani, avete un cuore di donna; quella fanciulla, invece, ha un cuore d'eroe";
o come
queste altre:
" 0 Salmacide (= effeminato), prenditi il bottino, che non ti costa né sudore né sangue";
all'opposto,
quando si tratta di lodare, tutte quelle azioni che furono compiute con grandezza e fortezza d'animo, noi le esaltiamo, non so
come, con voce più alta e più chiara. Di qui, quella larga messe di esempi che offrono ai maestri d'eloquenza le battaglie di
Maratona, di Salamina, di Platea, delle Termopili, di Leuttra; di qui quella gloria onde risplendono i nostri eroi: Orazio
Coclite, i Decii, Gaio e Publio Scipione, Marco Marcello e innumerevoli altri; ma soprattutto il popolo romano, meraviglioso
campione di magnanimità. Inoltre mette in chiara luce il nostro amore per la gloria delle armi il fatto che anche le statue noi
le vediamo generalmente in abito militare.
Ma quella
grandezza d'animo che si manifesta nei pericoli e nelle difficoltà, se manca di giustizia e combatte, non per il pubblico
bene, ma per i suoi particolari interessi, è in colpa: perché l'egoismo non solo è estraneo alla virtù, ma piuttosto è proprio
della brutalità, che esclude e respinge ogni gentilezza umana. Pertanto gli Stoici ben definiscono la fortezza, quando
affermano che essa è quella virtù che combatte in difesa della giustizia. Nessuno, perciò, che abbia conseguito fama di
fortezza con inganni e con malizia, ha mai ottenuto una vera gloria: non c'è onestà se non c'è giustizia. 63. Bellissima,
dunque, quella frase di Platone: " Non solo quel sapere, che è disgiunto da giustizia, va chiamato furfanteria piuttosto che
sapienza, ma anche il coraggio che affronta i pericoli, se è mosso, non dal bene comune, ma da un suo personale interesse,
abbia il nome di audacia piuttosto che di fortezza". Noi vogliamo pertanto che gli uomini forti e coraggiosi siano, nel
medesimo tempo, buoni e schietti, amanti della verità e alieni da ogni impostura: qualità queste che scaturiscono dall'intima
essenza della giustizia.
Ma è ben penoso vedere come in
seno a questa elevatezza e grandezza d'animo nasca assai facilmente l'ostinazione e un'eccessiva bramosia di primato. A quel
modo che, come scrive Platone, lo spirito pubblico degli Spartani non ardeva che d'amor di vittoria, così, quanto più uno
eccelle per grandezza d'animo, tanto più agogna d'essere il primo, o piuttosto il solo fra tutti. D'altra parte, quando si è
posseduti dal desiderio di essere superiore a tutti, è ben difficile mantenere l'equità, che è il principale attributo della
giustizia. Onde avviene che gli ambiziosi non si lasciano vincere, né da buone ragioni, né da alcuna autorità di diritto e di
leggi; ed ecco emergere per lo più nella vita pubblica corruttori e partigiani, che altro non vogliono se non acquistare quanta
più potere è possibile, ed essere superiori nella forza piuttosto che pari nella giustizia. Ma quanto più è difficile, tanto
più è bella la moderazione: non c'è momento della vita che possa sottrarsi all'imperativo della
giustizia.
Forti e magnanimi, adunque, si devono stimare non
quelli che fanno, ma quelli che respingono l'ingiustizia. E la vera e sapiente grandezza d'animo giudica che quell'onestà, a
cui tende sopratutto la natura umana, sia riposto non nella fama, bensi nelle azioni, e perciò non tanto vuol sembrare quanto
essere superiore agli altri. In verità, chi dipende dal capriccio d'una folla ignorante, non deve annoverarsi fra gli uomini
grandi. D'altra parte, l'animo umano, quanto più è elevato, tanto più facilmente è spinto a commettere azioni ingiuste dal
desiderio della gloria; ma questo è un terreno assai sdrucciolevole, perché è difficile trovare uno che, dopo aver sostenuto
fatiche e affrontato pericoli, non desideri, come ricompensa delle sue imprese, la gloria.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone