Libro 1 Paragrafo 76
Licet eadem de Pausania Lysandroque dicere quorum
rebus gestis quamquam imperium Lacedaemoniis partum putatur tamen ne minima quidem ex parte Lycurgi legibus et disciplinae
conferendi sunt; quin etiam ob has ipsas causas et parentiores habuerunt exercitus et fortiores. Mihi quidem neque pueris nobis
M. Scaurus C. Mario neque cum versaremur in re publica Q. Catulus Cn. Pompeio cedere videbatur; parvi enim sunt foris arma nisi
est consilium domi. Nec plus Africanus singularis et vir et imperator in exscindenda Numantia rei publicae profuit quam eodem
tempore P. Nasica privatus cum Ti. Gracchum interemit; quamquam haec quidem res non solum ex domestica est ratione–attingit
etiam bellicam quoniam vi manuque confecta est–sed tamen id ipsum est gestum consilio urbano sine
exercitu.
Libro 1 Paragrafo 77
Illud autem optimum est in quod invadi solere ab
improbis et invidis audio “cedant arma togae concedat laurea laudi”. Ut enim alios omittam nobis rem publicam gubernantibus
nonne togae arma cesserunt? Neque enim periculum in re publica fuit gravius umquam nec maius otium. Ita consiliis diligentiaque
nostra celeriter de manibus audacissimorum civium delapsa arma ipsa ceciderunt. Quae res igitur gesta umquam in bello tanta?
qui triumphus conferendus?
Libro 1 Paragrafo 78
Licet enim mihi M. fili apud te
gloriari ad quem et hereditas huius gloriae et factorum imitatio pertinet. Mihi quidem certe vir abundans bellicis laudibus Cn.
Pompeius multis audientibus hoc tribuit ut diceret frustra se triumphum tertium deportaturum fuisse nisi meo in rem publicam
beneficio ubi triumpharet esset habiturus. Sunt igitur domesticae fortitudines non inferiores militaribus; in quibus plus etiam
quam in his operae studiique ponendum est.
Libro 1 Paragrafo 79
Omnino illud
honestum quod ex animo excelso magnificoque quaerimus animi efficitur non corporis viribus. Exercendum tamen corpus et ita
afficiendum est ut oboedire consilio rationique possit in exsequendis negotiis et in labore tolerando. Honestum autem id quod
exquirimus totum est positum in animi cura et cogitatione; in quo non minorem utilitatem afferunt qui togati rei publicae
praesunt quam qui bellum gerunt. Itaque eorum consilio saepe aut non suscepta aut confecta bella sunt non numquam etiam illata
ut M. Catonis bellum tertium Punicum in quo etiam mortui valuit auctoritas.
Libro 1 Paragrafo
80
Qua re expetenda quidem magis est decernendi ratio quam decertandi fortitudo sed cavendum ne id bellandi magis fuga
quam utilitatis ratione faciamus. Bellum autem ita suscipiatur ut nihil aliud nisi pax quaesita videatur. Fortis vero animi et
constantis est non perturbari in rebus asperis nec tumultuantem de gradu deici ut dicitur sed praesenti animo uti et consilio
nec a ratione discedere.
Versione tradotta
Lo
stesso può dirsi di Pausania e di Lisandro, le cui imprese, pur avendo ampliato, come si crede, l'impero agli Spartani,
tuttavia non si possono neppure lontanamente paragonare con le leggi e gli ordinamenti di Licurgo; anzi, proprio in virtù di
questi, essi ebbero eserciti più disciplinati e più agguerriti. Secondo il mio parere, Marco Scauro, al tempo della mia
fanciullezza, non era inferiore a Gaio Mario, e così Quinto Catulo, al tempo della mia attività politica, non era da meno di
Gneo Pompeo: poco valgono gli eserciti in campo, se non c'è il buon consiglio in patria. E lo stesso Africano, uomo e generale
veramente unico, distruggendo Numanzia, non giovò allo Stato più di quel che giovò, nel medesimo tempo, Publio Nasica,
cittadino privato, uccidendo Tiberio Gracco. Si dirà che quest'azione non rientra solo nella ragione politica, ma riguarda
anche la militare, in quanto fu compiuta con la forza delle armi; ma appunto quest'uso della forza avvenne per deliberazione
civile e senza intervento dell'esercito.
Ottima è quella mia
sentenza, contro la quale, a quel ch'io sento, si scagliano i soliti maligni e gl'invidiosi:
" Cedano l'armi alla toga,
ceda l'alloro del capitano alla gloria del cittadino" .
Per tralasciare altri casi, quando io reggevo il timone dello
Stato, forse le armi non cedettero alla toga? Mai lo Stato corse più grave pericolo e mai godette più sicura pace. Con tanta
prontezza, in virtù dei miei provvedimenti e della mia vigilanza, caddero da se stesse le armi dalle mani di temerari e
facinorosi cittadini. Quale impresa così grande, dunque, fu mai compiuta in guerra? Quale trionfo di capitano può paragonarsi
con questo di magistrato?
Lascia, Marco, figlio mio,
lascia che io me ne vanti con te, poiché spetta a te ereditare questa mia gloria ed emulare queste mie azioni. Certo è che un
uomo, colmo di gloria militare, Gneo Pompeo, mi fece l'onore di affermare alla presenza di molti che invano egli avrebbe
riportato il suo terzo trionfo se, per le mie benemerenze patriotticlie, egli non avesse avuto una patria, ove trionfare. Le
prove di fortezza che si danno in pace non sono dunque inferiori alle prove che si danno in guerra; ché anzi quelle richiedono
maggiore fatica maggiore impegno di queste.
In conclusione,
quella particolare onestà che noi cerchiamo in un animo grande ed elevato, deriva dalle forze dello spirito, non già da quelle
del corpo. Il corpo bisogna esercitarlo, e disporlo in maniera che possa obbedire ai consigli della ragione, sia nel disbrigo
degli affari, sia nel sopportare la fatica. Insomma, quell'onestà, che con tanta cura andiamo cercando, risiede tutta
nell'attività dello spirito e, principalmente, nel pensiero. E, a questo riguardo, recano non minor vantaggio al bene comune
coloro che, come magistrati, presiedono allo Stato, di coloro che, come capitani, attendono alla guerra. Il fatto è che spesso,
per l'avveduto consiglio dei magistrati, le guerre, o non furono intraprese, o furono condotte a termine; talvolta furono
anche dichiarate, come fu dichiarata per consiglio di Marco Catone la terza guerra punica, quella guerra in cui trionfò la sua
autorevole volontà pur dopo la sua morte
Si preferisca,
dunque, la saggezza di una buona decisione alla prodezza di una fiera battaglia, con questa riserva però, che si anteponga il
deliberare al combattere non già per paura della guerra, ma solo per riguardo dell'utile comune. A ogni modo, quando è
necessaria, si intraprenda pure una guerra, ma sempre e solo con l'evidente scopo di procurare la pace. In verità, l'uomo
forte e costante si riconosce in questo: le avversità non lo turbano, la lotta non lo sgomenta e non l'abbatte; sempre
presente a se stesso e sempre padrone del suo spirito, egli non si discosta mai dalla ragione che lo
guida.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone