Libro 1 Paragrafo
81
Quamquam hoc animi illud etiam ingenii magni est praecipere cogitatione futura et aliquanto ante constituere quid
accidere possit in utramque partem et quid agendum sit cum quid evenerit nec committere ut aliquando dicendum sit “non
putaram”. Haec sunt opera magni animi et excelsi et prudentia consilioque fidentis; temere autem in acie versari et manu cum
hoste confligere immane quiddam et beluarum simile est; sed cum tempus necessitasque postulat decertandum manu est et mors
servituti turpitudinique anteponenda.
Libro 1 Paragrafo 82
[De evertendis autem
diripiendisque urbibus valde considerandum est ne quid temere ne quid crudeliter. Idque est viri magni rebus agitatis punire
sontes multitudinem conservare in omni fortuna recta atque honesta retinere.] Ut enim sunt quemadmodum supra dixi qui urbanis
rebus bellicas anteponant sic reperias multos quibus periculosa et calida consilia quietis et cogitatis splendidiora et maiora
videantur.
Libro 1 Paragrafo 83
Numquam omnino periculi fuga committendum est ut
inbelles timidique videamur sed fugiendum illud etiam ne offeramus nos periculis sine causa quo esse nihil potest stultius.
Quapropter in adeundis periculis consuetudo imitanda medicorum est qui leviter aegrotantes leniter curant gravioribus autem
morbis periculosas curationes et ancipites adhibere coguntur. Quare in tranquillo tempestatem adversam optare dementis est
subvenire autem tempestati quavis ratione sapientis eoque magis si plus adipiscare re explicata boni quam addubitata mali.
Periculosae autem rerum actiones partim iis sunt qui eas suscipiunt partim rei publicae.
Libro 1 Paragrafo 84
Itemque alii de vita alii de gloria et benivolentia civium in discrimen vocantur. Promptiores
igitur debemus esse ad nostra pericula quam ad communia dimicareque paratius de honore et gloria quam de ceteris commodis.
Inventi autem multi sunt qui non modo pecuniam sed etiam vitam profundere pro patria parati essent idem gloriae iacturam ne
minimam quidem facere vellent ne re publica quidem postulante ut Callicratidas qui cum Lacedaemoniorum dux fuisset
Peloponnesiaco bello multaque fecisset egregie vertit ad extremum omnia cum consilio non paruit eorum qui classem ab Arginusis
removendam nec cum Atheniensibus dimicandum putabant. Quibus ille respondit Lacedaemonios classe illa amissa aliam parare posse
se fugere sine suo dedecore non posse. Atque haec quidem Lacedaemoniis plaga mediocris illa pestifera qua cum Cleombrotus
invidiam timens temere cum Epaminonda conflixisset Lacedaemoniorum opes corruerunt. Quanto Q. Maximus melius! de quo Ennius:
Unus homo nobis cunctando restituit rem.
Noenum rumores ponebat ante salutem.
Ergo postque magisque viri nunc gloria
claret.
Quod genus peccandi vitandum est etiam in rebus urbanis. Sunt enim qui quod sentiunt etsi optimum sit tamen invidiae
metu non audeant dicere.
Libro 1 Paragrafo 85
Omnino qui rei publicae praefuturi
sunt duo Platonis praecepta teneant: unum ut utilitatem civium sic tueantur ut quaecumque agunt ad eam referant obliti
commodorum suorum alterum ut totum corpus rei publicae curent ne dum partem aliquam tuentur reliquas deserant. Ut enim tutela
sic procuratio rei publicae ad eorum utilitatem qui commissi sunt non ad eorum quibus commissa est gerenda est. Qui autem parti
civium consulunt partem neglegunt rem perniciosissimam in civitatem inducunt seditionem atque discordiam; ex quo evenit ut alii
populares alii studiosi optimi cuiusque videantur pauci universorum.
Versione tradotta
Questo è il pregio dell'animo grande; ma anche il grande intelletto
ha un suo pregio: esso precorre col pensiero il futuro, determina con buon anticipo i possibili eventi favorevoli e
sfavorevoli, stabilisce i vari comportamenti nelle varie circostanze; in una parola, si comporta in modo da non dover dire un
giorno: " Oh, io non l'avrei mai creduto"! Queste sono le opere di un animo grande ed elevato, e che confida nel suo senno e
nella sua saggezza. Ma cacciarsi alla cieca nella mischia e combattere a corpo a corpo col nemico, è un atto di bestiale
ferocia; quando però il momento e la necessità lo richiedono, allora si combatta pure fino all'ultimo sangue e si anteponga la
morte all'infamia della schiavitù.
[Quando la necessità impone
di distruggere o di saccheggiare una città, si osservino scrupolosamente due cose: nessun atto temerario, nessuna crudeltà. Nei
rivolgimenti politici e sociali, è stretto dovere dell'uomo magnanimo punire i sobillatori, preservare il popolo; in ogni
momento e in ogni evento, rispettare la giustizia e l'onestà]. Come ci sono alcuni (ne ho parlato più sopra), i quali alle
opere civili antepongono le imprese militari, così si trovano molti, a cui le decisioni rischiose e precipitose appaiono più
splendide e più nobili di quelle tranquille e meditate.
E' ben
vero che noi, col fuggire il pericolo, non dobbiamo mai correre il rischio di passar da imbelli e da codardi; ma è anche vero
che dobbiamo rifuggire dal buttarci allo sbaraglio senza ragione, che è la cosa più dissennata del mondo. Perciò,
nell'affrontare i pericoli, dobbiamo seguire il metodo dei medici, che, ai malati leggeri, porgono blandi rimedi, riservando
di necessità alle malattie più gravi le cure pericolose e incerte. Nella bonaccia pertanto, invocare la tempesta è grande
follia; ma superare la tempesta in qualunque modo, è vera saggezza, tanto più se il vantaggio di una pronta decisione supera il
danno di un'incerta esecuzione! D'altra parte, le pubbliche imprese sono pericolose tanto per coloro che le affrontano,
quanto per lo Stato. E così, alcuni corrono il rischio di sacrificare la vita, altri di perdere la loro gloria e la benevolenza
dei concittadini. Dobbiamo, dunque, essere più pronti a metter a repentaglio i nostri interessi che non quelli della patria; e,
particolarmente, più disposti a combattere per l'onore e per la gloria che non per gli altri beni
materiali.
Si trovano molti però che sono disposti a
sacrificare per la patria non solo il denaro, ma anche la vita, mentre poi rifiutano di fare il più piccolo sacrificio della
loro gloria, anche se lo richiede la patria. Come fece, per esempio, Callieratida, il quale, essendo ammiraglio degli Spartani
nella guerra del Peloponneso e avendo compiuto molte e mirabili imprese, alla fine mandò tutto inrovina, per non aver voluto
seguire il consiglio di coloro i quali giudicavano opportuno ritirare la flotta dalle Arginuse e non venire a battaglia con gli
Ateniesi. Egli rispose loro che Sparta, perduta quella flotta, ben poteva allestirne un'altra, mentre lui non poteva fuggire
senza macchiarsi d'infamia. E quello fu per gli Spartani un colpo abbastanza lieve; rovinoso fu l'altro, quando Cleombroto,
temendo lo sfavore popolare, a cuor leggero venne alle mani con Epaminonda, e la potenza di Sparta crollò. Quanto migliore fu
la condotta di Quinto Massimo, del quale Ennio dice:
"Un uomo solo, temporeggiando, rialzò le nostre sorti. Egli non
anteponeva le dicerie del volgo alla salvezza della patria. Onde la gloria di quel grande di giorno in giorno risplende più
viva "
Questa sorta d'errore, per altro, si deve evitare anche nelle questioni civili: ci sono di quelli, infatti, che,
per timore della impopolarità, non osano manifestare il loro pensiero, anche se ottimo.
Libro 1, Paragrafo 85
In generale, quelli che si dispongono a governare lo Stato, tengano ben presenti questi due
precetti di Platone: primo, curare l'utile dei cittadini in modo da adeguare ad esso ogni loro azione, dimentichi e incuranti
dei propri interessi; secondo, provvedere a tutto l'organismo dello Stato, affinché, mentre ne curano una parte, non abbiano a
trascurare le altre. Come la tutela di un pupillo, così il governo dello Stato deve esercitarsi a vantaggio non dei Governanti,
ma dei governati. D'altra parte, quelli che provvedono a una parte dei cittadini e ne trascurano un'altra, introducono nello
Stato il più funesto dei malanni: la discordia e la sedizione; onde avvviene che alcuni appaiono amici del popolo, altri
fautori degli ottimati; ben pochi sono devoti al bene di tutti.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone