De Officiis, Libro 1, Par. da 86 a 90 - Studentville

De Officiis, Libro 1, Par. da 86 a 90

Libro 1 Paragrafo 86
Hinc apud Athenienses magnae discordiae in nostra re publica non solum seditiones

sed etiam pestifera bella civilia; quae gravis et fortis civis et in re publica dignus principatu fugiet atque oderit tradetque

se totum rei publicae neque opes aut potentiam consectabitur totamque eam sic tuebitur ut omnibus consulat. Nec vero criminibus

falsis in odium aut invidiam quemquam vocabit omninoque ita iustitiae honestatique adhaerescet ut dum ea conservet quamvis

graviter offendat mortemque oppetat potius quam deserat illa quae dixi.

Libro 1 Paragrafo

87
Miserrima omnino est ambitio honorumque contentio de qua praeclare apud eundem est Platonem “similiter facere eos

qui inter se contenderent uter potius rem publicam administraret ut si nautae certarent quis eorum potissimum gubernaret”.

Idemque praecipit “ut eos adversarios existimemus qui arma contra ferant non eos qui suo iudicio tueri rem publicam velint”

qualis fuit inter P. Africanum et Q. Metellum sine acerbitate dissensio.

Libro 1 Paragrafo

88
Nec vero audiendi qui graviter inimicis irascendum putabunt idque magnanimi et fortis viri esse censebunt; nihil

enim laudabilius nihil magno et praeclaro viro dignius placabilitate atque clementia. In liberis vero populis et in iuris

aequabilitate exercenda etiam est facilitas et altitudo animi quae dicitur ne si irascamur aut intempestive accedentibus aut

impudenter rogantibus in morositatem inutilem et odiosam incidamus et tamen ita probanda est mansuetudo atque clementia ut

adhibeatur rei publicae causa severitas sine qua administrari civitas non potest. omnis autem et animadversio et castigatio

contumelia vacare debet neque ad eius qui punitur aliquem aut verbis castigat sed ad rei publicae utilitatem

referri.

Libro 1 Paragrafo 89
Cavendum est etiam ne maior poena quam culpa sit et

ne isdem de causis alii plectantur alii ne appellentur quidem. prohibenda autem maxime est ira puniendo; numquam enim iratus

qui accedet ad poenam mediocritatem illam tenebit quae est inter nimium et parum quae placet Peripateticis et recte placet modo

ne laudarent iracundiam et dicerent utiliter a natura datam. Illa vero omnibus in rebus repudianda est optandumque ut ii qui

praesunt rei publicae legum similes sint quae ad puniendum non iracundia sed aequitate

ducuntur.

Libro 1 Paragrafo 90
Atque etiam in rebus prosperis et ad voluntatem

nostram fluentibus superbiam magnopere fastidium arrogantiamque fugiamus. nam ut adversas res sic secundas inmoderate ferre

levitatis est praeclaraque est aequabilitas in omni vita et idem semper vultus eademque frons ut de Socrate itemque de C.

Laelio accepimus. Philippum quidem Macedonum regem rebus gestis et gloria superatum a filio facilitate et humanitate video

superiorem fuisse. Itaque alter semper magnus alter saepe turpissimus ut recte praecipere videantur qui monent ut quanto

superiores simus tanto nos geramus summissius. Panaetius quidem Africanum auditorem et familiarem suum solitum ait dicere “ut

equos propter crebras contentiones proeliorum ferocitate exultantes domitoribus tradere soleant ut iis facilioribus possint uti

sic homines secundis rebus effrenatos sibique praefidentes tamquam in gyrum rationis et doctrinae duci oportere ut perspicerent

rerum humanarum imbecillitatem varietatemque fortunae”.

Versione tradotta

Libro 1, Paragrafo 86
Di

qui nacquero in Atene grandi discordie; di qui scoppiarono nella nostra repubblica, non solo sedizioni, ma anche rovinose

guerre civili; mali, questi, che un cittadino austero e forte, degno di primeggiar nello Stato, fuggirà con orrore:

consacrandosi interamente allo Stato, senza cercar per sé né ricchezze né potenza, egli lo custodirà e lo proteggerà tutto

quanto, in modo da provvedere al bene di tutti i cittadini. Inoltre, con false accuse, egli non susciterà né odio né disprezzo

contro alcuno; anzi si atterrà così strettamente alla giustizia e all'onestà che, pur di mantenerle ferme e salde, affronterà

i più gravi insuccessi e incontrerà anche la morte, piuttosto che tradire quelle norme che ho

detto.

Libro 1, Paragrafo 87
Miserabile soprattutto è l'ambizione e la caccia agli

onori. Bellissime cose scrive a questo proposito lo stesso Platone: "Coloro che si contendono il governo dello Stato somigliano

a dei marinai che si contrastino il timone della nave". E ancora ci ammonisce di tener per avversari coloro che ci vengono

incontro con l'arme in pugno, non già coloro che vorrebbero governar lo Stato secondo le proprie vedute. Un dissenso di tale

specie, senza intrinseca amarezza, ci fu, per esempio, tra Publio Africano e Quinto Metello.

Libro 1, Paragrafo 88

Non bisogna dare ascolto a coloro i quali credono che dobbiamo adirarci fieramente coi

nostri nemici, e anzi vedono appunto nell'adirarsi il carattere distintivo dell'uomo magnanimo e forte: no, la virtù più

bella, la virtù più degna di un uomo grande e nobile è la mitezza e la clemenza. Negli Stati liberi, ove regna l'eguaglianza

del diritto, bisogna anche dare prova di una certa arrendevolezza, e di quella che è solita chiamarsi padronanza di sé, per non

incorrere nella taccia di inutile e odiosa scontrosità, se ci accada di adirarci con ímportuni visitatori o con sfrontati

sollecitatori. E tuttavia la mite e mansueta clemenza merita lode solo a patto che, per il bene superiore dello Stato, si

adoperi anche la severità, senza la qualenessun governo è possibile. Ogni punizione e ogni rimprovero, però, devono essere

privi di offesa, e mirare, non alla soddisfazione di colui che punisce o rimprovera, ma solo al vantaggio dello

Stato.

Libro 1, Paragrafo 89
Bisogna anche badare che la pena non sia maggiore della

colpa, e non avvenga che, per le medesime ragioni, alcuni siano duramente colpiti, altri neppure richiamati al dovere.

Soprattutto è da evitare la collera nell'atto stesso del punire: chi si accinge al castigo in preda alla collera, non terrà

mai quella giusta via di mezzo, che corre fra il troppo e il poco, via che piace tanto ai Peripatetici, e piace a ragione, solo

che poi non dovrebbero lodare l'ira, dicendo che essa è un utile dono della natura. No, l'ira è da tenere lontana in tutte le

cose, e bisogna far voti che i reggitori dello Stato assomiglino alle leggi, le quali sono spinte a punire non per impeto

d'ira, ma per dovere di giustizia.

Libro 1, Paragrafo 90
Ancora un avvertimento.

Nella prospera fortuna, quando tutto va secondo i nostri desideri, evitiamo quanto più è possibile l'orgoglio, fuggiamo il

disprezzo e l'arroganza. E' indizio. di gran leggerezza il sopportare senza regola e senza misura cosi la prospera come

l'avversa fortuna; mentre è cosa bellissima il mostrarsi eguali a se stessi in ogni momento della vita, e il mantenere sempre

lo stesso volto e la stessa fronte, come si racconta di Socrate e di Gaio Lelio. Io leggo nella storia che Filippo, re dei

Macedoni, fu bensi superato da suo figlio nella gloria delle imprese militari, ma lo superò di gran lunga nell'affabilità e

nella dignità umana; e così, mentre il padre fu grande sempre, il figlio fu spesso brutale; cosí che hanno evidentemente

ragione coloro i quali ci consigliano di comportarci tanto più umilmente quanto più siamo posti in alto. Racconta Panezio che

l'Africano, suo discepolo ed amico, soleva dire:
" come i cavalli, vibranti di selvaggia fierezza per il frequente

slanciarsi nelle battaglie, li affidiamo di solito ai domatori per averli più docili alla mano, così gli uomini, imbaldanziti

dalle molte fortune e troppo fiduciosi nelle proprie forze, dobbiamo condurli, per così dire, alla scuola della ragione e della

saggezza, perché vi imparino l'instabilità delle cose umane e la mutabilità della fortuna".

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