De Bello Civili, Libro 1 - Paragrafi da 31 a 35 - Studentville

De Bello Civili, Libro 1 - Paragrafi da 31 a 35

Paragrafo 31
Nacti vacuas ab imperiis Sardiniam

Valerius Curio Siciliam cum exercitibus eo perveniunt. Tubero cum in Africam venisset invenit in provincia cum imperio Attium

Varum; qui ad Auximum ut supra demonstravimus amissis cohortibus protinus ex fuga in Africam pervenerat atque eam sua sponte

vacuam occupaverat delectuque habito duas legiones effecerat hominum et locorum notitia et usu eius provinciae nactus aditus ad

ea conanda quod paucis ante annis ex praetura eam provinciam obtinuerat. Hic venientem Uticam navibus Tuberonem portu atque

oppido prohibet neque adfectum valetudine filium exponere in terra patitur sed sublatis ancoris excedere eo loco cogit.

Paragrafo 32
His rebus confectis Caesar ut reliquum tempus a labore intermitteretur

milites in proxima municipia deducit; ipse ad urbem proficiscitur. Coacto senatu iniurias inimicorum commemorat. Docet se

nullum extraordinarium honorem appetisse sed exspectato legitimo tempore consulatus eo fuisse contentum quod omnibus civibus

pateret. Latum ab X tribunis plebis contradicentibus inimicis Catone vero acerrime repugnante et pristina consuetudine dicendi

mora dies extrahente ut sui ratio absentis haberetur ipso consule Pompeio ; qui si improbasset cur ferri passus esset? Si

probasset cur se uti populi beneficio prohibuisset? Patientiam proponit suam cum de exercitibus dimittendis ultro

postulavisset; in quo iacturam dignitatis atque honoris ipse facturus esset. Acerbitatem inimicorum docet qui quod ab altero

postularent in se recusarent atque omnia permisceri mallent quam imperium exercitusque dimittere. Iniuriam in eripiendis

legionibus praedicat crudelitatem et insolentiam in circumscribendis tribunis plebis; condiciones a se latas expetita colloquia

et denegata commemorat. Pro quibus rebus hortatur ac postulat ut rem publicam suscipiant atque una secum administrent. Sin

timore defugiant illis se oneri non futurum et per se rem publicam administraturum. Legatos ad Pompeium de compositione mitti

oportere neque se reformidare quod in senatu Pompeius paulo ante dixisset ad quos legati mitterentur his auctoritatem attribui

timoremque eorum qui mitterent significari. Tenuis atque infirmi haec animi videri. Se vero ut operibus anteire studuerit sic

iustitia et aequitate velle superare.

Paragrafo 33
Probat rem senatus de mittendis

legatis: sed qui mitterentur non reperiebantur maximeque timoris causa pro se quisque id munus legationis recusabat. Pompeius

enim discedens ab urbe in senatu dixerat eodem se habiturum loco qui Romae remansissent et qui in castris Caesaris fuissent.

Sic triduum disputationibus excusationibusque extrahitur. Subicitur etiam L. Metellus tribunus plebis ab inimicis Caesaris qui

hanc rem distrahat reliquasque res quascumque agere instituerit impediat. Cuius cognito consilio Caesar frustra diebus aliquot

consumptis ne reliquum tempus amittat infectis eis quae agere destinaverat ab urbe proficiscitur atque in ulteriorem Galliam

pervenit.

Paragrafo 34
Quo cum venisset cognoscit missum a Pompeio Vibullium Rufum quem

paucis ante diebus Corfinio captum ipse dimiserat; profectum item Domitium ad occupandam Massiliam navibus actuariis septem

quas Igilii et in Cosano a privatis coactas servis libertis colonis suis compleverat; praemissos etiam legatos Massilienses

domum nobiles adulescentes quos ab urbe discedens Pompeius erat adhortatus ne nova Caesaris officia veterum suorum beneficiorum

in eos memoriam expellerent. Quibus mandatis acceptis Massilienses portas Caesari clauserant; Albicos barbaros homines qui in

eorum fide antiquitus erant montesque supra Massiliam incolebant ad se vocaverant; frumentum ex finitimis regionibus atque ex

omnibus castellis in urbem convexerant; armorum officinas in urbe instituerant; muros portas classem reficiebant.

Paragrafo 35
Evocat ad se Caesar Massilia XV primos; cum his agit ne initium

inferendi belli a Massiliensibus oriatur: debere eos Italiae totius auctoritatem sequi potius quam unius hominis voluntati

obtemperare. Reliqua quae ad eorum sanandas mentes pertinere arbitrabatur commemorat. Cuius orationem legati domum referunt

atque ex auctoritate haec Caesari renuntiant: intellegere se divisum esse populum Romanum in partes duas; neque sui iudicii

neque suarum esse virium discernere utra pars iustiorem habeat causam. Principes vero esse earum partium Cn. Pompeium et C.

Caesarem patronos civitatis; quorum alter agros Volcarum Arecomicorum et Helviorum publice iis concesserit alter bello victos

Sallyas attribuerit vectigaliaque auxerit. Quare paribus eorum beneficiis parem se quoque voluntatem tribuere debere et neutrum

eorum contra alterum iuvare aut urbe aut portibus recipere.

Versione tradotta

Paragrafo 31
Approfittando dell’assenza di governo, Valerio

giunge in Sardegna, Curione in Sicilia con gli eserciti. Appena Tuberone giunse in Africa, trova nella provincia Azzio Varo al

potere; costui, perse le truppe presso Osimo, come si è detto, subito dopo la fuga era sbarcato in Africa e, trovatala senza

governatore, di sua spontanea volontà se ne era impadronito e, fatte le leve, aveva messo insieme due legioni; esperto com’era

dei luoghi e degli uomini, pratico della provincia trovò facilmente il modo di intraprendere tali imprese, poiché pochi anni

prima, dopo la pretura, aveva ottenuto il governo di quella provincia. Varo impedisce l’accesso al porto e alla città a

Tuberone che con le navi veniva a Utica, non gli consente neppure lo sbarco del figlio malato, ma lo costringe a levare le

ancore e ad allontanarsi da quella zona.

Paragrafo 32
Terminate queste cose, Cesare,

volendo usare il tempo che gli rimaneva per fare riposare (i soldati) dal lavoro, li conduce nei municipi più vicini; egli

parte verso Roma. Convocato il senato, espone le ingiurie arrecategli dagli avversari. Dichiara di non avere cercato nessun

potere illegittimo, ma, dopo avere atteso il tempo stabilito dalla legge per il consolato, di essere stato pago di questa

carica che era concessa a tutti i cittadini. Ricorda che, nonostante l’opposizione dei suoi avversari e la resistenza

violentissima di Catone, il quale secondo una sua antica abitudine guadagnava giorni e giorni tirando per le lunghe con i suoi

discorsi, al tempo del consolato di Pompeo era stato proposto da dieci tribuni che si tenesse conto della sua candidatura, pur

se egli era assente: se Pompeo non l’approvava (la proposta), perché avrebbe permesso che essa venisse presentata? E se era

favorevole, perché avrebbe impedito che egli si servisse di tale beneficio voluto dal popolo? Fa notare la sua tolleranza,

avendo egli per primo chiesto il congedo degli eserciti, mostrandosi con tale proposta disposto a perdere dignità e onore.

Mette in luce l’accanimento degli avversari che rifiutano di fare ciò che pretendono dagli altri e preferiscono porre tutto

quanto a soqquadro piuttosto che lasciare potere ed esercito. Fa notare l’ingiuria a lui arrecata togliendogli le legioni, la

crudeltà e l’insolenza nel limitare il potere dei tribuni; ricorda le proposte che egli ha avanzato, gli incontri richiesti e

rifiutati. In nome di ciò prega e chiede (ai senatori) che assumano il governo e amministrino la cosa pubblica insieme a lui.

Ma se essi fuggiranno per timore, dichiara di non avere intenzione di sottrarsi a questo onere: governerà da solo lo stato.

Sostiene che è opportuno mandare ambasciatori a Pompeo per trattare un accordo e dichiara di non temere ciò che poco prima

aveva detto in senato, cioè che a quelli ai quali si inviano ambasciatori si attribuisce autorità e che il mandarli è segno

della paura di chi li manda. Queste cose sembrano proprie di un animo piccolo e debole. Egli invero, come ha cercato di

primeggiare con le sue imprese, così vuole essere superiore per giustizia ed imparzialità.

Paragrafo

33
Il senato approva che debbano esser mandati ambasciatori, ma non si trovava chi mandare e, sopra tutto, ciascuno

rifiutava, per timore, questo incarico di ambasciatore. Pompeo infatti, allontanandosi dalla città, aveva detto in senato che

avrebbe considerato alla stessa stregua coloro che fossero rimasti a Roma o che fossero stati nell’accampamento di Cesare.

Così si perdono tre giorni in dispute e rifiuti. Gli avversari di Cesare sobillano anche il tribuno della plebe Lucio Metello,

che dilunghi la faccenda la cosa e impedisca le restanti cose che Cesare avesse deciso di fare. Cesare, venuto a conoscenza di

tale piano, dopo avere invano perduto alcuni giorni, per non sprecare altro tempo, che aveva disposto per agire, parte da Roma

e giunge nella Gallia Ulteriore.

 

Paragrafo 34
Essendovi giunto, viene a sapere che

Pompeo aveva mandato (in Spagna) Vibullio Rufo che egli, pochi giorni prima, aveva fatto prigioniero a Corfinio e poi lasciato

andare; e che Domizio era parimenti partito per occupare Marsiglia con sette navi molto veloci che aveva sequestrato a

cittadini privati nell’isola del Giglio e nel territorio di Cosa, equipaggiate con servi, liberti e suoi contadini; che prima

erano stati mandati a Marsiglia in qualità di ambasciatori dei giovani nobili marsigliesi che Pompeo, nel lasciare Roma, aveva

esortato a non dimenticare gli antichi suoi benefici per quelli di recente ricevuti da Cesare. Accolto questo invito, i

Marsigliesi avevano chiuso le porte a Cesare; avevano chiamato presso di loro gli Albici, gente barbara che fin dai tempi

antichi era sotto la loro protezione e abitava le montagne sopra Marsiglia; avevano fatto venire grano in città dai paesi

vicini e da tutti i castelli; avevano predisposto in città fabbriche di armi; riparavano le mura, le porte, la flotta.

 

Paragrafo 35
Cesare convoca presso di sé i quindici notabili di Marsiglia; porta avanti

con loro trattative affinché i Marsigliesi non causino la guerra; ricorda che loro dovere è seguire l’esempio autorevole di

tutta l’Italia più che obbedire alla volontà di uno solo. Ricorda loro le altre ragioni che crede utili a farli rinsavire.

Dopo avere riferito il discorso di Cesare ai concittadini, così gli rispondono in loro nome: comprendono che il popolo romano è

diviso in due partiti, non compete loro né sono in grado di stabilire quale dei due partiti difenda una causa più giusta. Capi

di queste fazioni sono Cn. Pompeo e C. Cesare, (entrambi) protettori della città: uno ha ceduto loro pubblicamente i territori

dei Volci Arecomici e degli Elvi, l’altro ha loro assegnati come tributari i Salii vinti in guerra e ha aumentato i proventi.

Perciò, dinanzi a uguali benefici, devono pagare un uguale tributo di riconoscenza, e non aiutare l’uno contro l’altro né

accoglierli in città o nel porto.

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  • De Bello Civili di Giulio Cesare
  • Cesare

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