Paragrafo 66
Media circiter nocte eis qui aquandi
causa longius a castris processerant ab equitibus correptis fit ab his certior Caesar duces adversariorum silentio copias
castris educere. Quo cognito signum dari iubet et vasa militari more conclamari. Illi exaudito clamore veriti ne noctu impediti
sub onere confligere cogerentur aut ne ab equitatu Caesaris in angustius tenerentur iter supprimunt copiasque in castris
continent. Postero die Petreius cum paucis equitibus occulte ad exploranda loca proficiscitur. Hoc idem fit ex castris
Caesaris. Mittitur L. Decidius Sasa cum paucis qui loci naturam perspiciat. Uterque idem suis renuntiat: V milia passuum
proxima intercedere itineris campestris inde excipere loca aspera et montuosa; qui prior has angustias occupaverit ab hoc
hostem prohiberi nihil esse negotii.
Paragrafo 67
Disputatur in consilio a Petreio
atque Afranio et tempus profectionis quaeritur. Plerique censebant ut noctu iter facerent: posse prius ad angustias veniri quam
sentiretur. Alii quod pridie noctu conclamatum esset in Caesaris castris argumenti sumebant loco non posse clam exiri.
Circumfundi noctu equitatum Caesaris atque omnia loca atque itinera obsidere; nocturnaque proelia esse vitanda quod perterritus
miles in civili dissensione timori magis quam religioni consulere consuerit. At lucem multum per se pudorem omnium oculis
multum etiam tribunorum militum et centurionum praesentiam afferre; quibus rebus coerceri milites et in officio contineri
soleant. Quare omni ratione esse interdiu perrumpendum: etsi aliquo accepto detrimento tamen summa exercitus salva locum quem
petant capi posse. Haec vincit in consilio sententia et prima luce postridie constituunt proficisci.
Paragrafo 68
Caesar exploratis regionibus albente caelo omnes copias castris educit
magnoque circuitu nullo certo itinere exercitum ducit. Nam quae itinera ad Hiberum atque Octogesam pertinebant castris hostium
oppositis tenebantur. Ipsi erant transcendendae valles maximae ac difficillimae; saxa multis locis praerupta iter impediebant
ut arma per manus necessario traderentur militesque inermes sublevatique alii ab aliis magnam partem itineris conficerent. Sed
hunc laborem recusabat nemo quod eum omnium laborum finem fore existimabant si hostem Hibero intercludere et frumento prohibere
potuissent.
Paragrafo 69
Ac primo Afraniani milites visendi causa laeti ex castris
procurrebant contumeliosisque vocibus prosequebantur nostros: necessarii victus inopia coactos fugere atque ad Ilerdam reverti.
Erat enim iter a proposito diversum contrariamque in partem iri videbatur. Duces vero eorum consilium suum laudibus efferebant
quod se castris tenuissent; multumque eorum opinionem adiuvabat quod sine iumentis impedimentisque ad iter profectos videbant
ut non posse inopiam diutius sustinere confiderent. Sed ubi paulatim retorqueri agmen ad dextram conspexerunt iamque primos
superare regionem castrorum animum adverterunt nemo erat adeo tardus aut fugiens laboris quin statim castris exeundum atque
occurrendum putaret. Conclamatur ad arma atque omnes copiae paucis praesidio relictis cohortibus exeunt rectoque ad Hiberum
itinere contendunt.
Paragrafo 70
Erat in celeritate omne positum certamen utri prius
angustias montesque occuparent; sed exercitum Caesaris viarum difficultates tardabant Afranii copias equitatus Caesaris
insequens morabatur. Res tamen ab Afranianis huc erat necessario deducta ut si priores montes quos petebant attigissent ipsi
periculum vitarent impedimenta totius exercitus cohortesque in castris relictas servare non possent; quibus interclusis
exercitu Caesaris auxilium ferri nulla ratione poterat. Confecit prior iter Caesar atque ex magnis rupibus nactus planitiem in
hac contra hostem aciem instruit. Afranius cum ab equitatu novissimum agmen premeretur ante se hostem videret collem quendam
nactus ibi constitit. Ex eo loco IIII cetratorum cohortes in montem qui erat in conspectu omnium excelsissimus mittit. Hunc
magno cursu concitatos iubet occupare eo consilio uti ipse eodem omnibus copiis contenderet et mutato itinere iugis Octogesam
perveniret. Hunc cum obliquo itinere cetrati peterent conspicatus equitatus Caesaris in cohortes impetum fecit; nec minimam
partem temporis equitum vim cetrati sustinere potuerunt omnesque ab eis circumventi in conspectu utriusque exercitus
interficiuntur.
Versione tradotta
Intorno alla mezzanotte, Cesare viene
informato da quelli (soldati di Afranio) che si erano allontanati dallaccampamento per procurare acqua ed erano stati
catturati dalla cavalleria, che i capi nemici in silenzio facevano uscire le truppe dall'accampamento. Conosciuta la mossa,
ordina che sia dato il segnale e fa gridare, secondo il costume militare: "Ai bagagli". Gli Afraniani, sentito chiaramente il
baccano, temendo di essere costretti a combattere di notte impacciati dal peso del bagaglio o di rimanere chiusi dalla
cavalleria di Cesare nelle zone anguste, interrompono la marcia e trattengono le truppe nell'accampamento. Il giorno dopo
Petreio con pochi cavalieri va a esplorare di nascosto il territorio. Dall'accampamento di Cesare avviene questa stessa cosa.
Viene mandato L. Decidio Saxa con pochi soldati a osservare la natura del luogo. Entrambi riferiscono ai loro la medesima
notizia: le prime cinque miglia di strada sono in pianura, iniziano poi luoghi aspri e montuosi; l'esercito che per primo
avesse occupato questi passi angusti avrebbe senza difficoltà tenuto lontano di qui il
nemico.
La cosa è discussa in consiglio da Petreio ed Afranio e viene
stabilita lora della partenza. I più proponevano che si marciasse di notte: si poteva giungere alle gole prima che (i
Cesariani) se ne accorgessero. Altri, poiché la notte precedente era stato dato l'allarme nell'accampamento di Cesare,
sostenevano che non si poteva partire di nascosto. Dicevano che la cavalleria di Cesare di notte s'aggirava nei dintorni e
presidiava ogni luogo e via; (sostenevano che) si dovevano evitare combattimenti notturni, poiché un soldato spaventato in una
guerra civile di solito dà ascolto più alla paura che al giuramento. Ma la molta luce da sola procura vergogna, perché si
agisce davanti agli occhi di tutti; molta vergogna arreca anche la presenza dei tribuni e dei centurioni; tutto ciò, di solito,
fa sì che i soldati facciano il loro dovere. Perciò, a ogni costo, dovevano aprirsi un passaggio; anche a prezzo di qualche
perdita si sarebbe salvato il grosso dell'esercito e si sarebbe potuta raggiungere la postazione che desideravano. Nel
consiglio prevale questo parere e stabiliscono di partire il giorno dopo all'alba
68
Cesare, esplorati i luoghi, all'alba fa uscire tutte le truppe dall'accampamento e fa allesercito fare un lungo
giro senza un percorso prestabilito. Infatti quelle strade che conducevano all'Ebro e a Octogesa erano in possesso dei nemici
che vi avevano posto di fronte l'accampamento. Essi stessi dovevano attraversare valli molto estese e inaccessibili, in molte
parti rocce scoscese impedivano il passaggio sicché era necessario che le armi fossero passate di mano in mano e i soldati
avanzavano per gran tratto gli uni tirando su gli altri disarmati. Ma nessuno rifiutava questa fatica poiché pensavano che, se
avessero potuto impedire al nemico di passare l'Ebro e privarlo del frumento, credevano che quella sarebbe stata la fine di
tutte le fatiche.
In principio i soldati di Afranio uscivano lieti fuori
dall'accampamento a osservare e accompagnavano i nostri con grida di oltraggio: gridavano che erano costretti a fuggire e a
ritornare a Ilerda per mancanza di viveri. Infatti la marcia era all'opposto della meta proposta e sembrava che si andasse a
stare nella direzione contraria. I loro comandanti invero elogiavano la decisione dei soldati di essere rimasti
nell'accampamento e molto rinforzava la loro opinione il vedere marciare i nostri senza giumenti e bagagli; erano pertanto
convinti che i nostri non potevano sopportare più a lungo la mancanza di viveri. Ma quando videro che a poco a poco la schiera
si voltava verso destra e si accorsero che ormai i primi superavano la linea del loro accampamento, non vi fu nessuno così
pigro o così scansafatiche da non pensare che si doveva subito uscire dall'accampamento e correre ai ripari. Si grida
"all'armi!" e, lasciate lì poche coorti di presidio, tutte le milizie escono e marciano direttamente verso
l'Ebro.
La contesa fra chi per primo si sarebbe impossessato delle gole
e dei monti dipendeva tutta dalla velocità, ma le difficoltà delle strade facevano ritardare l'esercito di Cesare; la sua
cavalleria ostacolava le truppe di Afranio inseguendole. Tuttavia per i seguaci di Afranio la situazione era giunta a tale nodo
cruciale che, se per primi avessero occupato i monti verso i quali si dirigevano, essi stessi avrebbero evitato il pericolo, ma
non avrebbero potuto salvare i bagagli di tutto l'esercito e le coorti lasciate nell'accampamento; isolati dall'esercito di
Cesare, era possibile in nessun modo ricevere aiuto. Cesare giunse per primo e, trovata una pianura oltre le grandi rupi, qui
schierò contro il nemico l'esercito in ordine di battaglia. Afranio, poiché la sua retroguardia era incalzata dalla
cavalleria, vedendo davanti a sé il nemico, trovato un colle vi si fermò. Da questo punto invia quattro coorti cetrate sul
monte che appariva il più alto di tutti. Dà l'ordine di andare a occuparlo di corsa con l'intenzione di dirigervisi egli
stesso con tutte le forze e di giungere a Octogesa, cambiando strada (passando per le alture). Mentre i soldati cetrati si
dirigevano qui con un percorso obliquo, la cavalleria di Cesare vedendoli attacca verso le coorti; i cetrati non furono in
grado di sostenere nemmeno per un po' la forza della cavalleria e circondati tutti quanti da questi vengono uccisi al cospetto
di entrambi gli eserciti.
- Letteratura Latina
- De Bello Civili di Giulio Cesare
- Cesare