Paragrafo 76
Quibus rebus confectis flens Petreius manipulos circumit
militesque appellat neu se neu Pompeium imperatorem suum adversariis ad supplicium tradant obsecrat. Fit celeriter concursus in
praetorium. Postulat ut iurent omnes se exercitum ducesque non deserturos neque prodituros neque sibi separatim a reliquis
consilium capturos. Princeps in haec verba iurat ipse; idem iusiurandum adigit Afranium; subsequuntur tribuni militum
centurionesque; centuriatim producti milites idem iurant. Edicunt penes quem quisque sit Caesaris miles ut producatur:
productos palam in praetorio interficiunt. Sed plerosque ei qui receperant celant noctuque per vallum emittunt. Sic terror
oblatus a ducibus crudelitas in supplicio nova religio iurisiurandi spem praesentis deditionis sustulit mentesque militum
convertit et rem ad pristinam belli rationem redegit.
Paragrafo 77
Caesar qui milites
adversariorum in castra per tempus colloquii venerant summa diligentia conquiri et remitti iubet. Sed ex numero tribunorum
militum centurionumque nonnulli sua voluntate apud eum remanserunt. Quos ille postea magno in honore habuit; centuriones in
priores ordines equites Romanos in tribunicium restituit honorem.
Paragrafo
78
Premebantur Afraniani pabulatione aquabantur aegre. Frumenti copiam legionarii nonnullam habebant quod dierum XXII
ab Ilerda frumentum iussi erant efferre cetrati auxiliaresque nullam quorum erant et facultates ad parandum exiguae et corpora
insueta ad onera portanda. Itaque magnus eorum cotidie numerus ad Caesarem perfugiebat. In his erat angustiis res. Sed ex
propositis consiliis duobus explicitius videbatur Ilerdam reverti quod ibi paulum frumenti reliquerant. Ibi se reliquum
consilium explicaturos confidebant. Tarraco aberat longius; quo spatio plures rem posse casus recipere intellegebant. Hoc
probato consilio ex castris proficiscuntur. Caesar equitatu praemisso qui novissimum agmen carperet atque impediret ipse cum
legionibus subsequitur. Nullum intercedebat tempus quin extremi cum equitibus proeliarentur.
Paragrafo 79
Genus erat hoc pugnae. Expeditae cohortes novissirnum agmen claudebant
pluresque in locis campestribus subsistebant. Si mons erat ascendendus facile ipsa loci natura periculum repellebat quod ex
locis superioribus qui antecesserant suos ascendentes protegebant; cum vallis aut locus declivis suberat neque ei qui
antecesserant morantibus opem ferre poterant equites vero ex loco superiore in aversos tela coniciebant tum magno erat in
periculo res. Relinquebatur ut cum eiusmodi locis esset appropinquatum legionum signa consistere iuberent magnoque impetu
equitatum repellerent eo submoto repente incitati cursu sese in valles universi demitterent atque ita transgressi rursus in
locis superioribus consisterent. Nam tantum ab equitum suorum auxiliis aberant quorum numerum habebant magnum ut eos
superioribus perterritos proeliis in medium reciperent agmen ultroque eos tuerentur; quorum nulli ex itinere excedere licebat
quin ab equitatu Caesaris exciperetur.
Paragrafo 80
Tali dum pugnatur modo lente atque
paulatim proceditur crebroque ut sint auxilio suis subsistunt; ut tum accidit. Milia enim progressi IIII vehementiusque
peragitati ab equitatu montem excelsum capiunt ibique una fronte contra hostem castra muniunt neque iumentis onera deponunt.
Ubi Caesaris castra posita tabernaculaque constituta et dimissos equites pabulandi causa animum adverterunt sese subito
proripiunt hora circiter sexta eiusdem diei et spem nacti morae discessu nostrorum equitum iter facere incipiunt. Qua re animum
adversa Caesar refectis legionibus subsequitur praesidio impedimentis paucas cohortes relinquit; hora x subsequi pabulatores
equitesque revocari iubet. Celeriter equitatus ad cotidianum itineris officium revertitur. Pugnatur acriter ad novissimum agmen
adeo ut paene terga convertant compluresque milites etiam nonnulli centuriones interficiuntur. Instabat agmen Caesaris atque
universum imminebat.
Versione tradotta
Compiuto ciò, Petreio in lacrime passa da un manipolo
all'altro e chiama i soldati per nome, li scongiura di non lasciare in balia degli avversari né lui né Pompeo, il loro
comandante. Prontamente vi è un affollamento (di soldati) davanti alla tenda pretoria. Petreio chiede che tutti giurino di non
tradire e di non abbandonare l'esercito e i comandanti e di non prendere decisioni, ciascuno per sé, separatamente dagli
altri. Egli stesso per primo pronuncia la formula del giuramento; fa prestare lo stesso giuramento ad Afranio; seguono i
tribuni militari e i centurioni; i soldati, fatti avanzare per centurie, fanno il medesimo giuramento. Ordinano che chiunque
abbia presso di sé soldati di Cesare li presenti; al cospetto di tutti uccidono davanti alla tenda pretoria coloro che sono
stati consegnati. Ma i più vengono nascosti da coloro che li avevano accolti e di notte vengono fatti scappare attraverso la
trincea. Così il terrore cagionato dai capi, la crudeltà del massacro, il nuovo vincolo del giuramento portarono via la
speranza di una resa immediata, mutarono l'animo dei soldati e ricondussero la situazione alla fase di prima: la guerra.
Cesare ordina di ricercare con grande cura e rimettere in libertà i
soldati nemici che erano giunti a colloquio nel suo accampamento. Ma tra i tribuni militari e i centurioni alcuni di propria
volontà rimasero presso di lui. In seguito Cesare li tenne in grande considerazione; diede ai centurioni i più alti gradi e ai
cavalieri romani la dignità tribunicia.
Gli Afraniani erano oppressi
dalla mancanza di foraggio, a stento riuscivano ad approvvigionarsi di acqua. I legionari avevano una certa quantità di
frumento, poiché era stato dato loro ordine di condurre da Ilerda viveri per otto giorni, i cetrati e gli ausiliari non ne
avevano per niente, perché avevano pochi mezzi per procurarlo e un fisico non abituato a portare pesi. E così ogni giorno un
gran numero di loro trovava rifugio da Cesare. La situazione si trovava in tale punto critico. Ma delle due proposte presentate
sembrava migliore quella di ritornare a Ilerda, poiché qui avevano lasciato un po' di frumento. Confidavano di prendere colà
altre decisioni. Tarragona distava troppo; comprendevano che in quel viaggio potevano capitare molti imprevisti. Approvato quel
piano, partono dal campo. Cesare manda innanzi la cavalleria per raggiungere e trattenere la retroguardia e di persona tiene
dietro con le legioni. Non v'era un momento in cui gli ultimi della retroguardia non venissero attaccati dai cavalieri.
Si combatteva in questo modo: le coorti armate alla leggera chiudevano
la retroguardia e nei luoghi piani la maggior parte di esse si fermava. Se si doveva salire un monte, la natura stessa del
luogo facilmente allontanava il pericolo, poiché dai luoghi superiori quelli che erano andati innanzi proteggevano i compagni
durante la salita; quando erano vicini a una valle o a un pendio, coloro che erano innanzi non potevano portare aiuto a quelli
che rimanevano indietro; allora la cavalleria, da luoghi più elevati, lanciava dardi alle spalle dei nemici e la situazione era
di grande pericolo. Quando ci si avvicinava a posti di tal fatta, non rimaneva che ordinare alle legioni di fermarsi e
respingere la cavalleria con grande impeto e, una volta allontanatala, subito di gran corsa precipitarsi tutti insieme nelle
valli e così, dopo averle attraversate, di nuovo fermarsi su alture. Infatti non solo non potevano avere aiuto dalla loro
cavalleria, sebbene numerosa, ma, atterrita com'era dai precedenti scontri, la tenevano in mezzo alle file e per di più la
dovevano difendere. Nessun cavaliere poteva uscire dalla linea di marcia senza essere catturato dalla cavalleria di Cesare.
Quando si combatte in tale modo, si avanza lentamente, per brevi tratti
e spesso ci si ferma per recare aiuto ai compagni; e così avvenne allora. Infatti, dopo essere avanzati quattro miglia,
incalzati senza tregua dalla cavalleria nemica, occupano un monte elevato e qui, senza levare neppure il bagaglio ai giumenti,
pongono il campo, fortificandolo solo dal lato verso il nemico. Quando s'accorsero che Cesare aveva posto il campo e innalzate
le tende e inviata la cavalleria a cercare foraggio, essi, verso mezzogiorno, all'improvviso si precipitano fuori e, sperando
in una tregua per l'allontanamento della nostra cavalleria, incominciano a mettersi in marcia. Cesare, accortosi della cosa,
li insegue con le legioni che si erano riposate e lascia poche coorti di guardia ai bagagli; dà ordine di seguirlo alle ore
sedici e di richiamare i foraggiatori e la cavalleria. Subito la cavalleria ritorna al suo quotidiano lavoro di disturbo
durante la marcia. Si hanno accaniti combattimenti con la retroguardia sicché questa quasi si dà alla fuga e parecchi soldati,
e anche alcuni centurioni, vengono uccisi. L'esercito di Cesare incalzava e, tutto insieme, stava addosso al nemico.
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- De Bello Civili di Giulio Cesare
- Cesare