propterque honestatis et gloriae similitudinem beati qui honorati sunt uidentur miseri autem qui sunt inglorii. Molestiae laetitiae cupiditates timores similiter omnium mentes peruagantur nec si opiniones aliae sunt apud alios idcirco qui canem et felem ut deos colunt non eadem superstitione qua ceterae gentes conflictantur. Quae autem natio non comitatem non benignitatem non gratum animum et beneficii memorem diligit? Quae superbos quae maleficos quae crudeles quae ingratos non aspernatur non odit? Quibus ex rebus cum omne genus hominum sociatum inter se esse intellegatur illud extremum est [ . . . . ] quod recte uiuendi ratio meliores efficit. Quae si adprobatis pergam ad reliqua; sin quid requiritis id explicemus prius.
Atticvs: Nos uero nihil ut pro utroque respondeam.
Versione tradotta
e per analogia con la stima e la gloria sono ritenuti felici quelli che vengono onorati, e al contrario infelici quelli che sono degli sconosciuti. Le afflizioni e le gioie, le brame ed i timori in maniera identica si aggirano nella mente di tutti, mentre questi, se le opinioni sono diverse dagli uni agli altri, come per esempio quelli che venerano un cane e un gatto come dèi, non sono afflitti da un pregiudizio uguale a quello degli altri popoli. Quale gente, poi, non ama l'affabilità, la benevolenza, la gratitudine e il ricordo di un beneficio? E quale non odia e disprezza i superbi, i malvagi, i crudeli, gli ingrati? Dunque poiché il genere umano comprende di essere reciprocamente accomunato da questi sentimenti, la conclusione finale è che la norma di una vita retta rende migliori. Se siete d'accordo su questo punto, andiamo pure avanti con le altre questioni; ma se avete qualcosa da chiedere, spieghiamola prima.
Attico: - Per rispondere per tutti e due, non avremmo alcuna domanda.
- Letteratura Latina
- Libro 1
- Cicerone
- De Legibus