Nam etiam sine illius suffimentis expiati sumus. At uero scelerum in homines atque inpietatum nulla expiatio est. Itaque poenas luunt non tam iudiciisquae quondam nusquam erant hodie multifariam nulla sunt ubi tamen persaepe falsa suntt eos agitant insectanturque furiae non ardentibus taedis sicut in fabulis sed angore conscientiae fraudisque cruciatu. Quodsi homines ab iniuria poena non natura arcere deberet quaenam sollicitudo uexaret impios sublato suppliciorum metu? Quorum tamen nemo tam audax umquam fuit quin aut abnuert a se commissum esse facinus aut iusti sui doloris causam aliquam fingeret defensionemque facinoris a naturae iure aliquo quaereret. Quae si appellare audent impii quo tandem studio colentur a bonis? Quodsi poena si metus supplicii non ipsa turpitudo deterret ab iniuriosa facinerosaque uita nemo est iniustus a incauti potius habendi sunt inprobi.
Versione tradotta
Infatti anche in ciò ci siamo purificati senza i suoi suffumigi; ma delle colpe contro gli uomini e delle empietà contro gli dèi non c'è espiazione che valga. Così ne pagano la pena non tanto con processi - che un tempo non esistevano neppure, oggi poi non esistono sotto molti aspetti, e là dove vi sono, sono assai spesso fittizi -, ma li perseguitano e li incalzano le furie non già con fiaccole ardenti, come nelle tragedie, ma con i rimorsi della coscienza ed il tormento della colpa. Se non fosse la natura, ma invece la pena a dover tenere gli uomini lontani dalla colpa, quale inquietudine tormenterebbe i malvagi una volta eliminato il timore della punizione? Eppure non vi fu mai tra quelle persone qualcuno tanto sfrontato da negare d'aver egli commesso una colpa o da inventare un pretesto qualsiasi per un suo legittimo risentimento oppure ricercare una difesa della sua colpa in qualche diritto naturale. Se a questo osano far ricorso i disonesti, con quale ardore non sarà allora rispettato dagli onesti? Che se la punizione, il terrore del supplizio, e non la vergogna in se stessa allontanasse dalla vita scellerata e colpevole, nessuno più sarebbe ingiusto, o meglio essi dovrebbero essere considerati piuttosto imprudenti che disonesti.
- Letteratura Latina
- Libro 1
- Cicerone
- De Legibus