Atque etiam si emolumentis non sponte uirtus expetitur una erit uirtus quae malitia rectissime dicetur. Vt enim quisque maxume ad suum commodum refert quaecumque agit ita minime est uir bonus qui uirtutem praemio metiuntur nullam uirtutem nisi malitiam putnt. Vbi enim beneficus si nemo alterius causa benigne facit? Vbi gratus si non m ipsi cernunt grati quo referunt gratiam? Vbi illa sancta amicitia si non ipse amicus per se amatur toto pectore ut dicitur? Qui etiam deserendus et abiciendus est desperatis emolumentis et fructibus; quo quid potest dici immanius? Quodsi amicitia per se colenda est societas quoque hominum et aequalitas et iustitia per se expetenda. Quod ni ita est omnino iustitia nulla est. Id enim iniustissimum ipsum est iustitiae mercedem quaerere.
Versione tradotta
Ed anche se la virtù fosse perseguita non per il suo valore intrinseco, ma per una ricompensa, una sola sarà la virtù e la chiameremo con ottima ragione furbizia; quanto più uno, infatti, riporta al proprio vantaggio tutto ciò che fa, tanto meno è buono, di modo che coloro i quali misurano la virtù dalla ricompensa, non pensano esservi altra virtù che la furbizia. Dove infatti si troverà un individuo benefico se nessuno agisce benevolmente a vantaggio di un altro? Dove si troverà una persona riconoscente, se non si riesce a scorgere colui [cui mostrarsi] grati? Dove quel sacro sentimento dell'amicizia, se l'amico stesso, come si dice, non è amato di per se stesso con tutta l'anima? Anzi lo si dovrebbe abbandonare e lasciar perdere, una volta persa la speranza di guadagni e di vantaggi; ma si potrebbe fare un'affermazione più disumana di questa? Che se l'amicizia deve essere coltivata per se stessa, anche l'umana società, l'eguaglianza e la giustizia devono essere ricercate per se stesse; e se non è così, non esiste assolutamente giustizia; questa appunto è la cosa più ingiusta, il pretendere una ricompensa per la giustizia.
- Letteratura Latina
- De Divinatione di Cicerone
- Cicerone