Quibus de rebus et alias saepe et paulo accuratius nuper cum essem cum Q. fratre in Tusculano disputatum est. Nam cum ambulandi causa in Lyceum venissemus (id enim superiori gymnasio nomen est) “Perlegi” ille inquit “tuum paulo ante tertium de natura deorum in quo disputatio Cottae quamquam labefactavit sententiam meam non funditus tamen sustulit.” “Optime vero” inquam; “etenim ipse Cotta sic disputata ut Stoicorum magis argumenta confutet quam hominum deleat religionem.” Tum Quintus: “Dicitur quidem istuc” inquit “a Cotta et vero saepius credo ne communia iura migrare videatur; sed studio contra Stoicos disserendi deos mihi videtur funditus tollere. Eius orationi non sane desidero quid respondeam; satis enim defensa religio est in secundo libro a Lucilio cuius disputatio tibi ipsi ut in extremo tertio scribis ad veritatem est visa propensior. Sed quod praetermissum est in illis libris (credo quia commodius arbitratus es separatim id quaeri deque eo disseri) id est de divinatione quae est earum rerum quae fortuitae putantur praedictio atque praesensio id si placet videamus quam habeat vim et quale sit. Ego enim sic existimo si sint ea genera divinandi vera de quibus accepimus quaeque colimus esse deos vicissimque si di sint esse qui divinent.”
Versione tradotta
Di questi problemi ho discusso spesso, ma con particolare impegno proprio recentemente, quando mi trovavo con mio fratello Quinto nella mia villa di Tusculo. Un giorno eravamo saliti al Liceo per passeggiare (così sono solito chiamare il piano superiore del ginnasio). Egli mi disse: «Ho letto per intero, poco tempo addietro, il terzo libro del tuo "Sulla natura degli dèi", nel quale la polemica che tu fai portare avanti da Cotta ha messo in crisi la mia opinione, non l'ha tuttavia completamente annientata.» «Giustissimo,» risposi; «in verità Cotta svolge la sua discussione in modo da confutare gli argomenti degli Stoici, senza per questo distruggere la religione degli uomini.» E Quinto: «Cotta lo dichiara, anzi lo ripete più volte, allo scopo, credo, di non esser preso per un trasgressore dei principii comuni a tutti; ma a me sembra che, per troppo zelo di polemizzare con gli Stoici, finisca col negare completamente gli dèi. Beninteso, non sento il bisogno di replicare al suo discorso: la religione è già stata difesa a sufficienza nel secondo libro da Lucilio Balbo, la cui trattazione tu stesso consideri più vicina alla verità, come dichiari alla fine del terzo libro. Ma c'è un argomento che è stato tralasciato in quei tre libri, perché, suppongo, tu hai ritenuto che fosse più opportuno indagarlo e discuterne a parte: la divinazione, cioè la predizione e il presentimento di quei fatti che si considerano effetto del caso. Se sei d'accordo, vediamo quale potere essa abbia e quale natura. Io sono di questa opinione: se sono veritieri quei generi di divinazione che ci sono stati tramandati e che pratichiamo, allora gli dèi esistono; e se, a loro volta, gli dèi esistono, vi sono persone capaci di predire il futuro.»
- Letteratura Latina
- De Divinatione di Cicerone
- Cicerone