Quid enim? Possumus eos qui a stupro arcentur infamiae metu pudicos dicere quom ipsa infamia propter rei itudinem consequatur? Nam quid aut laudari rite aut uituperari potest si ab eius natura recesseris quod aut laudandum aut uituperandum putes? An corporis prauitates si erunt perinsignes habebunt aliquid offensionis animi deformitas non habebit? Cuius turpitudo ex ipsis uitiis facillime perspici potest. Quid enim foedius auaritia quid immanius libidine quid contemptius timiditate quid abiectius tarditate et stultitia dici potest? Quid ergo? Eos qui singulis uitiis excellunt aut etiam pluribus propter damna aut detrimenta aut cruciatus aliquos miseros esse dicimus an propter uim turpitudinemque uitiorum? Quod item ad contrariam laudem uirtute dici potest.
Versione tradotta
Ed allora, possiamo quindi chiamare virtuosi coloro che si trattengono dalla violenza carnale per timore del disonore, dal momento che il disonore stesso è una conseguenza della dell'azione disonesta? Che cosa infatti potrebbe essere legittimamente lodata o biasimata, se si prescinde dalla natura di ciò che puoi pensare degno di lode o di biasimo? Forse le deformità del corpo, se saranno evidentissime, avranno alcunché di ripugnante, e nulla invece la bassezza dell'animo? E questa si può scorgere facilmente dai vizi medesimi. Infatti quale vizio si potrebbe dire più vergognoso dell'avarizia, più bestiale della sensualità, più riprovevole della timidezza, più umiliante dell'ottusità e della stupidità? E allora diciamo che coloro i quali si distinguono per uno di questi vizi o anche per parecchi tutti insieme, sono dei disgraziati per alcuni svantaggi o danni o sofferenze e non piuttosto per la natura stessa e la bruttezza dei vizi? E la stessa cosa si potrebbe dire della virtù, riferendoci agli opposti pregi.
- Letteratura Latina
- Libro 1
- Cicerone
- De Legibus