De Rerum Natura: versione tradotta Versi 1-43 Libro 1
Aeneadum genetrix, hominum divomque voluptas,
alma Venus, caeli subter labentia signa
quae mare navigerum,
quae terras frugiferentis
concelebras, per te quoniam genus omne animantum
concipitur visitque exortum lumina solis:
te, dea, te fugiunt venti, te nubila caeli
adventumque tuum, tibi suavis daedala tellus
summittit
flores, tibi rident aequora ponti
placatumque nitet diffuso lumine caelum.
nam simul ac species patefactast verna diei
et reserata viget genitabilis aura favoni,
aëriae primum volucris te, diva, tuumque
significant initum
perculsae corda tua vi.
inde ferae pecudes persultant pabula laeta
et rapidos tranant amnis: ita capta lepore
te sequitur cupide quo quamque inducere pergis.
denique per maria ac montis fluviosque rapacis
frondiferasque
domos avium camposque virentis
omnibus incutiens blandum per pectora amorem
efficis ut cupide generatim saecla
propagent.
quae quoniam rerum naturam sola gubernas
nec sine te quicquam dias in luminis
oras
exoritur neque fit laetum neque amabile quicquam,
te sociam studeo scribendis versibus esse,
quos ego de rerum
natura pangere conor
Memmiadae nostro, quem tu, dea, tempore in omni
omnibus ornatum voluisti
excellere rebus.
quo magis aeternum da dictis, diva, leporem.
effice ut interea fera moenera militiai
per maria ac
terras omnis sopita quiescant;
nam tu sola potes tranquilla pace iuvare
mortalis, quoniam belli fera
moenera Mavors
armipotens regit, in gremium qui saepe tuum se
reiicit aeterno devictus vulnere amoris,
atque ita
suspiciens tereti cervice reposta
pascit amore avidos inhians in te, dea, visus
eque tuo pendet
resupini spiritus ore.
hunc tu, diva, tuo recubantem corpore sancto
circum fusa super, suavis ex ore loquellas
funde
petens placidam Romanis, incluta, pacem;
nam neque nos agere hoc patriai tempore iniquo
possumus aequo animo
nec Memmi clara propago
talibus in rebus communi desse saluti.
Versione tradotta
Madre degli Eneadi,
piacere degli uomini e degli dèi,
Venere datrice di vita, che sotto gli astri vaganti del cielo
popoli il mare percorso
dalle navi,
le terre fertili di messi, poiché grazie a te ogni specie di viventi
si forma e, una volta sbocciata vede la
luce del sole:
te, o dea, fuggono i venti, fuggono le nuvole del cielo,
per te la terra industriosa fa
spuntare soavi fiori sotto i piedi , a te sorridono le distese del mare
e il cielo placato splende di luce diffusa.
Non
appena è dischiuso l’aspetto primaverile del giorno
e libero si ravviva il soffio del fecondo
zefiro,
prima gli aerei uccelli te, o dea, e il tuo arrivo annunziano,
colpiti nei cuori dalla tua potenza.
Poi anche
le fiere e gli animali domestici balzano per i pascoli in rigoglio e attraversano a nuoto i rapidi fiumi; così prigioniero al
tuo fascino ognuno ti segue ardentemente dove tu voglia portarlo.
E infine, per i mari e i monti e i fiumi
impetuosi
e le frondose dimore degli uccelli e le pianure verdeggianti,
a tutti infondendo nei petti la dolcezza dell
amore,
fai sì che ardentemente propaghino le generazioni secondo le stirpi.
Poiché tu sola governi la natura delle cose,
e senza di te niente sorge alle celesti plaghe della luce,
niente si fa lieto, niente
amabile,
te desidero di averti compagna nello scrivere i versi
che io tento di comporre sulla natura di tutte le cose
per il nostro Memmiade, che tu, o dea, in ogni tempo
volesti eccellesse ornato di tutti i pregi.
Tanto
più dunque, o dea, concedi ai miei detti fascino eterno.
Fa sì che intanto i fieri travagli della guerra,
per i mari e le
terre tutte placati, restino quieti.
Infatti tu sola puoi con tranquilla pace gratificare
i
mortali, poiché sulle crudeli azioni della guerra ha dominio
Marte possente in armi, che spesso sul tuo grembo
si
abbandona vinto dall eterna ferita damore;
e così, mirando lo sguardo, col ben tornito collo reclino,
pasce d’amore
gli avidi occhi anelando a te, o dea,
e, mentre sta supino, il suo respiro pende dalle tue
labbra.
Quando egli riposa sul tuo corpo santo, tu, o dea,
riversandoti su di lui, effondi dalla bocca soavi
parole:
chiedi, o gloriosa, una placida pace per i Romani.
Poiché in tempi avversi per la patria non posso compiere
quest’opera con animo sereno, né l’illustre Stirpe di Memmio
può in tali frangenti mancare alla salvezza
comune.
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- De rerum natura di Lucrezio
- Lucrezio