Eneide, Libro 1, traduzione vv. 157-222 - Studentville

Eneide, Libro 1, traduzione vv. 157-222

Defessi Aeneadae quae proxima litora cursu
contendunt petere, et Libyae vertuntur ad oras.
Est in

secessu longo locus: insula portum
efficit obiectu laterum, quibus omnis ab alto
frangitur inque sinus scindit sese unda

reductos.
hinc atque hinc vastae rupes geminique minantur
in caelum scopuli, quorum sub vertice late
aequora tuta

silent; tum silvis scaena coruscis
desuper, horrentique atrum nemus imminet umbra.
fronte sub adversa scopulis

pendentibus antrum;
intus aquae dulces vivoque sedilia saxo,
Nympharum domus. hic fessas non vincula navis
ulla

tenent, unco non alligat ancora morsu.
huc septem Aeneas collectis navibus omni
ex numero subit, ac magno telluris amore

egressi optata potiuntur Troes harena
et sale tabentis artus in litore ponunt.
ac primum silici scintillam excudit

Achates
succepitque ignem foliis atque arida circum
nutrimenta dedit rapuitque in fomite flammam.
tum Cererem

corruptam undis Cerealiaque arma
expediunt fessi rerum, frugesque receptas
et torrere parant flammis et frangere

saxo.
Aeneas scopulum interea conscendit, et omnem
prospectum late pelago petit, Anthea si quem
iactatum vento

videat Phrygiasque biremis
aut Capyn aut celsis in puppibus arma Caici.
navem in conspectu nullam, tris litore cervos

prospicit errantis; hos tota armenta sequuntur
a tergo et longum per vallis pascitur agmen.
constitit hic arcumque

manu celerisque sagittas
corripuit fidus quae tela gerebat Achates,
ductoresque ipsos primum capita alta ferentis

cornibus arboreis sternit, tum vulgus et omnem
miscet agens telis nemora inter frondea turbam;
nec prius absistit

quam septem ingentia victor
corpora fundat humi et numerum cum navibus aequet;
hinc portum petit et socios partitur in

omnis.
vina bonus quae deinde cadis onerarat Acestes
litore Trinacrio dederatque abeuntibus heros
dividit, et dictis

maerentia pectora mulcet:
‘O socii neque enim ignari sumus ante malorum,
o passi graviora, dabit deus

his quoque finem.
vos et Scyllaeam rabiem penitusque sonantis
accestis scopulos, vos et Cyclopia saxa
experti:

revocate animos maestumque timorem
mittite; forsan et haec olim meminisse iuvabit.
per varios casus, per tot discrimina

rerum
tendimus in Latium, sedes ubi fata quietas
ostendunt; illic fas regna resurgere Troiae.
durate, et vosmet rebus

servate secundis.’
Talia voce refert curisque ingentibus aeger
spem vultu simulat, premit altum corde dolorem.

illi se praedae accingunt dapibusque futuris:
tergora diripiunt costis et viscera nudant;
pars in frusta secant

veribusque trementia figunt,
litore aena locant alii flammasque ministrant.
tum victu revocant viris, fusique per

herbam
implentur veteris Bacchi pinguisque ferinae.
postquam exempta fames epulis mensaeque remotae
amissos longo

socios sermone requirunt,
spemque metumque inter dubii, seu vivere credant
sive extrema pati nec iam exaudire vocatos.

praecipue pius Aeneas nunc acris Oronti,
nunc Amyci casum gemit et crudelia secum
fata

Lyci fortemque Gyan fortemque Cloanthum.

Versione tradotta

Stanchi gli Eneadi cercano di raggiungere a gara
i

lidi vicini e si volgono alle spiagge di Libia.
C’è un luogo in profonda insenatura: l’isola crea
un porto con la

barriera dei fianchi, su cui ogni onda
dall’alto si frange e si scinde in seni appartati.
Di qua e di là vaste rupi e

scogli gemelli minacciano
al cielo, e sotto la loro cima attorno
le acque tacciono tranquille; poi sopra una scena di

selve
brillanti, ed un nero bosco sovrasta con ombra terrificante.
su fronte opposto una grotta con scogli

incombenti;
dentro acque dolci e sedili di vivo sasso,
una casa di Ninfe. Qui nessun cordame trattiene
le stanche

navi, non le lega un’ancora con l’attacco adunco.
Qui entra Enea raccolte sette navi da tutto
il numero, ed usciti col

grande amore di terra
i Troiani s’impossessano della sabbia bramata
e adagiano sul lido le membra grondanti di

sale.
Ma dapprima Acate cavò la scintilla dalla selce
suscitò il fuoco con foglie e diede attorno
secchi alimenti e

dallo stimolo ghermì la fiamma.
Poi preparano Cerere (grano) rovinato dalle onde e le armi
di Cerere stanchi dei mali, si

accingono ad asciugare
col fuoco i frutti raccolti e macinarli col sasso.
Enea intanto ascende lo

scoglio, e scruta tutta
la vista attorno nel mare, se mai vedesse qualcuno,
Anteo sbattuto dal vento e le frige

biremi
o Capi o le insegne di Caico sulle alte poppe.
Nessuna nave in vista, intravede sul lido tre
cervi erranti;

tutte le mandrie li seguono
alle spalle e la lunga schiera pascola per le valli.
Qui si fermò e afferrò con la mano l’

arco
e le frecce veloci, armi che il fedele Acate portava,
abbatte anzitutto gli stessi capi sporgenti le alte

teste
con le corna ramose, poi avanzando con le armi
scompiglia il volgo e tutta la massa tra i boschi frondosi;
è si

ferma prima che trionfante stenda per terra sette
enormi corpi e adegui il numero con le navi;
di qui si reca al porto e

spartisce tra tutti i compagni.
Poi l’eroe divide i vini che il buon Aceste aveva caricato in barili e
aveva dato

sul lido trinacrio ai partenti,
e placa con frasi gli animi dolenti:
“ O amici certo non siamo ignari prima dei

mali,
o ne provaste più gravi, un dio pure ad essi darà una fine.
voi avvicinaste anche la rabbia scillea e

totalmente
gli scogli risonanti, voi anche provaste le rocce
ciclopiche: rianimate i cuori e lasciate il

triste
timore; forse un giorno gioverà ricordare anche questo.
Tra varie vicende, tra tanti rischi di eventi
miriamo

al Lazio, dove i fati mostrano dimore
tranquille; là è giusto risorgano i regni di Troia:
resistete e mantenetevi per

giorni migliori.”
Così dice a parole e triste per gli enormi affanni
finge col volto fiducia, reprime nel cuore il forte

dolore.
Essi si accingono alla preda ed ai banchetti futuri:
strappano dalle costole i dorsi ed aprono le

viscere;
parte tagliano in pezzi e li infilano vibranti con spiedi,
mettono caldaie sul lido ed altri forniscono

fiamme.
Poi col cibo riprendono le forze, e sparsi nell’erbasi riempiono di vecchio
Bacco e ricca selvaggina.
Dopo che

fu tolta la fame e sgombrate le mense
con lungo parlare rievocano gli amici perduti,
tra la speranza e la paura del

dubbio, sia li credano vivere
sia soffrire la fine nè più sentire, (anche se chiamati).
Soprattutto il pio Enea ora

piange tra sè la sorte del fiero
Oronte, ora di Amico ed i crudeli destini
di Lico ed il forte Giante ed il forte

Cloanto.

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