Defessi Aeneadae quae proxima litora cursu
contendunt petere, et Libyae vertuntur ad oras.
Est in
secessu longo locus: insula portum
efficit obiectu laterum, quibus omnis ab alto
frangitur inque sinus scindit sese unda
reductos.
hinc atque hinc vastae rupes geminique minantur
in caelum scopuli, quorum sub vertice late
aequora tuta
silent; tum silvis scaena coruscis
desuper, horrentique atrum nemus imminet umbra.
fronte sub adversa scopulis
pendentibus antrum;
intus aquae dulces vivoque sedilia saxo,
Nympharum domus. hic fessas non vincula navis
ulla
tenent, unco non alligat ancora morsu.
huc septem Aeneas collectis navibus omni
ex numero subit, ac magno telluris amore
egressi optata potiuntur Troes harena
et sale tabentis artus in litore ponunt.
ac primum silici scintillam excudit
Achates
succepitque ignem foliis atque arida circum
nutrimenta dedit rapuitque in fomite flammam.
tum Cererem
corruptam undis Cerealiaque arma
expediunt fessi rerum, frugesque receptas
et torrere parant flammis et frangere
saxo.
Aeneas scopulum interea conscendit, et omnem
prospectum late pelago petit, Anthea si quem
iactatum vento
videat Phrygiasque biremis
aut Capyn aut celsis in puppibus arma Caici.
navem in conspectu nullam, tris litore cervos
prospicit errantis; hos tota armenta sequuntur
a tergo et longum per vallis pascitur agmen.
constitit hic arcumque
manu celerisque sagittas
corripuit fidus quae tela gerebat Achates,
ductoresque ipsos primum capita alta ferentis
cornibus arboreis sternit, tum vulgus et omnem
miscet agens telis nemora inter frondea turbam;
nec prius absistit
quam septem ingentia victor
corpora fundat humi et numerum cum navibus aequet;
hinc portum petit et socios partitur in
omnis.
vina bonus quae deinde cadis onerarat Acestes
litore Trinacrio dederatque abeuntibus heros
dividit, et dictis
maerentia pectora mulcet:
‘O socii neque enim ignari sumus ante malorum,
o passi graviora, dabit deus
his quoque finem.
vos et Scyllaeam rabiem penitusque sonantis
accestis scopulos, vos et Cyclopia saxa
experti:
revocate animos maestumque timorem
mittite; forsan et haec olim meminisse iuvabit.
per varios casus, per tot discrimina
rerum
tendimus in Latium, sedes ubi fata quietas
ostendunt; illic fas regna resurgere Troiae.
durate, et vosmet rebus
servate secundis.’
Talia voce refert curisque ingentibus aeger
spem vultu simulat, premit altum corde dolorem.
illi se praedae accingunt dapibusque futuris:
tergora diripiunt costis et viscera nudant;
pars in frusta secant
veribusque trementia figunt,
litore aena locant alii flammasque ministrant.
tum victu revocant viris, fusique per
herbam
implentur veteris Bacchi pinguisque ferinae.
postquam exempta fames epulis mensaeque remotae
amissos longo
socios sermone requirunt,
spemque metumque inter dubii, seu vivere credant
sive extrema pati nec iam exaudire vocatos.
praecipue pius Aeneas nunc acris Oronti,
nunc Amyci casum gemit et crudelia secum
fata
Lyci fortemque Gyan fortemque Cloanthum.
Versione tradotta
Stanchi gli Eneadi cercano di raggiungere a gara
i
lidi vicini e si volgono alle spiagge di Libia.
Cè un luogo in profonda insenatura: lisola crea
un porto con la
barriera dei fianchi, su cui ogni onda
dallalto si frange e si scinde in seni appartati.
Di qua e di là vaste rupi e
scogli gemelli minacciano
al cielo, e sotto la loro cima attorno
le acque tacciono tranquille; poi sopra una scena di
selve
brillanti, ed un nero bosco sovrasta con ombra terrificante.
su fronte opposto una grotta con scogli
incombenti;
dentro acque dolci e sedili di vivo sasso,
una casa di Ninfe. Qui nessun cordame trattiene
le stanche
navi, non le lega unancora con lattacco adunco.
Qui entra Enea raccolte sette navi da tutto
il numero, ed usciti col
grande amore di terra
i Troiani simpossessano della sabbia bramata
e adagiano sul lido le membra grondanti di
sale.
Ma dapprima Acate cavò la scintilla dalla selce
suscitò il fuoco con foglie e diede attorno
secchi alimenti e
dallo stimolo ghermì la fiamma.
Poi preparano Cerere (grano) rovinato dalle onde e le armi
di Cerere stanchi dei mali, si
accingono ad asciugare
col fuoco i frutti raccolti e macinarli col sasso.
Enea intanto ascende lo
scoglio, e scruta tutta
la vista attorno nel mare, se mai vedesse qualcuno,
Anteo sbattuto dal vento e le frige
biremi
o Capi o le insegne di Caico sulle alte poppe.
Nessuna nave in vista, intravede sul lido tre
cervi erranti;
tutte le mandrie li seguono
alle spalle e la lunga schiera pascola per le valli.
Qui si fermò e afferrò con la mano l
arco
e le frecce veloci, armi che il fedele Acate portava,
abbatte anzitutto gli stessi capi sporgenti le alte
teste
con le corna ramose, poi avanzando con le armi
scompiglia il volgo e tutta la massa tra i boschi frondosi;
è si
ferma prima che trionfante stenda per terra sette
enormi corpi e adegui il numero con le navi;
di qui si reca al porto e
spartisce tra tutti i compagni.
Poi leroe divide i vini che il buon Aceste aveva caricato in barili e
aveva dato
sul lido trinacrio ai partenti,
e placa con frasi gli animi dolenti:
O amici certo non siamo ignari prima dei
mali,
o ne provaste più gravi, un dio pure ad essi darà una fine.
voi avvicinaste anche la rabbia scillea e
totalmente
gli scogli risonanti, voi anche provaste le rocce
ciclopiche: rianimate i cuori e lasciate il
triste
timore; forse un giorno gioverà ricordare anche questo.
Tra varie vicende, tra tanti rischi di eventi
miriamo
al Lazio, dove i fati mostrano dimore
tranquille; là è giusto risorgano i regni di Troia:
resistete e mantenetevi per
giorni migliori.
Così dice a parole e triste per gli enormi affanni
finge col volto fiducia, reprime nel cuore il forte
dolore.
Essi si accingono alla preda ed ai banchetti futuri:
strappano dalle costole i dorsi ed aprono le
viscere;
parte tagliano in pezzi e li infilano vibranti con spiedi,
mettono caldaie sul lido ed altri forniscono
fiamme.
Poi col cibo riprendono le forze, e sparsi nellerbasi riempiono di vecchio
Bacco e ricca selvaggina.
Dopo che
fu tolta la fame e sgombrate le mense
con lungo parlare rievocano gli amici perduti,
tra la speranza e la paura del
dubbio, sia li credano vivere
sia soffrire la fine nè più sentire, (anche se chiamati).
Soprattutto il pio Enea ora
piange tra sè la sorte del fiero
Oronte, ora di Amico ed i crudeli destini
di Lico ed il forte Giante ed il forte
Cloanto.
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