Eneide, Libro 1, traduzione vv. 340-417 - Studentville

Eneide, Libro 1, traduzione vv. 340-417

Imperium Dido Tyria regit urbe profecta,
germanum fugiens. longa est iniuria, longae
ambages;

sed summa sequar fastigia rerum.
huic coniunx Sychaeus erat, ditissimus auri
Phoenicum, et magno miserae dilectus

amore,
cui pater intactam dederat primisque iugarat
ominibus. sed regna Tyri germanus habebat
Pygmalion, scelere

ante alios immanior omnis.
quos inter medius venit furor. ille Sychaeum
impius ante aras atque auri caecus amore

clam ferro incautum superat, securus amorum
germanae; factumque diu celavit et aegram
multa malus simulans vana spe

lusit amantem.
ipsa sed in somnis inhumati venit imago
coniugis ora modis attollens pallida miris;
crudelis aras

traiectaque pectora ferro
nudavit, caecumque domus scelus omne retexit.
tum celerare fugam patriaque excedere

suadet
auxiliumque viae veteres tellure recludit
thesauros, ignotum argenti pondus et auri.
his commota fugam Dido

sociosque parabat.
conveniunt quibus aut odium crudele tyranni
aut metus acer erat; navis, quae forte paratae,

corripiunt onerantque auro. portantur avari
Pygmalionis opes pelago; dux femina facti.
devenere locos ubi nunc

ingentia cernes
moenia surgentemque novae Karthaginis arcem,
mercatique solum, facti de nomine Byrsam,
taurino

quantum possent circumdare tergo.
sed vos qui tandem? quibus aut venistis ab oris?
quove tenetis iter?’ quaerenti

talibus ille
suspirans imoque trahens a pectore vocem:
‘O dea, si prima repetens ab origine pergam
et vacet

annalis nostrorum audire laborum,
ante diem clauso componet Vesper Olympo.
nos Troia antiqua, si vestras forte per

auris
Troiae nomen iit, diversa per aequora vectos
forte sua Libycis tempestas appulit oris.
sum pius Aeneas, raptos

qui ex hoste penatis
classe veho mecum, fama super aethera notus;
Italiam quaero patriam, et genus ab Iove summo.
bis

denis Phrygium conscendi navibus aequor,
matre dea monstrante viam data fata secutus;
vix septem convulsae undis Euroque

supersunt.
ipse ignotus, egens, Libyae deserta peragro,
Europa atque Asia pulsus.’ nec plura querentem
passa Venus

medio sic interfata dolore est:
‘Quisquis es, haud, credo, invisus caelestibus auras
vitalis carpis, Tyriam qui

adveneris urbem;
perge modo atque hinc te reginae ad limina perfer.
namque tibi reduces socios classemque relatam

nuntio et in tutum versis Aquilonibus actam,
ni frustra augurium vani docuere parentes.
aspice bis senos laetantis

agmine cycnos,
aetheria quos lapsa plaga Iovis ales aperto
turbabat caelo; nunc terras ordine longo
aut capere aut

captas iam despectare videntur:
ut reduces illi ludunt stridentibus alis
et coetu cinxere polum cantusque

dedere,
haud aliter puppesque tuae pubesque tuorum
aut portum tenet aut pleno subit ostia velo.
perge modo et, qua

te ducit via, derige gressum.’
Dixit et avertens rosea cervice refulsit,
ambrosiaeque comae divinum vertice

odorem
spiravere; pedes vestis defluxit ad imos,
et vera incessu patuit dea. ille ubi matrem
agnovit tali fugientem

est voce secutus:
‘quid natum totiens, crudelis tu quoque, falsis
ludis imaginibus? cur dextrae iungere dextram

non datur ac veras audire et reddere voces?’
talibus incusat gressumque ad moenia tendit.
at Venus obscuro

gradientis aere saepsit,
et multo nebulae circum dea fudit amictu,
cernere ne quis eos neu quis contingere

posset
molirive moram aut veniendi poscere causas.
ipsa Paphum sublimis abit sedesque revisit
laeta suas, ubi

templum illi, centumque Sabaeo
ture calent arae sertisque recentibus halant.

Versione tradotta

Tiene il potere la tiria Didone partita dalla città
fuggendo il fratello.E’ un oltraggio lungo,

lunghi
gli intrighi; ma seguirò i sommi capi delle vicende.
A costei era marito Sicheo, il più ricco d’oro
dei Punici,

e amato dal grande amore della misera,
a lui il padre l’aveva data intatta e l’aveva unita
imprime nozze. Ma teneva i

regni di Tiro il fratello
Pigmalione, per malvagità più feroce di tutti gli altri.
Tra essi venne in mezzo il furore.

Egli empio
cieco per amore dell’oro abatte con l’arma Sicheo
di nascosto che non temeva davanti agli altari; sicuro degli

affetti
della sorella; ed a lungo nascose il fatto e fingendo molto
il malvagio illuse con vana speranza l’afflitta

amante.
Ma lo stesso fantasma del marito insepolto venne nei sogni
alzando i pallidi sembianti in modi

straordinari;
svelò i crudeli altari ed il petto trafitto dall’arma,
scoprì tutto il cieco delitto della casa.
Allora

raccomanda di affrettare la fuga e andarsene dalla patria
e come aiuto per la via rivelò vecchi tesori
sotto terra, una

ignota quantità di oro e argento.
Così sconcertata Didone preparava fuga e compagni.
Si radunano quelli che avevano o

crudele odio o
paura del tiranno; le navi, che per caso erano pronte,
le prendono e le caricano d’oro. I beni dell’

avaro
Pigmalione sono portati per mare; capo dell’impresa una donna
Raggiunsero i luoghi, dove ora vedrai le

enormi
mura e la nascente fortezza della nuova Cartagine,
e comprati il suolo, Birsa dal nome del fatto,
quanto

potessero circondare con una pelle di toro.
Ma voi chi mai (siete)? o da quali spiagge veniste?
Dove mai volgete il

cammino?”Alla richiedente egli così
sospirando e traendo dal profondo (del) petto la voce:
“O dea, m’avviassi rifacendomi

dal primo inizio
e ci fosse tempo di sentire le storie delle nostre pene
Vespero, chiuso l’Olimpo, concluderebbe prima il

giorno.
Noi ci spinse dall’antica Troia, se per caso giunse alle vostre
orecchie il nome di Troia, portati per diversi

mari
una tempesta, per suo disegno, alle spiagge libiche.
Sono il pio Enea, che reco con me con la flotta
i Penati

strappati al nemico, per fama noto oltre il cielo;
cerco la patria Italia e la mia stirpe dal sommo Giove.
Con venti navi

affrontai il mare frigio,
mostrandomi la via la madre dea seguendo i fati assegnati;
appena sette strappate alle onde e

ad Euro restano.
Io ignoto, bisognoso, percorro i deserti di Libia,
cacciato da Europa ed Asia”. Ma non sopportando

più
il dolente Venere così in mezzo al dolore interruppe:
“Chiunque sia, lo credo, non odioso ai celesti respiri le

arie
vitali, tu che raggiungesti la città Tiria;
affrettati dunque e di qui recati alle porte della regina.
Infatti

t’annuncio i compagni reduci e la flotta restituita
e condotta al sicuro, cambiati gli Aquiloni,
se i genitori falsi non

rivelarono invano la profezia del falso.
Osserva dodici cigni in fila festanti,
che dalla regione celeste l’uccello di

Giove turbava nel cielo
aperto; ora sembrano in lunga schiera
o prendere terra o già presa dominarla.
Come essi reduci

giocano con l’ali sibilanti
ed hanno accerchiato il cielo in gruppo e levato i canti,
non altrimenti le tue poppe ed i

giovani dei tuoi
o tiene il porto o affronta le entrate a gonfia vela.
Affrettati dunque e, dove la via ti guida, dirigi

il passo”.
Disse e girandosi splendette col roseo collo,
le chiome spirarono dal capo profumo divino
d’ambrosia; la

veste defluì alla punta dei piedi,
e dal portamento si rivelò vera dea. Quando egli riconobbe
la madre inseguì (lei)

fuggente con la frase:
“Perchè tante volte, crudele anche tu, inganni il figlio
con false visioni? Perché non si concede

stringere la destra
alla destra ed ascoltare e rispondere vere parole?”
Così la riprende e volge il passo alle mura.

Ma Venere chiuse i partenti di aria oscura,
e la dea (li) circonfuse di spesso manto di nebbia,
nessuno

potesse vederli e nessuno toccarli
o macchinare un intoppo o chiedere i motivi del giungere.
Ella se ne andò in alto a

Pafo e rivisita lieta le sue
dimore, dove per lei c’è un tempio, e cento altarison ardenti d’incenso
Sabeo e profumano di

fresche ghirlande.

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