Tum breviter Dido vultum demissa profatur:
‘solvite corde metum,
Teucri, secludite curas.
res dura et regni novitas me talia cogunt
moliri et late finis custode tueri.
quis genus
Aeneadum, quis Troiae nesciat urbem,
virtutesque virosque aut tanti incendia belli?
non obtunsa adeo gestamus pectora
Poeni,
nec tam aversus equos Tyria Sol iungit ab urbe.
seu vos Hesperiam magnam Saturniaque arva
sive Erycis finis
regemque optatis Acesten,
auxilio tutos dimittam opibusque iuvabo.
vultis et his mecum pariter considere regnis?
urbem quam statuo, vestra est; subducite navis;
Tros Tyriusque mihi nullo discrimine agetur.
atque utinam rex
ipse Noto compulsus eodem
adforet Aeneas. equidem per litora certos
dimittam et Libyae lustrare extrema iubebo,
si
quibus eiectus silvis aut urbibus errat.’
Versione Tradotta
Allora Didone, abbassato il volto, brevemente afferma:
“Togliete la paura dal cuore, Teucri,
escludete gli affanni.
realtà dura e novità del potere mi obbligano a far tali
cose e attorno guardar con guardia i
confini.
Chi ignora la stirpe degli Eneadi, chi la città di Troia,
eroismi ed eroi o gli incendi di così grande guerra?
Noi Puni non abbiamo cuori così ottusi,
né il sole aggioga i cavalli così lontano dalla città Tiria.
Sia che voi
vogliate la grande Esperia e le piane saturnie
sia i territori di Erice ed il re Aceste,
vi congederò sicuri per l’aiuto
e vi aiuterò con risorse.
Volete anche fermarvi con me in questi regni?
La città che organizzo, è vostra; attraccate le
navi;
troiano o tirio per me sarà trattato senza alcuna differenza.
E magari lo stesso re Enea spinto dallo stesso
Noto
si presentasse. Invierò certamente dei fidati
per le spiagge e ordinerò di controllare le estremità della Libia, se
vaga
sbattuto in qualche selva o città”.
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