In questi celebri versi della Tempesta nell’Eneide, il grande poema epico di Virgilio, viene narrato uno dei momenti più drammatici dell’avventura di Enea e dei suoi compagni: la furiosa tempesta che si abbatte sulla flotta troiana.
La scena, situata nel primo libro, descrive l’inizio delle difficoltà che Enea deve affrontare nel suo viaggio verso l’Italia, guidato dal volere degli dèi ma ostacolato dalle forze naturali e divine. Attraverso una narrazione vivida e potente, Virgilio cattura la violenza degli elementi e il terrore che pervade i marinai, mettendo in luce la fragilità umana di fronte alla furia della natura.
Questa tempesta non è solo un evento fisico, ma anche un presagio delle sfide future, riflettendo il tema centrale dell’epica: la lotta dell’uomo contro il destino.
Versione Tradotta dell’Eneide: Testo originale, Libro 1 Versi 81-123 – La tempesta nell’Eneide
Haec ubi dicta, cavum conversa cuspide montem
impulit in latus; ac venti velut
agmine facto,
qua data porta, ruunt et terras turbine perflant.
incubuere mari totumque a sedibus imis
una Eurusque
Notusque ruunt creberque procellis
Africus, et vastos volvunt ad litora fluctus.
insequitur clamorque virum stridorque
rudentum; omotel
eripiunt subito nubes caelumque diemque omot
Teucrorum ex oculis; ponto nox incubat
atra;
intonuere poli et crebris micat ignibus aether
praesentemque viris intentant omnia mortem.
Extemplo Aeneae
solvuntur frigore membra;
ingemit et duplicis tendens ad sidera palmas
talia voce refert: ‘o terque quaterque
beati,
quis ante ora patrum Troiae sub moenibus altis
contigit oppetere. o Danaum fortissime gentis
Tydide. mene
Iliacis occumbere campis
non potuisse tuaque animam hanc effundere dextra
saevus ubi Aeacidae telo iacet Hector, ubi
ingens
Sarpedon, ubi tot Simois correpta sub undis
scuta virum galeasque et fortia corpora volvit.’
Talia iactanti
stridens Aquilone procella
velum adversa ferit, fluctusque ad sidera tollit.
franguntur remi, tum prora avertit
et undis
dat latus, insequitur cumulo praeruptus aquae mons.
hi summo in fluctu pendent; his unda dehiscens
terram
inter fluctus aperit, furit aestus harenis.
tris Notus abreptas in saxa latentia torquet
saxa vocant Itali mediis quae
in fluctibus Aras,
dorsum immane mari summo, tris Eurus ab alto
in brevia et Syrtis urget, miserabile visu,
inliditque vadis atque aggere cingit harenae.
unam, quae Lycios fidumque vehebat Oronten,
ipsius ante oculos ingens
a vertice pontus
in puppim ferit: excutitur pronusque magister
volvitur in caput, ast illam ter fluctus ibidem
torquet agens circum et rapidus vorat aequore vertex.
apparent rari nantes in gurgite vasto,
arma virum
tabulaeque et Troia gaza per undas.
iam validam Ilionei navem, iam fortis Achatae,
et qua vectus Abas, et qua
grandaevus Aletes,
vicit hiems; laxis laterum compagibus omnes
accipiunt inimicum imbrem rimisque fatiscunt.
Versione Tradotta dell’Eneide: Testo tradotto, Libro 1 Versi 81-123 – La tempesta nell’Eneide
Come ciò detto, ribaltata la lancia, colpì
alla costa il cavo monte; ed i venti come
fatta una schiera
dov’è dato lo sbocco, corrono e flagellano le terre col soffio.
Bloccarono il mare e tutto dal massimi
fondi
insieme Euro e Noto vanno ed Africo denso
di bufere, e riversano i vasti flutti sui lidi.
Ne segue un grido di
uomini ed uno stridio di cordami;
subito le nubi strappano il cielo ed il giorno
dagli occhi dei Teucri; nera sul mare
sovrasta la notte;
Tuonarono i poli e l’etere splende di densi fuochi
tutto minaccia sugli uomini una morte
imminente.
All’istante le membra di Enea si sciolgono dal brivido;
geme e tendendo entrambe le mani alle stelle
così
esprime a voce: “O tre quattro volte felici,
cui toccò affrontare la morte davanti ai volti dei padri e sotto
le alte
mura di Troia. O Tidide, il più forte della razza
dei Danai. Io, non aver potuto cadere nelle piane iliache
e spendere
questa vita per mano tua, dove giace
il fiero Ettore per l’arma dell’Eacide, dove Sarpedo gigante,
dove sotto l’onde il
Simoenta travolge tanti scudi strappati
ed elmi e forti spoglie d’eroi.”
A lui che grida così un turbine nemico stridendo
per Aquilone
ferisce la vela e solleva i flutti alle stelle.
Si spaccano i remi, poi si rovescia la prora ed offre il
fianco
alle onde, l’insegue un monte spezzato con la (sua) massa d’acqua.
Questi pendono in cima al flutto; a questi un’
onda aprendosi
scopre tra i flutti la terra, il risucchio infuria sulle sabbie.
Noto tormenta tre navi strappate nelle
rocce latenti
rocce che gli Itali chiamano Are in mezzo ai flutti,
enorme dorsale in cima al mare, tre le spinge Euro
dall’alto
anche negli stretti di Sirte, miserevole (spettacolo) a vedersi
e le sbatte nelle secche e le cinge d’un muro
di sabbia.
Una, che portava i Lici ed il fidato Oronte,
sotto i suoi occhi l’enorme marea la ferisce dall’alto
sulla
poppa: il pilota bocconi è sbalzato e rotolato
a capofitto, ma tre volte il flutto la tortura lì ancora
roteandola e un
rapido vortice con l’acqua la divora
Pochi appaiono nuotando nel vasto vortice,
armi d’eroi e tavole e tesori troiani tra
le onde.
Ormai la robusta nave d’Ilioneo, ormai (quella) del forte Acate,
e (quella) da cui (é) portato Abante, e
(quella) da cui il vecchio Alete, le
ha vinte la bufera; tutte con l’insieme dei fianchi sfasciato accettano la
pioggia
nemica e per le falle si aprono.
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