Aulide quo pacto
Triviai virginis aram
Iphianassai turparunt sanguine foede
ductores Danaum delecti,
prima virorum.
cui simul infula virgineos circum data comptus
ex utraque pari malarum parte profusast,
et maestum
simul ante aras adstare parentem
sensit et hunc propter ferrum celare ministros
aspectuque suo
lacrimas effundere civis,
muta metu terram genibus summissa petebat.
nec miserae prodesse in tali tempore quibat,
quod
patrio princeps donarat nomine regem;
nam sublata virum manibus tremibundaque ad aras
deductast, non ut
sollemni more sacrorum
perfecto posset claro comitari Hymenaeo,
sed casta inceste nubendi tempore in ipso
hostia
concideret mactatu maesta parentis,
exitus ut classi felix faustusque daretur.
tantum
religio potuit suadere malorum.
Versione tradotta
Così in Aulide l’altare
della vergine Trivia
turpemente macchiarono col sangue d’Ifianassa
gli sceltii condottieri
dei Danai, il fiore degli eroi.
Non appena la benda avvolta attorno alla bella chioma virginea
le scese uguale sull’una e
sull’altra guancia,
appena si accorse che il padre stava dolente innanzi all’altare,
e accanto a lui i sacerdoti
celavano il ferro,
e alla sua vista il popolo effondeva lacrime,
muta per il terrore,
piegate le ginocchia, cadeva a terra.
Né in tale frangente alla misera poteva giovare
di avere donato per prima al re il
nome di padre.
Infatti sollevata dalle mani dei guerrieri,
fu portata tremante
all’altare, non perché, compiuto il rito solenne,
potesse essere accompagnata tra i cori dello splendido imeneo,
ma
perché empiamente pura, nel tempo stesso delle nozze,
cadesse vittima mesta immolata per mano del padre,
affinché fosse
data alla flotta partenza felice e fausta.
A tali misfatti poté indurre la religione
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