Illi inter sese duri certamina belli
contulerant: media Aeneas freta nocte secabat.
namque ut ab Evandro
castris ingressus Etruscis
regem adit et regi memorat nomenque genusque
quidve petat quidve ipse ferat, Mezentius arma
150
quae sibi conciliet, violentaque pectora Turni
edocet, humanis quae sit fiducia rebus
admonet immiscetque
preces, haud fit mora, Tarchon
iungit opes foedusque ferit; tum libera fati
classem conscendit iussis gens Lydia divum
155
externo commissa duci. Aeneia puppis
prima tenet rostro Phrygios subiuncta leones,
imminet Ida super, profugis
gratissima Teucris.
hic magnus sedet Aeneas secumque volutat
eventus belli varios, Pallasque sinistro 10.160
adfixus
lateri iam quaerit sidera, opacae
noctis iter, iam quae passus terraque marique.
Pandite nunc Helicona, deae, cantusque
movete,
quae manus interea Tuscis comitetur ab oris
Aenean armetque rates pelagoque vehatur. 165
Massicus aerata
princeps secat aequora Tigri,
sub quo mille manus iuvenum, qui moenia Clusi
quique urbem liquere Cosas, quis tela
sagittae
gorytique leves umeris et letifer arcus.
una torvus Abas: huic totum insignibus armis 170
agmen et aurato
fulgebat Apolline puppis.
sescentos illi dederat Populonia mater
expertos belli iuvenes, ast Ilva trecentos
insula
inexhaustis Chalybum generosa metallis.
tertius ille hominum divumque interpres Asilas, 175
cui pecudum fibrae, caeli
cui sidera parent
et linguae volucrum et praesagi fulminis ignes,
mille rapit densos acie atque horrentibus hastis.
hos parere iubent Alpheae ab origine Pisae,
urbs Etrusca solo. sequitur pulcherrimus Astyr, 10.180
Astyr equo fidens
et versicoloribus armis.
ter centum adiciunt ( mens omnibus una sequendi )
qui Caerete domo, qui sunt Minionis in arvis,
et Pyrgi veteres intempestaeque Graviscae.
Non ego te, Ligurum ductor fortissime bello, 185
transierim, Cynira, et
paucis comitate Cupavo,
cuius olorinae surgunt de vertice pennae,
crimen, Amor, vestrum formaeque insigne paternae.
namque ferunt luctu Cycnum Phaethontis amati,
populeas inter frondes umbramque sororum 190
dum canit et maestum Musa
solatur amorem,
canentem molli pluma duxisse senectam
linquentem terras et sidera voce sequentem.
filius aequalis
comitatus classe catervas
ingentem remis Centaurum promovet: ille 195
instat aquae saxumque undis immane minatur
arduus, et longa sulcat maria alta carina.
Ille etiam patriis agmen ciet Ocnus ab oris,
fatidicae Mantus et Tusci
filius amnis,
qui muros matrisque dedit tibi, Mantua, nomen, 10.200
Mantua dives avis, sed non genus omnibus unum:
gens illi triplex, populi sub gente quaterni,
ipsa caput populis, Tusco de sanguine vires.
hinc quoque quingentos
in se Mezentius armat,
quos patre Benaco velatus harundine glauca 205
Mincius infesta ducebat in aequora pinu.
it
gravis Aulestes centenaque arbore fluctum
verberat adsurgens, spumant vada marmore verso.
hunc vehit immanis Triton et
caerula concha
exterrens freta, cui laterum tenus hispida nanti 210
frons hominem praefert, in pristim desinit alvus,
spumea semifero sub pectore murmurat unda.
Tot lecti proceres ter denis navibus ibant
subsidio Troiae et campos
salis aere secabant.
Versione tradotta
Essi avevan intrecciato tra loro gli scontri della dura
guerra: Enea nel mezzo della notte tagliava le
onde.
Infatti come da Evandro entrato nei campi etruschi
incontra il re ed al re ricorda nome e stirpe
o cosa chieda o
cosa lui stesso porti, quali armi Mezenzio 150
si procuri, e spiega i violenti propositi di Turno,
rammenta quale sia la
fiducia sulle cose umane
ed unisce preghiere, non c'è indugio, Tarconte
unisce le forze e stringe il patto; la gente
lidia libera
dal fato fa salpare la flotta per i comandi degli dei 155
affidatasi al capo straniero. La poppa di
Enea
sta per prima, posti sotto il rostro leoni frigi,
sopra incombe l'Ida, graditissima ai profughi Teucri.
Qui
siede il grande Enea e tra sé ripensa
i vari eventi di guerra, e Pallante attaccato al fianco 160
sinistro ora fa domande
sulle stelle, sentiero della opaca
notte, cosa sofferse per mare e per terra.
Aprite l'Elicona adesso, dee, muovete i
canti,
quale schiera intanto accompagni Enea dalle terre
etrusche ed armi le navi e si rechi per il mare. 165
Massico
per primo con la bronzea Tigri solca le acque,
sotto di lui mille schiere di giovani, che lasciarono
le mura di Chiusi e
la cità di Cosa, essi (hanno) come armi
le frecce, leggere faretre sulle spalle e l'arco letale.
Insieme il torvo
Abante: per lui tutta l'armata brillava 170
di splendide armi e la poppa di un Apollo dorato.
La madre Populonia gli
aveva dato seicento giovani
esperti di guerra, ma l'Elba trecento,
isola generosa di inesauste miniere dei
Calibi.
Terzo quell'Asila interprete degli uomini e degli dei, 175
a cui obbediscono le viscere delle bestie, le
stelle del cielo,
le lingue degli uccelli ed i fuochi premonitori del fulmine,
(ne) reca mille, serrati in battaglia e
dalle aste appuntite.
ordina che gli obbediscano Pisa, città alfea per origine,
etrusca per posizione. Segue il
bellissimo Asture, 180
Asture che si fida del cavallo e dalle armi variopinte.
Trecento ne aggiungono ( in tutti un unico
cuore di seguirlo)
quelli che sono di casa a Cere, quelli nei campi del Mignone,
l'antica Pirgo e la malsana Gravisca.
Non tralascierò te, fortissimoa guida dei Liguri in guerra, 185
Cupavone, da Cinira, accompagnato da pochi,
dal cui
capi s'alzano penne di cigno,
vostra colpa, Amore, ed insegna dell'aspetto paterno.
Raccontano che Cicno per il
lutto dell'amato Fetonte,
mentre cantava tra le fronde di pioppo e l'ombra 190
delle sorelle e con la Musa consola
il mesto amore,
assunse una vecchiezza biancheggiante di morbida pima
lasciando le terre e seguendo con la voce le
stelle.
Il figlio seguendo le truppe coetanee con la flotta
spinge avanti coi remi la gigantesca Centauro: quello 195
sta sull'acqua ed alto minaccia con un gran sasso
le onde, e con la lunga carena solca i mari profondi.
Anche
lui, Ocno, chiama una truppa dalle patrie terre,
figlio della fatidica Manto e del fiume Tosco,
che diede a te, Mntova,
le mura ed il nome della madre, 200
Mantova ricca di avi, ma non per tutti un'unica stirpe:
lei ( ha ) un triplice
gente, quattro popoli per gente,
lei stessa capitele per i popoli, le forze da sangue tirreno.
Di qui pure Mezenzio ne
arma cinquecento contro di sé,
che il Mincio velato di canna verdazzurra guidava 205
su pino nemico, dal padre Benaco
verso il mare.
Auleste avanza solenne e con certo remi batte il flutto
alzandosi, el rotte spumeggiano sul mare
solcato.
Lo trasporta un immane Tritone terrorizzando
con la conchiglia le acque azzurre, l'ispida prua offre a lui
210
che nuota, fino ai fianchi figura umana, la pancia finisce
in balena, spumosa sotto il petto mezzo bestiale mormora
l'onda.
Tanti capi scelti avanzavano su tre volte dieci navi
in aiuto a Troia e col bronzo tagliavano le pianure del
mare.
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