Iamque oratores aderant ex urbe Latina 100
velati ramis oleae veniamque rogantes:
corpora, per campos ferro quae fusa iacebant,
redderet ac tumulo sineret
succedere terrae;
nullum cum victis certamen et aethere cassis;
parceret hospitibus quondam socerisque vocatis. 105
quos bonus Aeneas haud aspernanda precantis
prosequitur venia et verbis haec insuper addit:
‘quaenam vos tanto
fortuna indigna, Latini,
implicuit bello, qui nos fugiatis amicos?
pacem me exanimis et Martis sorte peremptis 110
oratis? equidem et vivis concedere vellem.
nec veni, nisi fata locum sedemque dedissent,
nec bellum cum gente gero;
rex nostra reliquit
hospitia et Turni potius se credidit armis.
aequius huic Turnum fuerat se opponere morti. 115
si
bellum finire manu, si pellere Teucros
apparat, his mecum decuit concurrere telis:
vixet cui vitam deus aut sua dextra
dedisset.
nunc ite et miseris supponite civibus ignem.’
dixerat Aeneas. illi obstipuere silentes 120
conversique
oculos inter se atque ora tenebant.
Tum senior semperque odiis et crimine Drances
infensus iuveni Turno sic ore
vicissim
orsa refert: ‘o fama ingens, ingentior armis,
vir Troiane, quibus caelo te laudibus aequem? 125
iustitiaene prius mirer belline laborum?
nos vero haec patriam grati referemus ad urbem
et te, si qua viam dederit
Fortuna, Latino
iungemus regi. quaerat sibi foedera Turnus.
quin et fatalis murorum attollere moles 130
saxaque
subvectare umeris Troiana iuvabit.’
dixerat haec unoque omnes eadem ore fremebant.
bis senos pepigere dies, et pace
sequestra
per silvas Teucri mixtique impune Latini
erravere iugis. ferro sonat alta bipenni 135
fraxinus, euvrtunt
actas ad sidera pinus,
robora nec cuneis et olentem scindere cedrum
nec plaustris cessant vectare gementibus ornos.
Versione tradotta
Ormai ambasciatori dalla città latina si presentavano 100
velati di rami d'olivo e chiedendo
grazia:
i corpi, che per il ferro giacevano sparsi per le piane,
li concedesse e permettesse di porli sotterra in un
sepolcro;
nessuno scontro coi vinti e privati dell'etere;
risparmiasse quelli chiamati un tempo ospiti e suoceri. 105
Ma il buon Enea li accoglie con la grazia, chiedendo essi cose
da non disprezzare ed alle parole aggiunge
questo:
"Quale sorte, Latini, vi implicò in una guerra così
grande, che ci rifiutate come amici?
Chiedete la pace a me
per gli esanimi e per i travolti dalla sorte 110
di Marte? Proprio vorrei concederla anche ai vivi.
Non giunsi, se i fati
non avessero dato luogo e sede,
né faccio guerra con un popolo; il re abbandonò le nostre
ospitalità e si affidò
piuttosto alle armi di Turno.
Era più giusto per lui che Turno si offrisse alla morte. 115
Se si prepara a finire la
guerracon la mano, se (vuole) cacciare
i Teucri, doveva confrontarsi con me con queste armi:
avrebbe vissuto quello a
cui un dio o la propria destra avesse
dato la vita. Ora andate ed accendete il fuoco ai miseri concittatdini."
Aveva
detto Enea. Essi stupirono in silenzio 120
si rivolsero tra loro gli occhi ed osservavano i volri.
Poi Drance anziano e
sempre avversario con odio ed accusa
al giovane Turno così a sua volta con la bocca
riprende il discorso: "O grande per
fama, più grande per armi,
eroe troiano, con quali lodi ti alzerei al cielo? 125
dovrei ammirarti più per la giustizia o
le imprese di guerra?
Noi dunque grati riferiremo queste cose alla città patria
e te, se mai Fortunadarà una via, uniremo
al re Latino. Turno chieda alleanze per sé.
Anzi sarà bello alzare le moli fatali delle mura 130
e trasportare a
spalla le pietre troiane."
Aveva detto e tutti a una voce approvavano queste stesse cose.
Pattuirono dosici giorni e,
mediatrice la pace,
Teucri e Latini insieme impunemente sui colli per i boschi
andarono. L'alto frassino echeggia per
il ferro
a due tagli, sradicano pini spintisi alle stelle,
non cessano né di spaccare coi cunei roveri e
l'odoroso
cedro né di trasportare coicarri cigolanti gli orni.
- Letteratura Latina
- Libro 11
- Virgilio