Eneide, Libro 12, traduzione vv. 1-53 - Studentville

Eneide, Libro 12, traduzione vv. 1-53

Turnus ut infractos adverso Marte Latinos
defecisse videt, sua nunc promissa reposci,
se

signari oculis, ultro implacabilis ardet
attollitque animos. Poenorum qualis in arvis
saucius ille gravi venantum

vulnere pectus 5
tum demum movet arma leo, gaudetque comantis
excutiens cervice toros fixumque latronis
impavidus

frangit telum et fremit ore cruento:
haud secus accenso gliscit violentia Turno.
tum sic adfatur regem atque ita

turbidus infit: 10
‘nulla mora in Turno; nihil est quod dicta retractent
ignavi Aeneadae, nec quae pepigere recusent:

congredior. fer sacra, pater, et concipe foedus.
aut hac Dardanium dextra sub Tartara mittam
desertorem Asiae

(sedeant spectentque Latini), 15
et solus ferro crimen commune refellam,
aut habeat victos, cedat Lavinia coniunx.’

Olli sedato respondit corde Latinus:
‘o praestans animi iuvenis, quantum ipse feroci
virtute exsuperas, tanto me

impensius aequum est 20
consulere atque omnis metuentem expendere casus.
sunt tibi regna patris Dauni, sunt oppida capta

multa manu, nec non aurumque animusque Latino est;
sunt aliae innuptae Latio et Laurentibus arvis
nec genus

indecores. sine me haec haud mollia fatu 25
sublatis aperire dolis, simul hoc animo hauri:
me natam nulli veterum

sociare procorum
fas erat, idque omnes divique hominesque canebant.
victus amore tui, cognato sanguine victus

coniugis et maestae lacrimis, vincla omnia rupi; 30
promissam eripui genero, arma impia sumpsi.
ex illo qui me

casus, quae, Turne, sequantur
bella, vides, quantos primus patiare labores.
bis magna victi pugna vix urbe tuemur

spes Italas; recalent nostro Thybrina fluenta 35
sanguine adhuc campique ingentes ossibus albent.
quo referor

totiens? quae mentem insania mutat?
si Turno exstincto socios sum ascire paratus,
cur non incolumi potius certamina

tollo?
quid consanguinei Rutuli, quid cetera dicet 40
Italia, ad mortem si te ( fors dicta refutet.)
prodiderim,

natam et conubia nostra petentem?
respice res bello varias, miserere parentis
longaevi, quem nunc maestum patria Ardea

longe
dividit.’ haudquaquam dictis violentia Turni 45
flectitur; exsuperat magis aegrescitque medendo.
ut primum

fari potuit, sic institit ore:
‘quam pro me curam geris, hanc precor, optime, pro me
deponas letumque sinas pro

laude pacisci.
et nos tela, pater, ferrumque haud debile dextra 50
spargimus, et nostro sequitur de vulnere sanguis.

longe illi dea mater erit, quae nube fugacem
feminea tegat et vanis sese occulat umbris.’

Versione tradotta

Turno come vede che i Latini sbaragliati da Marte

avverso
son venuti meno, che le sue promesse ora vengon pretese,
che è segnato dagli occhi, arde oltre modo

implacabile
e rialza gli animi. Come nelle terre dei Puni
quel leone ferito al petto da una grave ferita dei cacciatori

5
poi finalmente muove le armi, e gode scuotendo
sul collo imuscoli chiomati ed impavido spezza

l'arma
conficcatadel predone efreme con la bocca insanguinata:
non diversamente la violenza cresce in Turno acceso.

Poi così parla al re e così torbido comincia: 10
"Nessuna incertezza in Turno; non c'è nulla che i vili
Eneidi

ritrattino, né che rifiutino quello che pattuirono:
io attacco. Porta, padre, le sacre offerte ed accogli il patto.
O con

questa destra manderò il dardanio disertore dell'Asia
sotto il Tartaro ( siedano ed osservino i Latini), 15
e da solo

vendicherò col ferro l'insulto comune,
o ci abbia vinti, Lavinia parta come sposa."
A lui rispose Latino con cuore

calmato:
"O giovane forte di animo, quanto tu eccedi di fiero
valore, altrettanto è giusto che io più attentamente 20

decida e valuti temendo tutti i casi.
Tu hai il regno del padre Dauno, ha molte città prese
con forza , anche Latino

ha oro e coraggio;
il Lazio ha altre ragazze, anche i campi di Laurento,
non disdicevoli per stirpe. Lascia che io

chiarisca cose non tenere 25
da dire, tolti i raggiri, ed insieme attingile con questo animo:
che io unissi la figlia a

nessuno dei pretendenti
era possibile, questo lo predicevano tutti, dei ed uomini.
Vinto dall'amore di te, vinto dal

sangue affine
della moglie mesta e dalle lacrime, ho rotto ogni vincolo; 30
al genero strappai la promessa, presi armi

empie.
Da allora vedi, Turno, quali eventi, quali guerre
seguano, quanti gravi affanni tu soffra.
Due volti vinti da

grande battaglia a stento in città difendiamo
le speranze italiche; le correnti tiberine ribollono del nostro 35
sangue

ancora e e le enormi campagne biancheggiano di ossa.
Dove mi reco tante volte? Quale pazzia cambia la mente?
Se, morto

Turno, son pronto adunire alleati,
perché non tolgo piuttosto i duelli a (te)incolume?
Cosa i Rutuli consanguinei, cosa

dirà il resto 40
d'Italia, se alla morte ( la sorte smentisca le parole!)
avrò tradito te, che chiedevi la figlia e le

nostre unioni?
Guarda le cose che variano con la guerra, abbi pietà d'un padre
anziano, che ora mesto la patria Ardea

lontano
divide." Niente affatto la violenza di Turno si piega 45
alle parole, eccede di più e medicandola si aggrava.

Appena potè parlare, così con la bocca insiste:
"L'affetto che porti perme, ti prego, ottimo, di deporlo
per me e

lascia che si pattuisca la morte in cambio dell'onore.
Anche noi, padre, spargiamo armi e ferro non debole 50
con la

destra, e dalla nostra ferita sgorga sangue.
Lontano gli sarà la dea madre, che copra il fuggitivo
con nube femminea e si

occulti in vane ombre."

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