Accidit haec fessis etiam fortuna Latinis,
quae totam luctu concussit funditus urbem.
regina ut tectis venientem prospicit hostem, 595
incessi muros, ignis ad
tecta volare,
nusquam acies contra Rutulas, nulla agmina Turni,
infelix pugnae iuvenem in certamine credit
exstinctum et subito mentem turbata dolore
se causam clamat crimenque caputque malorum, 600
multaque per maestum
demens effata furorem
purpureos moritura manu discindit amictus
et nodum informis leti trabe nectit ab alta.
quam
cladem miserae postquam accepere Latinae,
filia prima manu flavos Lavinia crinis 605
et roseas laniata genas, tum cetera
circum
turba furit, resonant late plangoribus aedes.
hinc totam infelix vulgatur fama per urbem:
demittunt mentes,
it scissa veste Latinus
coniugis attonitus fatis urbisque ruina, 610
canitiem immundo perfusam pulvere turpans.
[Multaque se incusat, qui non acceperit ante
Dardanium Aenean generumque adsciverit ultro]
Interea extremo bellator in
aequore Turnus
palantis sequitur paucos iam segnior atque 615
iam minus atque minus successu laetus equorum.
attulit
hunc illi caecis terroribus aura
commixtum clamorem, arrectasque impulit auris
confusae sonus urbis et inlaetabile
murmur.
‘ei mihi. quid tanto turbantur moenia luctu? 620
quisve ruit tantus diversa clamor ab urbe?’
sic ait,
adductisque amens subsistit habenis.
atque huic, in faciem soror ut conversa Metisci
aurigae currumque et equos et lora
regebat,
talibus occurrit dictis: ‘hac, Turne, sequamur 625
Troiugenas, qua prima viam victoria pandit;
sunt
alii qui tecta manu defendere possint.
ingruit Aeneas Italis et proelia miscet,
et nos saeva manu mittamus funera
Teucris.
nec numero inferior pugnae neque honore recedes.’ 630
Turnus ad haec:
‘o soror, et dudum agnovi, cum
prima per artem
foedera turbasti teque haec in bella dedisti,
et nunc nequiquam fallis dea. sed quis Olympo
demissam tantos voluit te ferre labores? 635
an fratris miseri letum ut crudele videres?
nam quid ago? aut quae iam
spondet Fortuna salutem?
vidi oculos ante ipse meos me voce vocantem
Murranum, quo non superat mihi carior alter,
oppetere ingentem atque ingenti vulnere victum. 640
occidit infelix ne nostrum dedecus Ufens
aspiceret; Teucri
potiuntur corpore et armis.
exscindine domos (id rebus defuit unum )
perpetiar, dextra nec Drancis dicta refellam?
terga dabo et Turnum fugientem haec terra videbit? 645
usque adeone mori miserum est? vos o mihi, Manes,
este boni,
quoniam superis aversa voluntas.
sancta ad vos anima atque istius inscia culpae
descendam magnorum haud umquam indignus
avorum.’
Versione tradotta
Anche questa sciagura accadde agli stanchi
Latini,
che starvolse dalle fondamenta tuttala città peril lutto.
Come la regina osservò il nemico venire alle case, 595
le muraesser assaltate, i fuochi volare sulle case,
da nessuna parte schiere rutule contro, nessuna fila di Turno,
la
misera crede estinto il giovane in uno scontro
di lotta esubito turbata nella mente per il dolore
si proclama causa e
colpa ed inizio dei mali, 600
e, pazza, parlando molto a causa del misero furore
destinata a morire si stramma con la
mano i vestiti purpurei
e come nodo di orribile morte lo lega dall'lta trave.
Dopo che le Latine appresero questa
perdita,
la filia Lavinia per prima con la mano dilaniatasi i biondi 605
capelli e le rosee guance, poi attorno il resto
della folla
impazza, ipalazzi risuonano ampiamente di lamenti.
Di qui la miserabile fama si divulga per tutta la
città:
le menti vengon meno, Latino va con la veste strappata
stravolto per i fati della sposa e la rovina della città,
610
deturpando il bianco capo cosparso di immonda polvere.
[Molto si accusa, di non aver accolto prima
il Dardanio
Enea ed accettato come genero]
Intanto il guerriero Turno in fondo alla piana
insegue pochi sbandati ormai piuttosto
lento ed 615
ormai sempre meno lieto della corsa dei cavalli.
L'aria gli portò quel grido misto di ciechi
terrori
ed il suono della città confusa ed il non lieto
mormorio colpì le orecchie tese.
"Ahimè! Perché le mura son turbate da
così grave lutto? 620
o quale così grande grido piomba dalla città distante?
Così disse, e tirate le redini si fermò
fuori di sé.
M a lui, poiché la sorella trasformata nell'aspetto dell'auriga
Metisco guidava il cocchio, i
cavalli, le redini,
si rivolse con tali parole: "Di qua, Turno, seguiamo 625
i Troiugeni dove la prima vittoriaaprela
via;
ci sono altri che possono difendere col braccio le case.
Eneaincalza gli Itali e suscita scontri,
anche noi
inviamo aiTeucri le stragi con mano crudele.
Né inferiore per numero alla lotta né indietreggerai per onore." 630
Turno
in risposta:
"O sorella, subito ti riconobbi, quando con astuzia per prima
turbasti i patti e ti desti a queste
guerre,
e adesso non mi inganni come dea. Ma chi volle che tu
scesa dall'Olimpo sopportassi cosìtante fatiche? 635
forse per vedere la morte crudele di un misero fratello?
Ma che faccio? O Fortuna ormai promette quali cose come
salvezza?
Io stesso davanti ai miei occhi vidi che mi chiamava con un grido
Murrano, di cui non mi resta un altro più
caro,
da gigante cadere e vinto da gigantesca ferita. 640
Ufente cadde misero pernon vedere il nostro
disonore; i
Teucri si impadroniscono del corpo e dell armi.
Sopporterò forse che si distruggano le case (questo solo è mancato
alle
cose), né con la destra ribatterò alle parole di Drance?
Volterò le spalle e questa terra vedrà Turno che fugge? 645
Fino
a che punto è brutto morire? Voi, o Mani,
siatemi buoni, poiché oer i celesti la volontà è contraria.
Io vita pura e
ignara di tale colpa
discenderò da voi mai indegno dei grandi avi."
- Letteratura Latina
- Libro 12
- Virgilio