Duello tra Enea e Turno: Eneide, Libro 12, vv. 887-952

Eneide, Libro 12, vv. 887-952 - il duello tra Enea e Turno

Il dodicesimo libro dell’Eneide culmina con il duello finale tra Enea e Turno. Nei versi 887-952, Virgilio descrive lo scontro conclusivo tra i due eroi, un duello che decide il destino dei Troiani e dei Latini. Questo confronto è carico di tensione e significato, rappresentando il culmine delle battaglie e dei conflitti che hanno caratterizzato il poema.

La scena si svolge su un campo di battaglia devastato, con le rovine e i resti della guerra a fare da sfondo. Enea, determinato e feroce, si erge trionfante sopra un Turno sconfitto, che giace a terra. L’espressione di Turno è un misto di disperazione e accettazione del suo destino, mentre Enea, pur vincitore, riflette la gravità e la solennità del momento.

Questo duello non è solo una questione di forza fisica, ma anche di destino e di giustizia divina. Turno ha ucciso Pallante, l’alleato e giovane amico di Enea, e quest’ultimo ora deve decidere se mostrare clemenza o vendicare la sua morte. Virgilio ci mostra un Enea combattuto tra la pietà e il desiderio di vendetta, un eroe che deve fare i conti con le conseguenze delle sue azioni.

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo originale, Libro 12, vv. 887-952 – il duello tra Enea e Turno

Aeneas instat contra telumque coruscat
ingens arboreum, et saevo sic

pectore fatur:
‘quae nunc deinde mora est? aut quid iam, Turne, retractas?
non cursu, saevis certandum est comminus

armis. 890
verte omnis tete in facies et contrahe quidquid
sive animis sive arte vales; opta ardua pennis
astra

sequi clausumque cava te condere terra.’
ille caput quassans: ‘non me tua fervida terrent
dicta, ferox; di me

terrent et Iuppiter hostis.’ 895
nec plura effatus saxum circumspicit ingens,
saxum antiquum ingens, campo quod forte

iacebat,
limes agro positus litem ut discerneret arvis.
vix illum lecti bis sex cervice subirent,
qualia nunc

hominum producit corpora tellus; 900
ille manu raptum trepida torquebat in hostem
altior insurgens et cursu concitus

heros.
sed neque currentem se nec cognoscit euntem
tollentemve manu saxumve immane moventem;
genua labant, gelidus

concrevit frigore sanguis. 905
tum lapis ipse viri vacuum per inane volutus
nec spatium evasit totum neque pertulit

ictum.
ac velut in somnis, oculos ubi languida pressit
nocte quies, nequiquam avidos extendere cursus
velle videmur

et in mediis conatibus aegri 910
succidimus; non lingua valet, non corpore notae
sufficiunt vires nec vox aut verba

sequuntur:
sic Turno, quacumque viam virtute petiit,
successum dea Dira negat. tum pectore sensus
vertuntur varii;

Rutulos aspectat et urbem 915
cunctaturque metu telumque instare tremescit
nec quo se eripiat, nec qua vi tendat in

hostem,
nec currus usquam videt aurigamve sororem.
Cunctanti telum Aeneas fatale coruscat,
sortitus fortunam

oculis, et corpore toto 920
eminus intorquet. murali concita numquam
tormento sic saxa fremunt nec fulmine tanti

dissultant crepitus. volat atri turbinis instar
exitium dirum hasta ferens orasque recludit
loricae et clipei

extremos septemplicis orbis; 925
per medium stridens transit femur. incidit ictus
ingens ad terram duplicato poplite

Turnus.
consurgunt gemitu Rutuli totusque remugit
mons circum et vocem late nemora alta remittunt.
ille humilis

supplex oculos dextramque precantem 930
protendens ‘equidem merui nec deprecor’ inquit;
‘utere sorte tua.

miseri te si qua parentis
tangere cura potest, oro (fuit et tibi talis
Anchises genitor) Dauni miserere senectae
et

me, seu corpus spoliatum lumine mavis, 935
redde meis. vicisti et victum tendere palmas
Ausonii videre; tua est Lavinia

coniunx,
ulterius ne tende odiis.’ stetit acer in armis
Aeneas volvens oculos dextramque repressit;
et iam

iamque magis cunctantem flectere sermo 940
coeperat, infelix umero cum apparuit alto
balteus et notis fulserunt cingula

bullis
Pallantis pueri, victum quem vulnere Turnus
straverat atque umeris inimicum insigne gerebat.
ille, oculis

postquam saevi monimenta doloris 945
exuviasque hausit, furiis accensus et ira
terribilis: ‘tune hinc spoliis indute

meorum
eripiare mihi? Pallas te hoc vulnere, Pallas
immolat et poenam scelerato ex sanguine sumit.’
hoc dicens

ferrum adverso sub pectore condit 950
fervidus; ast illi solvuntur frigore membra
vitaque cum gemitu fugit indignata sub

umbras.

 

Versione Tradotta dell’Eneide: Testo tradotto, Libro 12, vv. 887-952 – il duello tra Enea e Turno

Enea incombe davanti evibra un dardo

gigantesco
di legno, e così con furiosa ira parla:
“Adesso che indugio è dunque questo? O perché già, Turno, ti ritiri?

Bisogna duellare non con la corsa, ma con le armi. 890
Cambiati in tutte le facce eraccogli quanto
vali sia con il

coraggio che con l’astuzia; decidi di inseguire
col volo le alte stelle e nasconderdi chiuso nella cava terra.”
Egli

scuotendo il capo:” Non mi atterriscono le tue furiose
parole, feroce; mi atterriscono gli dei e Giove nemico.” 895

aggiungendo di più osserva un masso gigantesco,
un masso antico gigantesco, che a caso giaceva nel campo,
posto nel

terreno per delimitare litigio per iterreni.
A stento in dodici (uomini) scelti l’avrebberoalzato sul capo,
quali i

corpi di uomini che ora la terra produce; 900
egli, afferratolo, con mano rapida lo scagliava sul nemico
alzandosi più

alto l’eroe e veloce di corsa.
Ma né si riconosce mentre corre né mentre avanza
olo alza con la mano o muove il masso

enorme;
le ginocchia cedono, il samgue gelido si rapprese per il freddo. 905
Allora la pietra stessa dell’eroe

lanciato nell’inutile vuoto
non superò tutto la distanza né soportò il colpo.
E come nei sogni, quando la languida

queite di notte
ha oppresso gli occhi, sembramo voler invano allungare
le avide corse e spossati in mezzo agli sforzi

910
ricadiamo; la lingua non può, le note forze nel corpo
non bastano né se voce e parole seguono:
così a Turno, con

qualunque sforzo cercasse la via,
la dea Dira gli nega il successo. Poi nel cuore sensazioni
diverse si agitano; guarda i

Rutuli e la città, 915
tentenna di paura e teme che l’arma incomba
non vede dove si sottragga né per quale via

affrontiil nemico,
né in alcun luogo il cocchio o la sorella auriga.
Sull’esitante Enea vibra l’arma

fatale,
scelto congli occhi la fortuna con tutto il corpo 920
la scaglia da lontano. Mai così violenti i sassi fremono da

una macchina murale né così forti i crepiti rimbombano
per un fulmine. Vola l’asta come nero vortice
portando la

terribile fine ed apre i bordi della corazza
ed i cerchi estremi dello scudo dai sette strati; 925
stridendo trapassa a

metà del femore. Cade colpito
il gigantesco Turno a terra piegato il ginocchio.
Sorgono con un gemito i Rutuli e tutto

il monte
attorno rimbomba e gli alti boschi rimandano l’eco dintorno.
Egli umile supplice tentendo gli aocchi e la

destra 930
che prega “Certamente l’ho meritato e non maledico” disse;
usa la tua sorte. Se ti può toccare un qualche

pensiero
del misero padre, prego (anche tu hai avuto tale
il padre Anchise) abbi pietà della vecchiaia di Dauno
e me,

sia pure tu preferisca un corpo spogliato della luce, 935
dammi ai miei. Hai vinto e gli Ausoni han visto un

vinto
tendere le palme; tua è la sposa Lavinia,
non andare più oltre con gli odi.” Enea stette furioso
in armi e

volgendo gli occhi frenò la destra;
e già quasi la preghiera aveva cominciato a piegarlo 940
esitante, quando apparve

sull’alta spalla la misera
cintura e brillarono con le note borchie le cinghie
di Pallante, un ragazzo, che Turno

vintolo con un colpo
aveva atterrato e sulle spalle portava l’insegna nemica.
Egli, dopo che con gli occhi sopportò i

ricordi del crudele 945
dolore e le spoglie, acceso da furie e da ira,
terribile: ” Forse tu, vestito delle spoglie dei

miei
mi verresti sottratto? Pallante con questa ferita, Pallante
ti immola e prende vendetta dal sangue

maledetto.”
Dicendo questo nasconde il ferro davanti, nel petto 950
furente; ma le membra nel freddo si sciolgono
e la

vita con un gemito fuggì angosciata nelle ombre.

 

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