Sic lenito principis metu et luce orta itur ad Agrippinam, ut nosceret
obiecta dissolveretque vel poenas lueret. Burrus iis mandatis Seneca coram fungebatur; aderant et ex libertis arbitri sermonis.
deinde a Burro, postquam crimina et auctores exposuit, minaciter actum. et Agrippina ferociae memor “non miror” inquit,
“Silanam numquam edito partu matrum adfectus ignotos habere; neque enim proinde a parentibus liberi quam ab impudica adulteri
mutantur. nec si Iturius et Calvisius adesis omnibus fortunis novissimam suscipiendae accusationis operam anui rependunt, ideo
aut mihi infamia parricidii aut Caesari conscientia subeunda est. nam Domitiae inimicitiis gratias agerem, si benevolentia
mecum in Neronem meum certaret: nunc per concubinum Atimetum et histrionem Paridem quasi scaenae fabulas componit. Baiarum
suarum piscinas extollebat, cum meis consiliis adoptio et proconsulare ius et designatio consulatus et cetera apiscendo imperio
praepararentur. aut exsistat qui cohortes in urbe temptatas, qui provinciarum fidem labefactatam, denique servos vel libertos
ad scelus corruptos arguat. vivere ego Britannico potiente rerum poteram? ac si Plautus aut quis alius rem publicam iudicaturus
obtinuerit, desunt scilicet mihi accusatores, qui non verba impatientia caritatis aliquando incauta, sed ea crimina obiciant,
quibus nisi a filio absolvi non possim.” commotis qui aderant ultroque spiritus eius mitigantibus, colloquium filii exposcit,
ubi nihil pro innocentia, quasi diffideret, nec [de] beneficiis, quasi exprobraret, disseruit, sed ultionem in delatores et
praemia amicis obtinuit.
Versione tradotta
Calmato così lo spavento del
principe e spuntato il nuovo giorno si va da Agrippina per farle conoscere i capi d'imputazione e perché le confutasse,
oppure ne pagasse il fio. Burro assolveva questi compiti alla presenza di Seneca; erano presenti anche tra i liberti dei
testimoni del colloquio. Dopo che da Burro furono letti i capi d'accusa e i testimoni, passò ad un atteggiamento minaccioso.
E Agrippina memore della sua fierezza «Non mi meraviglio» disse «che Silana che non ha mai partoritoo abbia del tutto
sconosciuti i sentimenti materni; né davvero le madri cambiano i figli nello stesso modo con cui una donna sfacciata cambia gli
amanti. Né se Iturio e Calvisio, dissipati tutti i loro beni, vendono ad una vecchia l'ultimo dei servigi, quello di
sostenere un'accusa (per lei), perciò io debbo subire l'infamia del parricidio o Cesare subire il rimorso del parricidio.
Infatti ringrazierei le inimicizie di Domizia, se gareggiasse con me in benevolenza verso Nerone: ma ora per mezzo del
concubino Atimeto e dell'istrione Paride quasi inventa storie da teatro. Ingrandiva le piscine della sua baia, mente per mia
iniziativa preparavo l'adozione, il potere proconsolare, la designazione al consolato, e le altre cose per raggiungere il
potere imperiale. Altrimenti si faccia avanti chi dimostrerà che le coorti in città sono state sobillate, che la fedeltà delle
provincie è stata compromessa, infine che i liberti sono stati corrotti in vista del delitto. Ma avrei potuto vivere io sotto
il potere detenuto da Britannico? E se Plauto o qualsiasi altro avesse ottenuto il potere così da giudicarmi, mancherebbero
certo a me gli accusatori, che possano rinfacciarmi non parole talvolta taciute per la mancanza di sopportazione dell'amore
materno, ma quei capi di imputazione per cui potrei essere assolta solo da un figlio». Presi da commozione i presenti e quelli
che cercavano di placare la sua foga, chiede un colloquio al figlio, nel quale non parlò affatto della propria innocenza, come
se non ne avesse la sicurezza, né dei benefici (arrecati al figlio) come se li volesse rinfacciare, ma ottenne la vendetta
contro i delatori e i riconoscimenti per gli amici.
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