Quibus ego confido impendere fatum aliquod, et poenam iam diu improbitati, nequitiae, sceleri, libidini debitam aut instare
iam plane aut certe adpropinquare. Quos si meus consulatus, quoniam sanare non potest, sustulerit, non breve nescio quod
tempus, sed multa saecula propagarit rei publicae. Nulla est enim natio, quam pertimescamus, nullus rex, qui bellum populo
Romano facere possit. Omnia sunt externa unius virtute terra marique pacata; domesticum bellum manet, intus insidiae sunt,
intus inclusum periculum est, intus est hostis. Cum luxuria nobis, cum amentia, cum scelere certandum est. Huic ego me bello
ducem profiteor, Quirites; suscipio inimicitias hominum perditorum; quae sanari poterunt, quacumque ratione sanabo, quae
resecanda erunt, non patiar ad perniciem civitatis manere. Proinde aut exeant aut quiescant aut, si et in urbe et in eadem
mente permanent, ea, quae merentur, expectent.
Versione tradotta
Io sono convinto che per costoro sia imminente la
resa dei conti e che la pena prevista già da tempo per la disonestà,la malvagità,il delitto,la libidine o sia già pronta o si
avvicini a grandi passi.Ciò che il mio consolato,non potendolo evitare,ha dovuto sopportare, ignoro in quale termine non
breve,ma di molti secoli,potrà propagarsi alla Repubblica.Non cè,infatti,alcuna nazione che noi temiamo,alcun re che possa
muover guerra al popolo romano.Tutti i problemi esterni,per merito di uno solo,per mare e per terra,sono risolti;resta la
guerra civile,allinterno sono le insidie,il pericolo,il nemico.Dobbiamo combattere contro la sfrontatezza,la follia,il
delitto.A questa guerra mi propongo,o Quiriti,come condottiero,accetto lodio degli uomini perduti;le cose che si potranno
sistemare,sistemerò con ogni mezzo;quelle che dovranno essere eliminate,non consentirò che restino come un pericolo per la
città.Perciò o vadano via,o si plachino o,se rimangono nella città col medesimo disegno,si aspettino quel che meritano.
- Catilinarie
- Libro 2
- Cicerone
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