Sed iis, qui vi oppressos imperio coercent, sit sane adhibenda
saevitia, ut eris in famulos, si aliter teneri non possunt; qui vero in libera civitate ita se instruunt, ut metuantur, iis
nihil potest esse dementius. Quamvis enim sint demersae leges alicuius opibus, quamvis timefacta libertas, emergunt tamen haec
aliquando aut iudiciis tacitis aut occultis de honore suffragiis. Acriores autem morsus sunt intermissae libertatis quam
retentae. Quod igitur latissime patet neque ad incolumitatem solum, sed etiam ad opes et potentiam valet plurimum, id
amplectamur, ut metus absit, caritas retineatur. Ita facillime quae volemus et privatis in rebus et in re publica consequemur.
Etenim qui se metui volent, a quibus metuentur, eosdem metuant ipsi necesse est.
Versione tradotta
Coloro che esercitano il comando opprimendo i cittadini
con la forza, impieghino pure la crudeltà, come i padroni nei confronti degli schiavi, se non possono governarli in nessun
altro modo. Ma quelli che, in una libera città, si pre parano a farsi temere, raggiungono il massimo dele follia. Benché le
leggi siano conculcate dalla potenza di un uomo e la libertà sia intimidita, tuttavia sia le une che l'altra emergono di
quando in quando o in taciti giudizi o nelle elezioni segrete per qualche carica. Più penetranti sono i morsi della libertà
perduta che non di quella costantemente mantenuta. Accogliamo questa considerazione, che ha una vastissima applicazione e non
vale solo per l'incolumità dei cittadini, ma soprattutto per la ricchezza e la potenza, e cioè di tener lontano il timore e
conservare la benevolenza (dei cittadini). Così con grandissima facilità otterremo ciò che vorremo sia negli affari privati che
nella vita pubblica. Giacché coloro che vogliono essere temuti, necessariamente devono essi stessi, a loro volta, a temere
quegli stessi dei quali dovrebbero essere temuti.
- Letteratura Latina
- De Officiis di Cicerone
- Cicerone