Ubi vero moveri et adpropinquare moenibus viderunt, nova atque inusitata specie commoti legatos ad Caesarem de pace miserunt, qui ad hunc modum locuti: non se existimare Romanos sine ope divina bellum gerere, qui tantae altitudinis machinationes tanta celeritate promovere et ex propinquitate pugnare possent, se suaque omnia eorum potestati permittere dixerunt. Unum petere ac deprecari: si forte pro sua clementia ac mansuetudine, quam ipsi ab aliis audirent, statuisset Atuatucos esse conservandos, ne se armis despoliaret. Sibi omnes fere finitimos esse inimicos ac suae virtuti invidere, a quibus se defendere traditis armis non possent. Sibi praestare, si in eum casum deducerentur, quamvis fortunam a populo Romano pati, quam ab his per cruciatum interfici, inter quos dominari consuessent.
Versione tradotta
Quando però videro che si muoveva e si avvicinava alle mura, turbati dalla strana ed inconsueta vista, mandarono ambasciatori da Cesare per la pace, ed esse così parlarono: (che) loro pensavano che i Romani facevano la guerra non senza aiuto divino, che potevano muovere macchine di così grande altezza con così grande velocità e combattere in vicinanza e dissero che mettevano se stessi e tutte le loro cose sotto il loro potere. Una sola cosa chiedevano e scongiuravano: se per caso per la loro clemenza e mansuetudine, che essi sentivano dire dagli altri, avessero stabilito di salvare gli Atuatuci, di non spogliarli delle armi. (Che) essi avevano come nemici quasi tutti i confinanti e vedevano male il loro valore, da essi, consegnate le armi, mon potrebbero difendersi. Era meglio per loro, se fossero trascinati a tale caso, patire qualunque sorte da parte del popolo romano, che esser uccisi con torture da quelli, tra i quali erano soliti dominare.
- Letteratura Latina
- Libro 2
- Cesare
- De Bello Gallico