Ab his castris oppidum Remorum nomine Bibrax aberat milia passuum octo. Id ex itinere magno impetu Belgae oppugnare coeperunt. Aegre eo die sustentatum est. Gallorum eadem atque Belgarum oppugnatio est haec: ubi circumiecta multitudine hominum totis moenibus undique in muruml apides iaci coepti sunt murusque defensoribus nudatus est, testudine facta portas succendunt murumque subruunt. Quod tum facile fiebat. Nam cum tanta multitudo lapides ac tela conicerent, in muro consistendi potestas erat nulli. Cum finem oppugnandi nox fecisset, Iccius Remus, summa nobilitate et gratia inter suos, qui tum oppido praefuerat, unus ex iis qui legati de pace ad Caesarem venerant, nuntios ad eum mittit, nisi subsidium sibi submittatur, sese diutius sustinere non posse.
Versione tradotta
Da questi accampamenti la città dei Remi di nome Bibratte distava otto mila passi. I Belgi cominciarono ad assediarla, in marcia, con un grande attacco. A stento per quel giorno si resistette. L’assalto, uguale, dei Galli e dei Belgi è questo: quando, gettata una grande massa di uomini attorno a tutte le mura, da ogni parte si è cominciato a scagliare pietre contro il muro ed il muro è privo di difensori, fatta una testuggine, incendiano da sotto le porte e scalzano il muro. Tutto questo si faceva facilmente. Infatti mentre la grande massa scagliavano pietre e giavellotti, nessuno aveva la possibilità di star fermi sul muro. Avendo la notte posto fine all’assedio, il remo Iccio, di grandissima nobiltà e favore presso i suoi, che allora era a capo della città, uno di quelli che erano venuti da Cesare come ambasciatori, gli manda araldi ( dicendo) che lui non poteva resistere più a lungo, se non gli si mandato un aiuto.
- De Bello Gallico
- Libro 2
- Cesare
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