De Officiis, Libro 2, Par. da 16 a 20 - Studentville

De Officiis, Libro 2, Par. da 16 a 20

Paragrafo 16
Longiores hoc loco sumus quam necesse est. Quis est enim

cui non perspicua sint illa quae pluribus verbis a Panaetio commemorantur neminem neque ducem bello nec principem domi magnas

res et salutares sine hominum studiis gerere potuisse. Commemoratur ab eo Themistocles Pericles Cyrus Agesilaos Alexander quos

negat sine adiumentis hominum tantas res efficere potuisse. Utitur in re non dubia testibus non necessariis. Atque ut magnas

utilitates adipiscimur conspiratione hominum atque consensu sic nulla tam detestabilis pestis est quae non homini ab homine

nascatur. Est Dicaearchi liber de interitu hominum Peripatetici magni et copiosi qui collectis ceteris causis eluvionis

pestilentiae vastitatis beluarum etiam repentinae multitudinis quarum impetu docet quaedam hominum genera esse consumpta deinde

comparat quanto plures deleti sint homines hominum impetu id est bellis aut seditionibus quam omni reliqua

calamitate.

Paragrafo 17
Cum igitur hic locus nihil habeat dubitationis quin homines

plurimum hominibus et prosint et obsint proprium hoc statuo esse virtutis conciliare animos hominum et ad usus suos adiungere.

Itaque quae in rebus inanimis quaeque in usu et tractatione beluarum fiunt utiliter ad hominum vitam artibus ea tribuuntur

operosis hominum autem studia ad amplificationem nostrarum rerum prompta ac parata virorum praestantium sapientia et virtute

excitantur.

Paragrafo 18
Etenim virtus omnis tribus in rebus fere vertitur quarum una

est in perspiciendo quid in quaque re verum sincerumque sit quid consentaneum cuique quid consequens ex quo quaeque gignantur

quae cuiusque rei causa sit alterum cohibere motus animi turbatos quos Graeci pathe nominant appetitionesque quas illi hormas

oboedientes efficere rationi tertium iis quibuscum congregemur uti moderate et scienter quorum studiis ea quae natura desiderat

expleta cumulataque habeamus per eosdemque si quid importetur nobis incommodi propulsemus ulciscamurque eos qui nocere nobis

conati sint tantaque poena adficiamus quantam aequitas humanitasque patiatur.

Paragrafo

19
Quibus autem rationibus hanc facultatem assequi possimus ut hominum studia complectamur eaque teneamus dicemus

neque ita multo post sed pauca ante dicenda sunt. Magnam vim esse in fortuna in utramque partem vel secundas ad res vel

adversas quis ignorat? Nam et cum prospero flatu eius utimur ad exitus pervehimur optatos et cum reflavit affligimur. Haec

igitur ipsa fortuna ceteros casus rariores habet primum ab inanimis procellas tempestates naufragia ruinas incendia deinde a

bestiis ictus morsus impetus. Haec ergo ut dixi rariora.

Paragrafo 20
At vero

interitus exercituum ut proxime trium saepe multorum clades imperatorum ut nuper summi et singularis viri invidiae praeterea

multitudinis atque ob eas bene meritorum saepe civium expulsiones calamitates fugae rursusque secundae res honores imperia

victoriae quamquam fortuita sunt tamen sine hominum opibus et studiis neutram in partem effici possunt. Hoc igitur cognito

dicendum est quonam modo hominum studia ad utilitates nostras allicere atque excitare possimus. Quae si longior fuerit oratio

cum magnitudine utilitatis comparetur; ita fortasse etiam brevior videbitur.

Versione tradotta

Paragrafo 16
Ma noi ci

siamo dilungati su questo argomento più a lungo di quanto non fosse necessario. Chi è, infatti, colui al quale non siano

evidenti quelle considerazioni sulle quali Panezio si dilungava con tante parole, cioè che nessun generale in guerra e nessun

capo in pace abbia potuto mai compiere grandi e salutari imprese senza l'aiuto degli altri uomìni? Egli ricorda Temistocle,

Pericle, Ciro, Agesilao, Alessandro, e dice che essi non avrebbero potuto compiere imprese così grandi senza l'aiuto degli

uomini. Ma egli fa ricorso, in una tesi indubitabile, a testimoni non necessari. Come si ottengono grandi vantaggi con la

collaborazione degli uomini e il loro consenso, così non vi è sciagura più funesta che non provenga all'uomo da un altro uomo.

Sulla morte degli uomini c'è un libro di Dícearco, peripatetico famoso ed eloquente, che, dopo aver raccolto tutte le altre

cause, come le alluvioni, pestilenze, devastazioni. e anche gli improvvisi assalti delle belve (i cui assalti - egli ricorda -

distrussero alcune stirpi umane) mette, poi, a confronto il numero di gran lunga maggiore degli uomini annientati dalla

violenza degli altri uomini, cioè in guerre e in rivolte, che non da ogni altra

calamità.

Paragrafo 17
Dal momento che questo punto non lascia sussistere alcun motivo

di dubbio che gli uomini aiutino, ma anche ostacolino moltissimo gli altri uomini, ritengo proprietà della virtù conciliare gli

animi degli uomini e trarli ai propri vantaggi. Perciò quegli utili che si ricavano dalle cose inanimate e quelli che si

ricavano dall'uso e dall'utilizzazione degli animali per la vita dell'uomo sono dispensati dalle arti manuali, mentre la

saggezza e la virtù degli uomini superiori stimolano l'interesse degli altri uomini, pronto e disposto ad accrescere il

benessere comune.

Paragrafo 18
Infatti ogni virtù è riposta, genericamente, in tre

aspetti: il primo consiste nel vedere che cosa sia sincero e vero in qualsiasi azione, che cosa sia conveniente a ciascuno,

quanto sia conseguente e quanto derivi da ciascuna cosa, quale ne sia la causa; il secondo consiste nel frenare le tumultuose

passioni dell'animo, che i Greci chiamano pa/qh, e rendere obbedienti alla ragione gli istinti , o)rma/j , come essi dicono;

il terzo consiste nel comportarsi in maniera moderata e riflessiva verso coloro coi quali conviviamo, a finché, col loro aiuto,

possiamo ottenere in grande abbondanza quello che la natura richiede, ma anche per respingere, per mezzo di quegli stessi,

quanto eventualmente ci rechi danno e per vendicarci di coloro che abbiano tentato di nuocerci, e per infligger loro una pena

in quella misura che lo consentano la giustizia ed il senso d'umanità.

Paragrafo

19
Diremo, poi, - e tra non molto - in quali modi possiamo conseguire la capacità di conquistare e mantenere

l'interesse degli uomini; ma prima devo dire poche cose. Chi ignora la gran forza della fortuna in un senso e nell'altro,

così nelle avversità come nella prosperità? Infatti quan do godiamo del suo soffio favorevole, perveniamo alle mete desiderate,

e quando ci soffia contro siamo sballottati. Gli altri casi della fortuna, dunque, sono più rari, in primo luogo quelli

dipendenti dalle cose inanimate, come procelle, tempeste, naufragi, distruzioni, incendi, poi quelli causati dalle belve,

colpi, morsi, assalti.

Paragrafo 20
Ma tutti questi accidenti sono - come ho detto -

piuttosto rari. Ma stragi di eserciti - come recentemente di tre - frequenti uccisioni di generali, come poco fa di quel sommo

ed eccezionale uomo, inoltre l'odiosità della folla e a causa di ciò le frequenti espulsioni di cittadini meritevoli, le

disgrazie, le fughe e, d'altra parte, gli avvenimenti favorevoli, le cariche civili, i comandi militari, le vittorie, benche

siano fortuite, tuttavia non possono accadere né in un, caso né nell 'altro senza i mezzi e le intenzioni degli uomini.

Assodato questo si deve dire in qual modo possiamo risvegliare e attrarre gli interessi degli uomini verso il nostro utile. Se

il discorso sarà troppo lungo, lo si confronti con la grandezza dell'utile; così, forse, parrà anche troppo

breve.

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