De Officiis, Libro 2, Par. da 21 a 25 - Studentville

De Officiis, Libro 2, Par. da 21 a 25

Paragrafo 21
Quaecumque igitur homines homini

tribuunt ad eum augendum atque honestandum aut benivolentiae gratia faciunt cum aliqua de causa quempiam diligunt aut honoris

si cuius virtutem suspiciunt quemque dignum fortuna quam amplissima putant aut cui fidem habent et bene rebus suis consulere

arbitrantur aut cuius opes metuunt aut contra a quibus aliquid exspectant ut cum reges popularesve homines largitiones aliquas

proponunt aut postremo pretio ac mercede ducuntur quae sordidissima est illa quidem ratio et inquinatissima et iis qui ea

tenentur et illis qui ad eam confugere conantur.

Paragrafo 22
Male enim se res habet

cum quod virtute effici debet id temptatur pecunia. Sed quoniam non numquam hoc subsidium necessarium est quemadmodum sit

utendum eo dicemus si prius iis de rebus quae virtuti propriores sunt dixerimus. Atque etiam subiciunt se homines imperio

alterius et potestati de causis pluribus. Ducuntur enim aut benivolentia aut beneficiorum magnitudine aut dignitatis

praestantia aut spe sibi id utile futurum aut metu ne vi parere cogantur aut spe largitionis promissisque capti aut postremo ut

saepe in nostra re publica videmus mercede conducti.

Paragrafo 23
Omnium autem rerum

nec aptius est quicquam ad opes tuendas ac tenendas quam diligi nec alienius quam timeri. Praeclare enim Ennius ‘Quem metuunt

oderunt; quem quisque odit perisse expetit’. Multorum autem odiis nullas opes posse obsistere si antea fuit ignotum nuper est

cognitum. Nec vero huius tyranni solum quem armis oppressa pertulit civitas ac paret cum maxime mortuo interitus declarat

quantum odium hominum valeat ad pestem sed reliquorum similes exitus tyrannorum quorum haud fere quisquam talem interitum

effugit. Malus enim est custos diuturnitatis metus contraque benivolentia fidelis vel ad

perpetuitatem.

Paragrafo 24
Sed iis qui vi oppressos imperio coercent sit sane

adhibenda saevitia ut eris in famulos si aliter teneri non possunt; qui vero in libera civitate ita se instruunt ut metuantur

iis nihil potest esse dementius. Quamvis enim sint demersae leges alicuius opibus quamvis timefacta libertas emergunt tamen

haec aliquando aut iudiciis tacitis aut occultis de honore suffragiis. Acriores autem morsus sunt intermissae libertatis quam

retentae. Quod igitur latissime patet neque ad incolumitatem solum sed etiam ad opes et potentiam valet plurimum id amplectamur

ut metus absit caritas retineatur. Ita facillime quae volemus et privatis in rebus et in re publica consequemur. Etenim qui se

metui volent a quibus metuentur eosdem metuant ipsi necesse est.

Paragrafo 25
Sed iis

qui vi oppressos imperio coercent sit sane adhibenda saevitia ut eris in famulos si aliter teneri non possunt; qui vero in

libera civitate ita se instruunt ut metuantur iis nihil potest esse dementius. Quamvis enim sint demersae leges alicuius opibus

quamvis timefacta libertas emergunt tamen haec aliquando aut iudiciis tacitis aut occultis de honore suffragiis. Acriores autem

morsus sunt intermissae libertatis quam retentae. Quod igitur latissime patet neque ad incolumitatem solum sed etiam ad opes et

potentiam valet plurimum id amplectamur ut metus absit caritas retineatur. Ita facillime quae volemus et privatis in rebus et

in re publica consequemur. Etenim qui se metui volent a quibus metuentur eosdem metuant ipsi necesse

est.

Versione tradotta

Paragrafo 21
Qualsiasi

servigio l'uomo presti all'uomo per aumentarne il prestigio e la dignità, o è reso per benevolenza amandosi qualcuno per

qualche motivo, o a fine di onore, allorché si osserva il valore di qualcuno e lo si ritiene degno della miglior fortuna

possibile; oppure lo si fa a qualcuno in cui si ha fiducia, e cosi si crede di ben provvedere ai propri interessi, o a qualcuno

la cui potenza incute timore, o, invece, a qualcuno da cui ci si aspetta qualche favore (come quando i re e i demagoghi

promettono qualche elargizione), o, da ultimo, 1'uomo può essere attratto dal lucro e dalla mercede, motivo, invero, quanto

mai vergognoso ed abietto sia per chi si faccia prendere da esso, sia per chi tenti di ricorrervi.

Paragrafo 22
E' male, difatti. quando si ottiene col denaro quello che si dovrebbe

ottenere con la virtù. Ma poiché questo mezzo è talvolta necessario, dirà in quale modo ci si debba servire di esso, dopo aver

parlato di quelle azioni che sono più vicine alla virtù. [Inoltre gli uomini si sottomettono al volere e al potere di un altro

uomo per più d'un motivo; sono spinti a ciò o dalla benevolenza o dalla grandezza dei benefici, o dalla superiorità del rango

sociale o dalla speranza di ottenere qualche utile o per paura d'essere costretti ad obbedire con la violenza o allettati

dalla speranza d'un donativo e da varie promesse o, infine, indotti dal denaro, come spesso abbiamo visto nel nostro Stato.]

Paragrafo 23
Fra tutti questi mezzi nessuno è più adatto a difendere e a conservare

il potere dell'essere amati e nessuno è più contrario dell'essere temuti. Benissimo, infatti, dice Ennio:
'odiano colui

che temono, e colui che ciascuno odia desidera che perisca'.
Si è visto poco tempo fa, se prima non lo si sapeva, che

nessun potere può resistere all'odio di molti. E non solo di questo tiranno, che la città sopportò, pur oppressa dalle sue

armi, la morte dimostra quanto l'odio degli uomini valga a far cadere in rovina, ma anche la fine si mile degli altri tiranni,

quasi nessuno dei quali riuscì a sfuggire ad una simile morte. La paura, difatti, è una cattiva sorvegliante di un prolungato

dominio, mentre la benevolenza è fedele custode e lo fa durare addirittura in eterno.

Paragrafo 24
Coloro che esercitano il comando opprimendo i cittadini con la

forza, impieghino pure la crudeltà, come i padroni nei confronti degli schiavi, se non possono governarli in nessun altro modo.

Ma quelli che, in una libera città, si pre parano a farsi temere, raggiungono il massimo dele follia. Benché le leggi siano

conculcate dalla potenza di un uomo e la libertà sia intimidita, tuttavia sia le une che l'altra emergono di quando in quando

o in taciti giudizi o nelle elezioni segrete per qualche carica. Più penetranti sono i morsi della libertà perduta che non di

quella costantemente mantenuta. Accogliamo questa considerazione, che ha una vastissima applicazione e non vale solo per

l'incolumità dei cittadini, ma soprattutto per la ricchezza e la potenza, e cioè di tener lontano il timore e conservare la

benevolenza (dei cittadini). Così con grandissima facilità otterremo ciò che vorremo sia negli affari privati che nella vita

pubblica. Giacché coloro che vogliono essere temuti, necessariamente devono essi stessi, a loro volta, a temere quegli stessi

dei quali dovrebbero essere temuti.

Paragrafo 25
E che? Possiamo noi comprendere da

qual tormentoso timore veniva di solito assalito il famoso Dionigi il Vecchio, che temendo il rasoio del barbiere si bruciava

da sé la barba con un tizzone ardente? E che? Con quale animo pensiamo che sia vissuto Alessandro di Fere? Costui - come si

legge - pur amando molto la propria moglie, Tebe, tuttavia quando dal banchetto si recava nella sua stanza ordinava ad un

barbaro, addirittura tatuato - come è scritto al modo dei Traci, di andare avanti con la spadà sguainata e si faceva precedere

da alcuni sgherri, incaricati di perquisire gli scrigni della donna e di accertarsi che non fosse nascosta un' arma tra le

vesti. 0 infelice, che riteneva più fedele un barbaro tatuato che la propria moglie! E non si sbagliò: fu ucciso per mano della

moglie, per sospetto d'infedeltà. Non c'è, in verità, alcuna forza di potere tanto grande che possa resistere a lungo sotto

l'oppressione del timore.

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